domenica 25 gennaio 2015

Il Seicento: secolo d'oro dei collezionisti

JAN BRUEGEL - 1618 - LA VISTA - MADRID, MUSEO DEL PRADO
Prima di Italico Brass, l'ultimo vero collezionista di Venezia, furono innumerevoli coloro che amavano contornarsi di sculture, dipinti, mobili, medaglie e oggetti da wunderkammer.
Un patrimonio immenso di arte e storia che è confluito in parte nei musei cittadini e in buona parte è volato via, spalmandosi in giro per il mondo come bottino di guerra o venduto a nobili o nouveaux riches.
PAOLO VERONESE- MARTE E VENERE -
TORINO, GALLERIA SABAUDA
GIA' COLLEZIONE CRISTOFORO ORSETTI
Negli ultimi anni vari studiosi hanno reperito e rielaborato un migliaio tra documenti conosciuti e inediti, gettando nuova luce sul mercato dell'arte e sulle figure di collezionisti, di mercanti e intermediari.
La fetta più larga dei collezionisti era appannaggio dei patrizi, che facevano davvero la parte del leone, seguiti a ruota da mercanti e commercianti, mentre di davvero pochino potevano disporre i nuovi nobili di Candia, chiamati cosi con disprezzo per aver «acquistato» la nobiltà in cambio di aiuti economici durante la guerra contro i Turchi.

CIMA DA CONEGLIANO
MADONNA CON BAMBINO E SANTI
VENEZIA, GALLERIE DELL'ACCADEMIA
GIA' COLLEZIONE DAFIN
Prendendo in esame il Seicento, ossia il periodo d'oro delle quadrerie, ci si è accorti che le tipologie dei dipinti fossero cambiate rispetto al secolo precedente: più nature morte, più battaglie, scene di genere e paesaggi, anche se permangono sempre i ritratti, anche allegorici per auto-esaltarsi, e dipinti devozionali.

TINTORETTO - SAN GIORGIO E IL DRAGO
LONDRA, NATIONAL GALLERY
GIA' COLLEZIONE CORRER
Un lavoro enorme che ha preso forma spulciando inventari, testamenti, atti notarili e gli inventari degli artisti, ossia quello che rimaneva in bottega alla morte del maestro, e quelli delle famiglie patrizie.
Un fenomeno studiato a tutto tondo, per i tanti aspetti collegati all'arte vera e propria, come i meccanismi di mercato, le diverse tipologie di vendita e i tanti passaggi di proprietà partendo dalle menzioni delle fonti antiche per giungere alla loro ubicazione attuale.
Affascinante poi la metamorfosi che subiscono i palazzi per meglio accogliere dipinti e sculture.
D'altronde le collezioni d'arte erano il vero status symbol dell'epoca, insieme al palazzo, alla biblioteca - archivio e, perché no, alla tomba di famiglia.
Già, ma quanto valevano approssimativamente le collezioni veneziane?
Impossibile dirlo, ma per farsene almeno un'idea possiamo elaborare qualche confronto: il Buon samaritano di Jusepe de Ribera della collezione di Lorenzo Dolfin, nel 1655 era valutato mille ducati, vale a dire il corrispettivo dell'affitto annuo di tre palazzi sul Canal Grande, mentre il Perseo di Bernardo Strozzi della collezione di Giovan Donato Correggio nel 1646 era stimato 52 ducati, la stessa cifra del salario di un mese di lavoro di sei operai o denaro sufficiente a coprire le spese di sei mesi di vitto e servitù per un giovane patrizio.
BERNARDO STROZZI - SANTA CECILIA
BRNO, MORAVSKA GALERIE
GIA' COLLEZIONE PISANI
Non basta: il Battesimo di Cristo di Palma il Giovane della collezione di Cecilia Bragadin, valutato 200 ducati nel 1699, equivaleva al salario medio annuo di due maestri vetrai muranesi o a un centesimo di quanto perse Antonio Ottobon giocando per quasi vent'anni con un Savorgnan a bassetta, gioco di carte piuttosto rischioso, in cui quest'ultimo era evidentemente molto fortunato.


