mercoledì 23 agosto 2017

lunedì 7 agosto 2017

Il mio nuovo libro!

 
E' uscito oggi il mio nuovo libro:
Dimore di personaggi illustri dell'Emilia Romagna.
La dimora, la casa: un luogo di incontro, di gioia e di amore, ma anche il luogo dove la fantasia non ha limiti, dove la creatività varca l’infinito e prendono forma idee innovative e geniali, dove hanno vissuto gli uomini che hanno lasciato un segno fondamentale e unico nella storia, nell’arte, nella musica, nella letteratura, nell’imprenditoria o nel cinema.
Un viaggio dentro le dimore - modeste, borghesi o straordinariamente ricche - di coloro che hanno dato lustro a una regione fantastica con la loro fenomenale vita, raccontata - anche con aneddoti e curiosità - con un linguaggio semplice e accattivante, come è mio solito scrivere.
Corredato da un ricco apparato iconografico, il libro, pubblicato da Editoriale Programma, vi porta nelle dimore descrivendole, oltre a dare le indicazioni sugli orari di apertura e sul costo, ove ci sia, dei biglietti di ingresso.
Ecco allora che si può ritrovare il fascino aristocratico di Silvia Baroni Zanelli, l’ultima musa ispiratrice di Carducci, nella sua villa e nel suo parco diventato un vero giardino letterario.
O ancora sognare a occhi aperti come bambini nei luoghi amati da Fellini e Tonino Guerra o nella vecchia casa/officina di Enzo Ferrari.
E come non andare a fare una gita nella villa di Giuseppe Verdi, dove visse, con grande scandalo all’epoca, con la sua amata Giuseppina creando opere immortali che ancora oggi ci fanno emozionare, piangere e sognare?
 
Il libro è in vendita con Il Resto del Carlino e sul sito di Editoriale Programma.





