sabato 16 giugno 2018

Antonio Ligabue: follia e arte, sempre a braccetto

Antonio Ligabue - Autoritratto
Ancora una volta follia e arte si intrecciano in un personaggio da romanzo, dal viso spigoloso che pare tagliato con un'accetta e da quegli occhi grandi come l'infinito che cercano.
E’ una vita segnata da disgrazie, miseria, solitudine e fame quella di Antonio che inizia lunedì 18 dicembre del 1899 a Zurigo, figlio illegittimo di Elisabetta Costa, poi andata sposa a un emigrato di Gualtieri, Bonfiglio Laccabue, che lo riconosce ma che Antonio odia, tanto da cambiare il cognome in Ligabue, convinto che fosse lui la causa della morte della madre e di tre suoi fratelli per intossicazione alimentare. L’anno dopo il piccolo Antonio viene dato in affidamento a una famiglia svizzera-tedesca, i Gobel, anch’essa tormentata dalla miseria, che si accanirà anche sul destino del piccolo, sofferente di rachitismo e carenza vitaminica che lo segnerà nel fisico, che rimarrà sgraziato per sempre.
Antonio Ligabue
Aquila con colomba - 1960
Olio su tela
Lui è insofferente al mondo: ama decisamente più gli animali degli uomini e si costruisce barriere mentali per riuscire a sopportare la vita.
Inizia ad andare a scuola in un istituto ‘per ragazzi deficienti’ e nel 1917 viene ricoverato per la prima volta in una clinica psichiatrica.
L’unico sollievo di Antonio  è la pittura, una passione che per lui è salvifica.
Ma il 15 maggio del 1919 è espulso dalla Svizzera denunciato dalla madre adottiva, quindi Antonio, ventenne, si trasferisce a Gualtieri, dove il comune gli assegna un posto letto in un ricovero per mendicanti e gli dà la possibilità di lavorare come ‘scarriolante’ alla costruzione della strada che congiunge il paese agli argini del Po.
In questo periodo si avvicina alla scultura in creta, utilizzando l’argilla che trova vicino al grande fiume.
Negli anni successivi, dal 1928 al 1929, vive come una specie di selvaggio nei boschi e nelle golene del Po e in uno di quei casotti avviene l’incontro che gli cambierà la vita: viene scoperto da Marino Renato Mazzacurati, uno dei fondatori della scuola romana che lo ospita nella sua casa di Gualtieri e gli insegna l’uso dei colori ad olio.
Antonio Ligabue - Aratura con cavalli - olio su cartone
Ligabue  a  quel punto vive solo di pittura, anche se la sua vita è sempre errabonda, tra le case di amici generosi, le baracche del Po e il ricovero per mendicanti.
Le sue opere pittoriche si presentano come squillanti, violente e nostalgiche al contempo, condite da dettagli precisi e ambientate in paesaggi di tipo campestre, con immaginazione e memoria che si mescolano a seconda del soggetto o del paesaggio rappresentato.
Solitamente si divide l’opera di Ligabue in tre grandi gruppi: animali domestici e feroci, paesaggi svizzeri e padani, interni, ritratti e autoritratti con capolavori assoluti che sono diventati vere icone.
Antonio Ligabue - Autoritratto con motocicletta
Olio su tela
Particolarmente significativi sono i ritratti di questo periodo, impietoso specchio di un’esclusione patita sulla propria pelle e di un profondo malessere.
Nei suoi dipinti esprime la propria concezione di esistenza intesa come lotta perenne, come battaglia senza regole, intervallate solo da rari momenti di serenità.
E’ il 1937 quando viene nuovamente internato nell’ospedale psichiatrico di Reggio Emilia per atti di autolesionismo e quattro anni più tardi il suo amico Andrea Mozzati lo ospita nella sua casa di Guastalla, prendendosene la responsabilità. Nel 1945 un ennesimo ricovero all’ospedale psichiatrico dove continua però a dipingere e inizia qui l’interesse della critica per le sue opere.
Ma la celebrità comincia ad arrivare: nel 1955 la sua prima mostra personale alla Fiera Millenaria di Gonzaga e l’anno dopo la partecipazione al Premio Suzzara, mentre nel 1961 un’altra mostra personale alla Galleria La Barcaccia di Roma che segna la sua definitiva consacrazione come pittore naif. Antonio esce così dalla miseria che aveva sempre contraddistinto la sua vita.
Antonio Ligabue
Leopardo con il serpe - 1952
olio su tela
Oltre alle emozioni che suscitano, permettono di ammirare con chiarezza la sua tecnica pittorica fatta di strati di colore brillanti sovrapposti e molto spessi che danno quasi l’impressione che i dipinti siano tridimensionali.
Ligabue viveva in un mondo rurale, all’interno del quale la sua  mente ha saputo integrare un bestiario esotico e scenari montani, se non da fiaba.
Il 18 novembre del 1962 lo colpisce una emiparesi che lo lascerà menomato per gli ultimi anni della sua esistenza.
Antonio Ligabue
Testa di tigre - 1955
olio su tela

Giovedì 27 maggio del 1965 la triste vita di Antonio Ligabue, chiamato ‘Al matt’, il matto, finisce nel ricovero Carri di Gualtieri, che nel manifesto mortuario scrive così: “la caratteristica
figura di Ligabue, così familiare nella nostra zona, scomparirà forse dalla nostra memoria, ma la bellezza delle sue opere parlerà anche alla generazioni future, di uno spirito che soffrì ed amò con eccezionale forza di sentimenti”. 
Da quel giorno, riposa nel cimitero cittadino il pittore autodidatta di cui i contemporanei non hanno saputo cogliere la visionarietà, il tragico espressionista che nelle sue rappresentazioni ha sintetizzato un universo di passioni dai colori accesi e dalle forme feroci.