martedì 20 gennaio 2015

Federico Fellini e Tonino Guerra: amicizia, sogni e fantasia

FEDERICO FELLINI
È impressa nella mente di tutti l'immagine di Federico Fellini, che proprio oggi compirebbe 95 anni, con le sue grosse sciarpe, il cappello calcato sulla testa, i grandi occhiali, l'aria un po' trasognata, quasi non si rendesse conto della forza della sua fantasia, e il suo inconfondibile accento romagnolo.
Forse non è un caso che romagnolo sia stato anche il suo più grande amico e collaboratore di quasi tutti i film: Tonino Guerra.
TONINO GUERRA
Questo grande vecchio del cinema viveva a Pennabilli, antico centro nel cuore del Montefeltro dove, intorno all'anno mille, ebbero origine i Malatesta, poi divenuti signori di Rimini e della Romagna. Chi viene a Pennabilli si accorge subito dello spirito ancora presente di Tonino Guerra, scomparso nel 2012.
In questo borgo ha dato vita a numerose installazioni artistiche, insoliti giardini-museo chiamati I luoghi dell'anima e, passeggiando tra un albero e una scultura, si avverte un'emozione antica, ci si ritrova con sé stessi e si respira la creatività e la poesia di questo personaggio.
PENNABILLI  - ORTO DEI FRUTTI DIMENTICATI
Il bosco incantato è un labirinto dell'anima formato da steli in pietra serena scolpiti coi simboli della pigna e della ghianda, «dove puoi perdere la memoria e ricordare solo il giorno più bello della tua vita», con al centro una lumaca in bronzo che invita alla riflessione.
Nel Santuario dei pensieri, all'interno dei muri perimetrali di una vecchia casa malatestiana, sono state sistemate sette enigmatiche sculture che suscitano echi nel cuore, nella mente e nell'anima.
Nell'Orto dei frutti dimenticati la Meridiana dell'incontro permette di incontrare l'immagine di Federico Fellini e Giulietta Masina quando, nel pomeriggio, l'ombra di due colombi in bronzo diventa quella dei profili dei suoi grandi amici scomparsi.
Di Fellini, Tonino Guerra parlava volentieri.
Anche Marcello Mastroianni diceva che parlare di Fellini «mette gioia», e tra un sorriso e una smorfia, lo ricordava con tenerezza, affetto ed ammirazione.
TONINO GUERRA E FEDERICO FELLINI NEGLI ANNI '50
Quando incontrai Tonino, la prima domanda che gli feci, un po' banale per la verità ma istintiva: "Cosa le manca di più di Fellini?"
"Vede, tanto si dice che manca sempre tutto, perché è una grande amicizia e poi è questa montagna di memoria, questi continui suggerimenti di vivere camminando un po' sollevati da terra, i nostri colloqui nel suo studio, dove lui amava restare, non era un amante dei viaggi, perché diceva "i viaggi li facciamo con la memoria", era stupendo sentir parlare dei suoi viaggi verso l'infanzia e dei suoi viaggi verso paesi che non aveva mai visto e che aveva l'impressione di vedere stando fermo".
Tonino Guerra parlava lentamente, come se vedesse nel frattempo una serie di immagini magiche e lontane come nel carosello finale di Otto e mezzo.
OTTO E 1/2 - LOCANDINA - 1963
Gli chiesi qual era l'idea che lui e Fellini avevano sempre seguito nella vita: la risposta è veloce, immediata.
"Quello di fare qualche cosa di poetico che possa tener compagnia alla gente".
Di sicuro ci sono riusciti, lui e Federico Fellini, che come tutti i grandi artisti erano anche, come diceva lui stesso, «maghi bambini».
Cercando di immaginare la loro vita di tutti i giorni, mi venne naturale chiedergli se il senso onirico che aleggia nei film fosse presente anche nella loro quotidianità: "Nella nostra vita - rispose - non avevamo delle cose mostruose per inventare parole o immagini. Eravamo persone che stavano pensando a un piatto di spaghetti e alla mortadella!"
Quell'amicizia aveva qualcosa di speciale, avvolta da una genialità atipica: qual era il segreto del trio perfetto Fellini-Guerra-Rota?
"Bah... è come se mi chiedesse qual è il segreto per fare una buona polenta oppure qual è la cottura giusta della pasta, che se si sbaglia di un attimo... è un odore, il segreto è che andavamo incontro a un odore".
Ironia ed emozioni, come in Amarcord, ambientato in una idealizzata cittadina romagnola.
AMARCORD - 1973
"Fellini amava qualche amico e soprattutto amava i suoi ricordi, non ha mai girato un metro di pellicola a Rimini, quindi ha vissuto a Rimini nella sua memoria e nei giorni della sua infanzia, fin quando aveva 17 anni".
E cosa amava Tonino Guerra di Pennabilli? "Il silenzio, amo ascoltare la pioggia, amo ascoltarla che batte sui vetri, è una grande musica".
Bussando alla sua sfera più intima, gli domandai cosa avrebbe detto a Federico e Giulietta se potesse mandar loro un messaggio: "Sto arrivando - no, per l'amor del Cielo! - eh beh, è cosi l'età! Direi: spero che il vostro sia quell'ottimo, lungo viaggio pieno di mistero che spesso pensavate fosse il viaggio ultimo".
FEDERICO FELLINI E GIULIETTA MASINA
Li immaginava così, ancora insieme, con un bagaglio di ricordi, legati da un grande amore durato più di 50 anni e gli domandai cosa aveva significato l'amore nella vita di Fellini e se credeva possibile vivere senza innamorarsi.
"No! L'ultima frase Fellini la disse a Enzo Biagi negli suoi ultimi giorni: stava morendo e diceva 'innamorarsi ancora una volta!
Nella vita quello che conta è diventare questa nuvola imprecisa e grandiosa che è il momento dell'amore".
Grazie Federico, grazie Tonino!