mercoledì 2 agosto 2017

Giovanni Boldini e la Belle Époque

Giovanni Boldini - La signora in rosa
Ferrara, Museo Giovanni Boldini
Pochi artisti sono riusciti ad intrecciare così profondamente la propria esperienza umana con lo spirito dell’epoca a cui appartengono, fino a diventarne l’interprete per antonomasia, come ha saputo fare Giovanni Boldini con la Belle Époque.
E’ dal numero 10 di via Volta Paletto a Ferrara che inizia l’avventura di Giovanni e proprio lì nasce sabato 31 dicembre 1842.
Suo padre, Antonio, pittore e restauratore, fu il suo primo maestro, da cui imparerà perfettamente l’uso di colori e vernici. Ventenne, va a Firenze, quando ha già ottima dimestichezza con ritratti e paesaggi.
Il Caffè Michelangelo sarà una delle sue mete quotidiane dove incontra i Macchiaioli, iniziando così
una sua via personale verso il realismo.
Giovanni Boldini - Autoritratto - 1892
Firenze, Galleria degli Uffizi
Da Firenze si sposta a Londra, ambientandosi assai bene tra i vari club e i salotti dell’alta società.
E’ nella capitale d’oltre Manica che studia i grandi ritrattisti inglesi settecenteschi e ottocenteschi e segue le nuove tendenze di Turner e Constable, che influenzeranno moltissimo la sua pittura.
Ma è a Parigi, dove giunge nel 1871, che farà fortuna. Vive con Berthe, la sua bellissima modella, al numero 12 di Avenue Frochot.
Piccola parentesi: Giovanni era bassissimo, non superava il metro e mezzo di altezza, ma aveva fascino da vendere, sì che ebbe un turbinio di amanti e di donne meravigliose, tra cui la contessa Gabrielle de Rasty, anche se si sposerà solo nel 1929, ottantasettenne, con Milly Cardona, trentenne giornalista della Gazzetta del Popolo di Torino che conobbe a Parigi tre anni prima quando lei lo intervistò, e che gli sarà compagna fedele per gli ultimi tre anni di vita, sostenendolo e dividendone il crepuscolo.
A Parigi incontra De Nittis, Degas, Mariano Fortuny che lo introducono nel mondo artistico della città, grazie anche alla Galleria Goupil, i mercanti d’arte olandesi per cui lavorava anche Van Gogh.
Diventa molto amico di Manet e soprattutto di Monet: la loro pittura è vicina. I tre sono legati anche dalla passione per il teatro e per la danza e Giovanni ama la vita elegante, la mondanità e le belle donne.
Sul piano prettamente artistico, Boldini coglie la dinamica della rappresentazione istantanea, della scintilla di vita irripetibile e fugace, ma a differenza dello stile en plein air degli Impressionisti, molto vicine alle suggestioni dei Macchiaioli che aveva da poco lasciato, predilige l’interno del suo studio. Boldini coglie alla perfezione il motivo del vero, perché la sua pittura è basata su una velocità di esecuzione in quanto giocata sulla figura umana, sulla donna che viene sottratta alla quotidianità per essere trasfigurata in una condizione regale, di divinità terrena basata sulla bellezza.
Ed è soprattutto rispetto alla figura femminile che la sovrapposizione tra la vita di Boldini e la Belle Époque diventa totale.
In questi anni il costume e la moda diventano fenomeni di massa e la donna sente che è arrivato il momento di assumere un ruolo dove la femminilità possa essere esibita con una maggiore libertà espressiva.
Giovanni Boldini
Ritratto di Franca Florio
Collezione privata
Giovanni gioca sulle corde della sensibilità femminile, ma non si limita alla riproduzione della bellezza, indugiando piuttosto sulla consapevolezza di un ruolo, in cui il fascino della sensualità è esaltato anche dall’abbigliamento.
La donna, ‘liberatasi dalle ingabbiature che costringevano il suo corpo nella crinolina’, privilegia gli abiti che ne possano valorizzare la figura e svelarne generosamente le grazie.
E’ una donna spensierata e galante, consapevole della propria forza seduttiva.
I corpi traspaiono dalle mussole, dalle arricciature, dai volants e dalle piume in un clima contraddistinto da una sensualità dilagante.
I nuovi abiti celebrano la rinnovata snellezza dei corpi e risultano adeguati alle molteplici attività e libertà che non sono più precluse all’altra metà del cielo. In questo delicato e controverso passaggio dell’emancipazione femminile, la moda acquisisce le sembianze di uno specchio della società: uno specchio ricco di seduzioni per l’arte.
Nella stagione della Belle Époque l’arte celebra il mito della femme fatale, della donna di charme, che nutrirà a lungo l’immaginario artistico fino a incidere profondamente anche nelle avanguardie novecentesche.
E le belle donne facevano a gara per farsi ritrarre da lui, tra decolletès e piume di struzzo, tra pellicce e gioielli, tra fiumi di seta e sguardi ammiccanti.
Due sono oltremodo significativi: il Ritratto di donna Franca Florio, del 1924 anche se iniziato nel 1901,  e passato di mano in mano attraverso aste milionarie. La Florio era la regina dei salotti palermitani e Boldini fu costretto a ritoccare il dipinto a causa della risentita gelosia del potente marito. Il quadro è straordinario, realizzato con pennellate veloci e guizzanti, come se volesse cristallizzare il movimento della donna nel suo abito di velluto nero fasciante.
Ma era la sua tecnica: non voleva che le sue modelle stessero ferme, le faceva camminare, muovere, per riuscire a coglierne il movimento in ogni loro particolare.
Giovanni Boldini - Ritratto della contessa Luisa Casati - 1914
Roma, Galleria Nazionale di Arte Moderna
Giovanni Boldini - 1886
Ritratto di Giuseppe Verdi
Roma, Galleria Nazionale di Arte Moderna
Il secondo, il Ritratto della contessa Luisa Casati, del 1914, alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma, che consacra la leggenda della donna, ricchissima ereditiera: amante di D’Annunzio, eccentrica, collezionista d’arte e opera d’arte lei stessa, musa degli esponenti del Futurismo e morta in povertà per gli spaventosi debiti accumulati durante tutta  la sua vita.
E’ ritratta in un sublime dipinto dove la nobildonna, icona di sensualità, è esaltata da un tripudio di piume di pavone e aleggia un qualcosa di conturbante, ma di straordinario effetto.
E ancora il Ritratto di Giuseppe Verdi, realizzato a pastello nel 1886 e ora a Roma alla Galleria Nazionale di Arte Moderna, dove il sommo compositore è visto a mezza figura, con fascia bianca al collo e cilindro ed è di una sorprendente vivacità espressiva.
Leggenda vuole che Verdi non trovasse il tempo di posare per Boldini, tanto che il pittore lo invitò a colazione per averlo tutto per lui almeno un’ora e poterlo così ritrarre.
 
