mercoledì 10 settembre 2014

Canaletto e la sua Venezia

Canaletto - La riva degli Schiavoni verso est con la colonna di San Marco
1730 - Milano, Castello Sforzesco
E’ preciso nei particolari ma non è fedele al vero, con quelle ombre scure, la pennellata grassa, densa di colore, talvolta sfrangiata, con il gusto compositivo delle diagonali ancora così scenografico e con i rapporti cromatici rivolti a un’evocazione fantastica.
Con un senso quasi fiammingo di realismo, Canaletto non smette mai di interessarsi alle cose di Venezia: la posa di un gondoliere, una figura in maschera, il lampo della luce su uno scalino, le tegole di un tetto, una statua che si staglia, bianca, contro un cielo azzurro e frizzante.
Un’immagine simbolo come La riva degli Schiavoni verso est con la colonna di San Marco, proveniente dalla Civica Pinacoteca del Castello Sforzesco di Milano dipinta nel 1730, è tutto questo e anche di più.
La totale trasparenza dell’aria rende reale lo spazio come lo intendeva Newton – sempre omogeneo e immobile – e in quello spazio gli edifici, Palazzo Ducale in primis, sono blocchi netti, privi di interferenze reciproche, coerenti, ubbidiscono a un ideale cristallino. E quanto lontano arriva lo sguardo, il dettaglio si offre incontaminato nella sua leggibilità, quale che sia la distanza dell’osservatore.
E l’acqua, icona ineludibile di Venezia? Si dà uniformemente, con l’invenzione di un segno iterativo – inimitabile nel suo carattere ingannevolmente meccanico – con il movimento magicamente fermato, tanto che le barche non lasciano nessuna scia.
Un’immagine piena di aria e di luce, dove il cielo è veramente cielo e dove le nuvole non chiudono l’orizzonte ma ne dilatano ancor di più la vastità, dove interviene la sua fantasia, il suo particolare gusto della materia, il suo senso architettonico e compositivo, la sua visione del mondo.
La luce splendente e le ombre marcate modellano gli edifici, creando l’illusione, al di là di quella precisa veduta, di guardare nella città che si avverte molto più estesa, dietro un angolo, dietro l’ultima facciata, dietro  i campanili. Non si osservano solo marmi, mattoni o calce, ma la vita stessa, che si sente procedere con serena imperturbabilità.
Altro che fotografo!
La camera ottica gli serviva sì, ma le sue vedute sono delle “belle infedeli”, permeate di quello spirito tutto veneziano così amato dagli inglesi, ma che mai sarebbero stati capaci di trovarne traccia in quei guizzi di colore che per incanto diventavano due belle fanciulle intente a parlare magari del loro nuovo amore o di quei due ragazzini che fan baruffa intorcolati come matasse di filo da pesca.
Quella di Canaletto era la stessa Venezia di Casanova, scandalosa e viva, libera e libertina, tanto da far scrivere a Lord Byron “che una signora che abbia un solo amante non può essere accusata di violare la santità del matrimonio”.
La stessa Venezia fatta dal patriziato, dai mercanti, avvocati e notai, letterati e artigiani ma anche la Venezia del popolo dei poveri, dei servi e dei barcaroli, delle prostitute e dei mendicanti che si mescolavano con gente di ogni razza, lingua e religione e che ne facevano una città cosmopolita e vivissima.

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