sabato 17 gennaio 2015

Torcello: l'isola dell'arte e della solitudine

ISOLA DI TORCELLO
Un’isola dalla bellezza inesauribile che nei tempi paurosi e tristi dell’infuriar degli Unni e dei Longobardi accolse chi dalla terraferma fuggiva per trovare difesa.
E leggenda racconta come il grosso della popolazione, abbandonando le proprie città seguendo una voce che veniva dal cielo, si fosse rifugiata proprio qui e che, a ricordo della torre della patria perduta, l’avesse rinominata Turris, da cui Torcello.

Ed è il canto del gallo che sottolinea il sorger del sole di questo luogo incantato, una magia interrotta subito dopo dall’accensione delle radioline delle bancarelle, quasi a voler sottolineare che la mercificazione di Venezia - distante quasi un'oretta di vaporetto - non risparmia niente e nessuno.
TORCELLO - PONTE DEL DIAVOLO - XV SECOLO
Ma Torcello è   uno scrigno, pieno di straordinaria bellezza e dall'atmosfera unica.
La chiesa Santa Fosca, il Museo provinciale con il trono di Attila - in realtà mai usato dal flagello di Dio - e il ponte del Diavolo - del XV secolo senza parapetto - sono le attrattive più importanti dopo la Basilica.
TORCELLO - CHIESA DI SANTA FOSCA
SULLO SFONDO LA BASILICA DI SANTA MARIA ASSUNTA
Ha più di mille anni la Basilica di Santa Maria Assunta, una delle testimonianze più alte dell’architettura bizantina e altomedioevale, con la rarità che ha le imposte delle finestre in pietra.
Una chiesa, dall’aspetto semplice e solenne per la preziosità dei marmi e per l’oro dei mosaici - opera di artisti veneziani e bizantini dell'XI secolo - nata in occasione dell’elevazione al vescovado di Orso Orseolo, figlio del
doge Pietro Orseolo II.
TORCELLO
BASILICA DI SANTA MARIA ASSUNTA - 1008
IMPOSTE IN PIETRA
Una cattedrale che è lo spazio della vita, dove le pareti sono i suoi orizzonti, il limite tra il di-qua e il di-là, e su quel limite, come fosse uno schermo, i fatti rappresentati hanno un doppio valore, contingente ed eterno.
Un valore simbolico ispirato ai prototipi bizantini, dall’allegoria del Tempo vinto dall’attività umana all’Ozio, nella fronte principale esterna del coro, fino ai mosaici dell’arco trionfale con la Vergine, sola e augusta nello sconfinato campo d’oro del catino, sotto cui è disposta la teoria dei Dodici Apostoli.

BASILICA DI SANTA MARIA ASSUNTA
VERGINE MARIA, CATINO ABSIDALE






Ancora  mani veneziane nei mosaici dell’abside, con Cristo in trono fra gli arcangeli Gabriele e Michele, due figure fluidamente lineari, intuibili nello sciolto andamento delle ali.
La figura di Cristo riporta anche a
Santa Sofia di Costantinopoli, ma quell’ascetico volto qui si traduce in una rappresentazione più realistica, dall’impianto massiccio, dove le curve che segnano i lineamenti sono meno fluide.
Grandiosa, sopra la porta maggiore, una serie di figurazioni, dall’apoteosi di Cristo al Giudizio Universale, immensa icona con la funzione di ammonire il fedele sulla dannazione eterna riservata ai peccatori e sulla beatitudine destinata ai buoni.
Bisognerebbe valorizzare tale immenso patrimonio di arte, fede e cultura che anche in questi mosaici hanno lasciato segni ancora capaci di parlare a persone di culture diverse.