Quello di Verdi è sicuramente uno dei più bei ritratti del Novecento.
Gli ultimi anni della sua vita, confortati da Milly, sono un vero e proprio crepuscolo, velato dall’ombra buia della cecità, dopo le grandi gioiose fantasmagorie di un’esistenza piena e operosa, ricca di splendidi immagini colorate di un’epoca quanto mai raffinata ed elegante, non priva di grandi passioni e di alta poesia.
Giovanni muore sabato 11 gennaio 1930 a Parigi ma volle essere sepolto nel cimitero di Ferrara vicino ai suoi genitori.

mercoledì 26 luglio 2017

lunedì 17 luglio 2017

Quarto Stato: il manifesto politico di Pellizza da Volpedo


Giuseppe Pellizza da Volpedo - Quarto Stato - 1901
Milano, Museo del Novecento
E' il manifesto dell'orgoglio proletario e della sua avanzata verso un futuro migliore, verso il progresso, divenuto una vera icona per la classe operaia e non solo.
L'idea di lanciare completamente la sua arte in favore dei lavoratori, gli venne dopo aver visto uno sciopero nelle sue terre. Una presa di posizione a lungo ponderata e studiata sui libri che avevano come argomento la Rivoluzione Francese, che iniziavano a trovarsi anche in edizione economica, e che lui letteralmente divorò.
Ci vollero parecchi anni prima che Giuseppe Pellizza da Volpedo, nato il 28 luglio 1868 nato nel paese  in provincia di Alessandria da cui prese il nome, arrivasse a questo risultato.
Giuseppe Pellizza da Volpedo - Ambasciatori della fame - 1891
Collezione privata   
Una decina di anni prima, aveva dipinto un bozzetto, Ambasciatori della fame: è l'embrione di quel che sarà il suo capolavoro.
La scena è questa: una schiera di braccianti che avanza all'apparenza frontalmente, guidata in primo piano da tre persone a grandezza naturale. L'uomo al centro è affiancato, in posizione leggermente arretrata, da un secondo lavoratore più anziano e da una donna con un bimbo in braccio.
Il tutto si svolge su una piazza illuminata dal sole chiusa sul fondo da macchie di vegetazione e da una porzione di cielo bluastro.
La posizione dei personaggi, tutti reali e con nome e cognome, fu lungamente studiata da Giuseppe e lo si può sapere dai tantissimi -  e bellissimi - disegni preparatori.
Ho scritto poc'anzi 'all'apparenza frontalmente': già, perché né i tre in primo piano, né la schiera dei braccianti dietro, sono su un'unica linea, bensì hanno una impostazione leggermente a cuneo e  questo effetto è ben evidenziato dalle loro ombre.
Perché li ha voluti così?
Per evitare che fossero una massa statica e pesante e a suggerire, nel contempo, il fatto che fossero davvero in marcia.
 
Una marcia implacabile.
Un dipinto pacato che ha una forza fenomenale e indistruttibile, una forza interna che lascia senza fiato, con lo stomaco aggrovigliato, con il cuore impazzito, con il groppo in gola.
E lo si vede da un particolare: il passo, deciso e sicuro dell'uomo in primo piano con il gilet rosso, il colore più acceso in mezzo ai toni del marrone e del verde. Ed è un passo colmo di dignità, di quella dignità che si raggiunge solo ed esclusivamente con il lavoro. 
Quarto Stato è un dipinto che emoziona, che non ci si stanca di guardare, che si ammira in quella prima stanza del museo milanese che sembra essere una sorta di santuario laico del lavoro, dell'abbruttimento della  fatica, del sudore, della miseria ma soprattutto del riscatto.
Lo si sente e lo si percepisce come una spinta per migliorarsi, per avere successo, per non sentirsi una pedina nel bel mezzo dei giochi di potere.
Giuseppe Pellizza da Volpedo ci ha regalato la consapevolezza del nostro valore, della propria forza, qualunque lavoro si faccia, che sia manuale o intellettuale.
Questa massa unita che cammina verso il domani, vale assai di più di qualsiasi discorso sindacalista o politico, anche se urlato in piazza in mezzo allo sventolio di bandiere, perché è un quadro 'vero' ed ha una modernità assoluta.
Dovrebbe essere anche un 'santino' da tenere in tasca per chi cerca lavoro, per dare più forza al proprio impegno, per chi lo ha ma è cosciente che basta un nonnulla per perdere i diritti, anche quelli più vitali e indispensabili, per chi è frustrato da scarsa soddisfazione economica e umana.                           
Ma deve essere anche di monito a chi il lavoro lo tratta male.
Un severissimo monito a persone che hanno il senso di responsabilità e lealtà sotto le scarpe, ma si prendono beffa di un simile tesoro. Le tante notizie di cronaca raccontano di assenteismo, menefreghismo o incuria e questo - ahimè - succede ogni giorno.
Perché sappiamo che è faticoso, che ci fa arrabbiare, che qualche volta o spesso ci pesa, ma sappiamo anche che il lavoro è vita.  
La storia ci racconta che Giuseppe si impiccò nel suo studio il 14 giugno del 1907, preso dalla disperazione per la morte della moglie, Teresa Bidone, una contadina sposata nel 1892.                                                                                 
 