BASILICA DI SANTA MARIA ASSUNTA
GIUDIZIO UNIVERSALE
Non solo arte però.
Torcello ha un'anima magica che chiunque ha avuto la fortuna di andarci ha scoperto e annusato.
E davvero molti e diversi sono coloro che abitano o hanno abitato a Torcello, tutti appassionati di solitudine, dai dieci abitanti rimasti, a chi non c’è più, come i due fratelli Bortoluzzi, restauratori di gran livello sempre infreddoliti per la mancanza di riscaldamento e con l’umidità come coinquilina fedele, la clavicembalista Egidina Soika con il  marito anatomo patologo  o il dottor Baslini, che forse qui redasse il testo per il referendum sul divorzio.
O personaggi di alto livello  sociale o intellettuale come Hemingway che andava a caccia con il giardiniere della locanda Cipriani, Marc Chagall, Charlie Chaplin che similmente alla regina madre Elisabetta o all’incantevole Kim Novak, non hanno saputo resistere al fascino di un luogo senza tempo, dove la vita è perennemente scandita dalle maree e dall’alternarsi delle stagioni.

mercoledì 14 gennaio 2015

Lo stucco: povero ma bello, anzi, bellissimo!


SANREMO - SANTUARIO MADONNA DELLA COSTA
Pochi lo pensano e ancor meno  lo fanno, ma personalmente mi sento in dovere di portare maggior conoscenza e doverosa rivalutazione dell'arte dello stucco – un impasto di calce spenta e polvere di marmo con un’armatura metallica o in legno - considerata a torto un'arte minore essenzialmente artigianale perché per lo più frutto di artisti di cui non si sa neppure il nome, ma senza la quale la maggior parte dei monumenti, civili e religiosi, sarebbero spoglie anonime ed incolori, tristissime e bruttissime.
Basta fare un giro per le migliaia di chiese, chiesine e palazzi che si trovano in ogni dove, anche nei centri più sperduti e periferici per rendersene conto.
L'Italia ha un patrimonio straordinario e non lo sa, anzi, non vuole saperlo.
POMPEI, TERME STABIANE - DECORAZIONE A STUCCO
Non per nulla, per gli straordinari risultati che regalava, l’arte dello stucco, codificata da Vitruvio, era molto in voga già nell’arte romana.
Nel Quattrocento si ripresero dall'antichità grottesche, capitelli, festoni e figure interamente modellate.
Si studia tutto quel che proviene dall'antica Roma, compresi i resti delle domus romane, specialmente dal punto di vista costruttivo: quasi una gara fra artisti a chi recuperava le migliori ricette antiche - sì, proprio come quelle dei migliori chef - che con le loro alchimie riuscivano a ritrovare la robustezza ed il candore o i colori del marmo.
GIACOMO SERPOTTA - COLONNA
Qualche nome, giusto per far capire che non si scherza: Donatello, Lorenzo Ghiberti, Jacopo della Quercia.
Nel Cinquecento l’arte dello stucco riesce a dar vita ludica e teatrale a cornucopie, festoni, elementi floreali ed architettonici, a putti, cariatidi, satiri in pose ed atteggiamenti arditi e mai visti.
In architettura abbellisce fregi, frontoni ed essendo un materiale economico e dalle infinite possibilità di impiego, ha una vastità di impiego inimmaginabile.
Il Barocco, che è il periodo del vero tripudio dell’arte stucchiva, nella sua enfatica ricchezza lo accolse perciò con il massimo favore.
FRANCESCO BORROMINI -1634/1644 
ROMA, CHIESA DI SAN CARLO ALLE QUATTRO FONTANE
Grandissimi  artisti - Gian Lorenzo Bernini, Francesco Borromini e Pietro da Cortona, giusto per citare  i  più  famosi   -  lavorarono sì nelle maggiori chiese, ma non solo.
Fecero volare la loro stupefacente fantasia in infinità di  palazzi e ville, dove la decorazione a stucco, spesso anche policroma, è l'elemento immancabile degli arredi interni e rende ancor più preziosi gli ambienti, sbizzarrendosi sulle cappe dei camini, sui contorni delle porte, sui fregi di soffitti e di pareti.
In Europa, il più grande, eccelso, inimitabile artista fu Giacomo Serpotta (Palermo 1656 – Palermo 1732) che trasformerà, decorando una trentina fra chiese ed oratori,  la sua città rendendola più bella, più felice dal punto di vista estetico e ineguagliabile come ricchezza di decori. 
GIACOMO SERPOTTA - 1685/1690 - PUTTI
PALERMO, ORATORIO DI SANTA CITA
Divenne il Magister Stuccator più ricercato, anche perché inventò la allustratura, uno strato finale di grassello e polvere di marmo che dava più lucentezza e nitore alle sue sculture.
I suoi putti, veri e propri bambini – che si trovano un po’ dappertutto – giocano e si divertono, occupando interamente gli spazi in un tripudio di acrobatici sollazzi che evidenziano, in tutte le pose immaginabili ed inimmaginabili, la loro paffuta anatomia.
GIACOMO SERPOTTA - 1685/1690 - PALERMO, ORATORIO DI SANTA CITA
Serpotta poi realizza intere ‘macchine’ e facciate, plasma forme che riportano alla bellezza pura ed astratta della grecità, ma anche alla drammaticità barocca, con tutto l’apparato scenografico caratteristico della teatralità di cui si investe il racconto.
Serpotta ci regala così l’unione tra linearità classica  e bizzarria barocca, consegnandoci la summa di quanto può uno stuccatore.
E se il buon Giacomo non fosse esistito e come lui tutti gli altri stuccatori, anonimi o famosi fa lo stesso, noi oggi non potremmo essere così gelosamente orgogliosi delle loro opere, povere ma belle, anzi, bellissime.

sabato 10 gennaio 2015

Venezia e San Pietroburgo: un'incredibile storia di altri tempi


RITRATTO DI PIETRO IL GRANDE
PAUL DELAROCHE - 1838
È la notte tra il 28 e il 29 luglio del 1698 e un misterioso personaggio vestito alla schiavona, con un gruppetto di accompagnatori al seguito, si aggira per le calli veneziane.
Di lui sappiamo il nome, Alekseevič Michajlov.
E da quel viaggio notturno, quasi per magia, una città prenderà forma.
Una forma particolare, del tutto simile a Venezia, tanto che guardandone la pianta rovesciata la similitudine è così evidente che lascia senza fiato.
PIANTA DI VENEZIA


PIANTA DI SAN PIETROBURGO

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Sveliamo il mistero: quel russo altri non era che lo zar Pietro I il Grande che viaggiava in assoluto incognito, con un gruzzolo di oltre 500 monete d'oro, e la città è San Pietroburgo, la creatura urbanistica  nata per  volere dello zar di tutte le Russie, geniale e spietato, romantico e sanguinario ma che amava Venezia così tanto da volerla riprodurre e immortalarla con il suo nome.
E il viaggio misterioso di Pietro non è l'unica novità nei rapporti fra le due città: il violinista che fa la spola tra San Marco e il Palazzo d'Inverno, che ora è l'Ermitage, trafficando in opere d'arte e riempiendo i palazzi russi di capolavori veneziani, Giacomo Casanova che tornando dalla città dello zar, in una via diventata ormai frenetica, incontra e abbraccia più volte Baldassare Galuppi alla frontiera, che là anche lui andava con tanto di virtuosa al seguito.
                        SAN PIETROBURGO - ERMITAGE
                                  SALA DEL PADIGLIONE
O ancora Francesco Algarotti che si imbatte in uno degli ultimi maestri d'ascia che lo zar fece venire nel 1697 dalla laguna per costruire la propria flotta di 130 galee, una enormità se si pensa che solo pochi anni prima la Russia non aveva neanche una scialuppa sul Baltico.
Gli zar di San Pietroburgo avevano un interesse antico per l'arte veneziana: il soffitto dell'Ermitage fu affrescato da Francesco Fontebasso, chiamato dall'imperatrice Elisabetta al posto di Giambattista Tiepolo che voleva per quel lavoro 5.000 zecchini, evidentemente troppo anche per la zarina.
GIORGIONE - 1504
GIUDITTA CON LA TESTA DI OLOFERNE
SAN PIETROBURGO, ERMITAGE
 
 
E ancora scultori e architetti, come quel Domenico Quarenghi la cui moglie partorì durante il viaggio, che progetta il teatro dell'Ermitage o per i soffitti della dimora che diverrà la dacia personale di Caterina II si scelgono quelli dipinti dai veneti Guarana, Diziani, Pittoni e Maggiotto, oltre quello realizzato da Tiepolo, irrimediabilmente perduto durante la seconda guerra mondiale e noto solo per i disegni del figlio Giandomenico.
Non solo soffitti e affreschi.
Sono centinaia i dipinti veneziani che fan bella mostra sulle pareti del museo della città russa, arrivati lì da ogni dove, direttamente commissionati agli artisti o comprati attraverso mediatori, qualche volta con un bel colpo di fortuna.
Come successe con il prezioso carico che arrivò a San Pietroburgo il 6 novembre del 1772.
Eccolo l'altrove di Venezia, una montagna di dipinti dalle firme a cui non servono commenti: Giorgione, Tiziano, Veronese e Tintoretto, Lorenzo Lotto e i Bassano.
A loro, giusto per non scendere di tono, si affiancano Raffaello e Rembrandt, Bernardo Strozzi, i Carracci e Rubens, Van Dick e Boucher.
A godere di tanta bellezza la zarina Caterina II, malata di collezionismo tanto da dettare regole ferree per chi andava con lei a visitare «l'Eremitaggio»: depositare all'ingresso spade e cappelli, ma «anche gradi, ambizioni e faziosità», non discutere con toni irati ma parlare con moderazione e a voce bassa «per non creare emicranie», non sospirare o sbadigliare e badare ai fatti propri.
LORENZO LOTTO - 1530 - RITRATTO DI GENTILUOMO
SAN PIETROBURGO, ERMITAGE
Punizioni severe per chi sgarrava, però ne valeva a pena.Il nucleo fondante del più importante museo russo era proprio quello, comprato dagli eredi del ricchissimo finanziere francese Pierre Crozat, morto nel 1740.
Fu proprio la zarina a vincere le difficili trattative per quell'acquisto così importante, con un contratto che per 460.000 livres assicurava alla Russia quadri straordinari, irripetibili e molto, molto veneziani. 

martedì 6 gennaio 2015

Rubens, il trionfo del Barocco


PIETER PAUL RUBENS - 1623
AUTORITRATTO
WINDSOR CASTLE, ROYAL COLLECTION
Quella di Pieter Paul Rubens è stata una vita intensissima che ha dato frutti immensi.        
Metodico e preciso quasi come  Kant sulle cui abitudini ci si poteva quasi regolare l’orologio, molto laborioso, diplomatico, marito e padre affettuosissimo, imprenditore di sé stesso, fu lui a far esplodere il Barocco.
Pieter Paul nasce a Siegen, in Germania, il 28 giugno del 1577, esule dalla sua Anversa, terra fiamminga  travagliata e semi distrutta dalla guerre di religione.
Vicissitudini  familiari che paiono un romanzo d'appendice lo riportano a casa, dove decide di rimanere per dare il suo contributo alla restaurazione della sua città, che appariva in quegli anni come un grande deserto, semidistrutta dopo le guerre di religione.
Il ragazzo ha talento: impara cinque lingue, poesia, letteratura e arte.
Va a bottega da un modesto pittore poi fa il tanto agognato viaggio in Italia, per aprire nuovi orizzonti e trovare una carriera folgorante.
E così è stato. Ma non solo.
PIETER PAUL RUBENS - 1623
DEPOSIZIONE DALLA CROCE
ANVERSA, CATTEDRALE
Con lui il barocco trionfa, i colori e le carni esplodono, l'enfasi dei personaggi, la ricchezza delle forme, l'opulenza delle sue donne formose, i ritratti più vivi che mai e la ridondanza delle scene sono l'unica strada da seguire.
Diventa pittore di corte dei Gonzaga a Mantova.
Il primo importante passo è stato fatto.
Da lì in avanti saranno solo successi.
Il suo stile, molto caratteristico, è basato sull’ampio dilatarsi delle figure nello spazio e nella ricchezza del colore.
Il trittico della Deposizione dalla croce, una delle opere più emozionanti della pittura sacra barocca, è il riassunto di tutte le esperienze giovanili ma anche l’avvio di una carriera rapidissima.
Il successo non lo ha cambiato: rimane generoso, affabile, saggio, buono e con una forte dose di diplomazia.
Nel 1618 dipinge un vero capolavoro: il Ratto delle figlie di Leucippo.
PIETER PAUL RUBENS - 1618
IL RATTO DELLE FIGLIE DI LEUCIPPO
 MONACO, ALTE PINAKOTEK
Tutto ruota, ma in perfetto equilibrio, come fosse un colossale meccanismo.
E’ uno dei vertici assoluti della pittura mitologica, declinata come ondata sensuale di forme e di colori: i nudi prosperosi delle ragazze accolgono la luce diffusa del sole e Rubens gioca con i suoi riflessi, mentre i cavalli aggiungono un brivido animalesco, un fremito bestiale.
Ma il destino è sempre in mezzo e il 20 giugno del 1626 muore l’amatissima moglie Isabella.
Sembra un colpo duro da sopportare, ma nel dicembre del 1630 sposa la diciassettenne Elena Fourment, dando adito a mille e più pettegolezzi, visto che lui ha già 53 anni.

PIETER PAUL RUBENS - 1639/1640
RITRATTO DI ELENA FOURMENT
L'AJA, MAURITSHUIS









Però per lui è un’esperienza travolgente e la bellezza carnale della bionda Elena sarà presente in molti suoi quadri.
Oramai famosissimo, il pittore più richiesto d’Europa da molte teste coronate, letteralmente sommerso dagli impegni, Rubens riesce a soddisfare tutte le richieste grazie ad un atelier organizzatissimo e grandioso.
Nella sua casa di Anversa, luminosa e ampia, oltre alla sua enorme collezione di quadri e sculture, lavoravano molti artisti, che si suppone fossero almeno un centinaio, ed è la più grande fucina del barocco, da dove passarono tutti i più importanti pittori fiamminghi.
Certo  è che la sua officina sfornava opere di continuo, pagate molto ma molto bene, e  lui, onesto, ammetteva i molti interventi della bottega.


PIETER PAUL RUBENS - 1606
RITRATTO DI GIOVANNI CARLO DORIA
GENOVA
 GALLERIA NAZIONALE PALAZZO SPINOLA
Non avrebbe potuto fare altrimenti: la sua fama è dovuta a opere di dimensioni  notevolissime, a grandi cicli pittorici e migliaia di dipinti.Da solo non ce l'avrebbe mai fatta, neanche fosse vissuto trecento anni.
C’era chi si occupava dei paesaggi, delle nature morte, delle architetture, di dipingere quel che lui con il suo genio abbozzava.
Rubens muore il 30 maggio del 1640 e lascia alla moglie e ai figli la sua collezione di 314 quadri tra cui Tiziano, Tintoretto, Bruegel, Van Dick, che, messa all’asta, frutterà l’eccezionale somma di 70.00 fiorini, oltre ai 400.000 fiorini degli altri beni.
L’eredità più cospicua però l’ha lasciata a noi: la sua pittura barocca, con buona pace degli aiuti, lascia senza fiato.

venerdì 2 gennaio 2015

Michelangelo: genio solitario e scorbutico

MICHELANGELO - LA PIETA' - 1498
CITTA' DEL VATICANO, BASILICA DI SAN PIETRO
Quattro ore prima dell'alba di lunedì 6 marzo 1475, a Caprese nei pressi di Arezzo, nacque Michelangelo Buonarroti, destinato a esercitare con il suo genio un influsso di inestimabile portata. 
Vuole a tutti i costi fare lo scultore: per lui l’immagine si trova già allo stato potenziale dentro il blocco di marmo grezzo e lo scultore deve solo liberarla asportando la materia superflua.
Il suo destino era evidentemente già segnato su qualche fulgida stella: va a balia da una famiglia di scalpellini, di cui si ricorderà per sempre.
Asseriva infatti di aver succhiato con il latte di lei "gli scalpelli e il mazzuolo".
E la sua strada, solitaria ma colma di gloria può iniziare.
MICHELANGELO
DAVID - 1501
FIRENZE
PIAZZA DELLA SIGNORIA
Come tutti a quell'epoca, si trova un protettore, nella fattispecie Lorenzo il Magnifico e a diciassette anni è già famoso.
Ma lui, spirito geniale ma intuitivo, capisce che la situazione fiorentina va verso la decadenza e lascia la città: comincia la vita errante da vero artista rinascimentale.
Alla fine del secolo da Firenze va a Roma dove nasce il primo dei suoi capolavori: ha ventitré anni quando scolpisce, o meglio, tira fuori la Pietà dal marmo, opera esemplarmente cristiana che riprende audacemente il tema gotico e nordico della salma del Cristo adagiata in grembo alla Madonna come fosse un bambino che dorme, e lei è giovane, come quando Cristo era bambino, e sembra quasi che voglia sussurrargli una ninna nanna.
Del 1501 è di nuovo a Firenze e nasce il David, dove riesce a rendere vivo il  movente morale del ragazzo, la tensione interiore che precede lo scatto del gesto e non l'azione vera e propria.
Difficile operazione, considerato che il pezzo di marmo era già stato abbozzato da altri, ma lui riesce comunque a tirargli fuori quel che voleva.
Torna a Roma per servire il papa in persona, Giulio II Della Rovere, vecchio e formidabile pontefice dall’anima guerriera, di cui si diceva avesse gettato nel Tevere le chiavi di San Pietro per tenere solo la spada di San Paolo.
MICHELANGELO - 1513/15 MOSE' - PARTICOLARE
ROMA, TOMBA DI GIULIIO II
 BASILICA DI SAN PIETRO IN VINCOLI
Gli affida il proprio monumento funebre e Michelangelo va di persona a scegliere i marmi a Carrara.
Ma questo monumento da cui attende la gloria, sarà invece la tragedia della sua vita, perché tra modifiche, rinvii e discussioni con il papa, andò avanti 40 anni per poi concludersi con una soluzione di ripiego.
Fece il Mosè, grandiosa scultura di uomo forte e vigoroso, un soggetto a lui molto caro.
Mai fece donne esageratamente femminili - se si esclude la Madonna nella Pietà, dolcissima figura di madre che lui non aveva quasi conosciuto - preferiva ritrarre uomini giovani e virili, potenti nella loro immobilità, da qui anche le chiacchiere sulla sua presunta omosessualità.
Ma Michelangelo era più forte delle chiacchiere, il suo genio se ne faceva un baffo degli stolti che sparlavano di lui. 
Il pontefice guerriero gli affida quindi la decorazione della volta della Cappella Sistina, un lavoro titanico, 40 x 13 metri a 20 di altezza, che inizia nel 1508: “Io sto qua in grande affanno e con grandissima fatica di corpo e non ho amici e non ne voglio”.
MICHELANGELO - VOLTA DELLA CAPPELLA SISTINA - LA NASCITA DI ADAMO - 1508/1512
E' l'opera che più di tutte lo rappresenta: un immenso affresco in cui immettere le balenanti visioni bibliche savonaroliane, la sua percezione della Fede, dei Profeti e della creazione dell'uomo con Dio inserito in quel che pare la sezione di un cervello.
La verità è che accettò l’incarico contro voglia, ma non solo.
Sostituì lo schema già deciso dal papa con il suo, ben più complesso, il che volle dire litigate furiose con Giulio II.
E' la sua straordinaria rivoluzione, di portata epocale.
MICHELANGELO
VOLTA DELLA CAPPELLA SISTINA
IGNUDO, PARTICOLARE
Per la prima volta la concezione dottrinale è dell’artista e l’architettura dipinta non è solo cornice ma parte integrante dell’opera.
Il collerico Giulio II lo fa impazzire: sale sui ponteggi e lo minaccia col suo bastone infuriandosi per un lavoro che non aveva mai fine.
Ma il 31 ottobre 1512 la volta terminata svela agli occhi di tutti le sue terribili storie bibliche e le figure di Sibille e Profeti affacciati sull’abisso del futuro con colori forti, decisi, come sculture dipinte.

MICHELANGELO - 1559ca
PIETA' RONDANINI
PARTICOLARE
MILANO, CASTELLO SFORZESCO






Polemiche a non finire, ma vinse lui, a dispetto di chi diceva che non era capace a dipingere ad affresco, delle invidie degli altri artisti e malgrado il suo temperamento tempestoso e tormentato.
È il 1520 e nella tecnica del "non-finito" immette in maniera drammatica l’angoscia dell'artista per la condizione umana, l’ossessione del peccato, della morte, la speranza della salvezza e della liberazione, tutte le sue angosce, le sue ansie e le sue pulsioni, trovando il culmine nella struggente Pietà Rondanini, il suo testamento spirituale a cui era ancora la lavoro nei giorni precedenti la morte.
Le ultime opere monumentali, il Giudizio Universale, la cupola di San Pietro e Piazza Campidoglio, iniziano nel 1534 ma lui ha quasi sessant’anni, è stanco e ossessionato da pensieri di morte.
Dopo una vita intera passata senza un vero amore, chiuso nel suo essere scorbutico e sdegnoso, il terribile vecchio incontra, nel 1537, la donna della sua vita, Vittoria Colonna, l’unica capace di spezzare il cerchio della sua solitudine spirituale non con un vero amore, di cui però ne ha tutta la dolcezza, ma con una profonda amicizia.
Lei morirà dieci anni più tardi, provocandogli un enorme dolore e lasciandolo nuovamente solo a combattere contro i fantasmi della solitudine. 
Michelangelo muore a Roma il 18 febbraio 1564 a 89 anni e il nipote di nascosto trasportò a Firenze il suo corpo, dove gli fecero solenni funerali di stato.
Il suo corpo è sepolto a Firenze a Santa Croce  ma il suo spirito è vivo più che mai e rinasce ogni volta che qualche piccolo, insignificante umano muove lo sguardo verso una delle tante incredibili meraviglie nate dal suo cuore, dalla sua mente e dalle sue mani.