Giuseppe Pellizza da Volpedo - Quarto stato - Particolare
 


lunedì 10 luglio 2017

Il mio nuovo video su Paul Camille Guigou


Il mio nuovo video, con tante immagini bellissime dei suoi quadri, su Paul Camille Guigou, il cantore della Provenza, terra profumata e incantevole.
Sul mio canale YouTube:

martedì 4 luglio 2017

Il Rosso Fiorentino: un italiano a Parigi

Giorgio Vasari - Ritratto di Rosso Fiorentino - 1548 - affresco
Arezzo, casa di Giorgio Vasari
Era dotato di bellissima presenza; il modo del parlar suo era molto garbato e grave; era bonissimo musico et aveva ottimi termini di filosofia, e quel che più importava più che l’altre sue bonissime qualità, fu che egli del continuo nelle composizioni delle figure sue era molto poetico, e nel disegno fiero e fondato, con leggiadra maniera e terribilità di cose stravaganti, et un bellissimo compositore di figure. Nella architettura fu garbatissimo e straordinario, e sempre per povero ch’egli fosse, fu ricco d’animo e di grandezza”: eccolo il superlativo giudizio che dà il Vasari di Giovan Battista di Jacopo di Gasparre, detto il Rosso Fiorentino per via del colore dei suoi capelli, nato a Firenze domenica 8 marzo 1485.
Del giugno del 1514 è il saldo dovuto per la sua prima opera certa: l’Assunzione della Vergine nel Chiostrino dei Voti della Santissima Annunziata, opera che fece per intercessione del suo maestro, Andrea del Sarto, con un cielo di angeli nudi che ballano intorno alla Vergine.
Rosso Fiorentino - 1518
Pala dello Spedalingo
Firenze, Galleria degli Uffizi
 La Pala dello Spedalingo, ossia il termine del committente Leonardo Buonafede derivante dal ruolo, vale a dire il rettore dell’Ospedale di Santa Maria Novella, è un dipinto del 1518, in origine destinato alla chiesa di Ognissanti e ora alla galleria degli Uffizi. Questa pala ha una storia bizzarra: Buonafede non la volle, tanto che fu poi messa in una chiesetta sperduta, perché, come racconta Vasari, il Rosso aveva dipinto i personaggi con “arie crudeli e disperate”, anche se “nel finirle poi addolciva l’aria e riducevale al buono”.
Nel 1518 una vicenda giudiziaria gli turba il sonno: un creditore voleva essere pagato e non potendolo saldare, viene condannato all’esilio, così va a Piombino ospite di Jacopo V Appiani, per il quale dipinge un “bellissimo” Cristo morto, quindi parte per Volterra, dove realizza una formidabile Deposizione, ora nel Museo Civico locale, ovvero della cittadina patria della lavorazione dell'alabastro, considerata da tutta la critica il suo capolavoro.
Rosso Fiorentino - Deposizione - 1518
Volterra, Museo Civico

E' un quadro che lascia senza fiato, come un pugno nello stomaco, di cui ci si ricorderà per sempre per le emozioni forti che regala.
Senza dubbio uno dei dipinti più sconvolgenti del XVI secolo, frutto di una complessa e forzata struttura compositiva e investito di un’intensità emotiva quasi insostenibile, con personaggi pietrificati in atteggiamenti drammatici e colori innaturali stesi in maniera compatta. Impressionante è anche il cielo, un’autentica cappa di piombo che grava incombente sulla scena, mentre le tre scale sono puri espedienti scenografici.
Intorno al 1521 però torna a Firenze, dove lavora alle ultime opere nella sua città: lo Sposalizio della Vergine e Mosè difende le figlie di Jetro, che poi donerà al re Francesco I di Francia.
L’anno dopo, complice anche la peste che si era ancora una volta abbattuta sulla sua città, parte per Roma, dove papa era Clemente VII, un esponente della famiglia Medici.
Al Museum of Fine Arts di Boston si conserva un Cristo morto sorretto da quattro angeli che il Rosso dipinse nel suo soggiorno romano, dove evidente è il richiamo alle figure scultoree di Michelangelo.
Rosso Fiorentino - 1521 - Putto che suona
Firenze, Galleria degli Uffizi
E’ il 1527, l’anno del Sacco di Roma da parte dei Lanzichenecchi, che lo catturano, lo derubano, lo umiliano, “scalzo e senza nulla in testa, gli fecero portare addosso pesi, e sgombrare quasi tutta la bottega di un pizzicagnolo” per poi lasciarlo libero. Il Rosso va via dalla città eterna così come fecero quasi tutti i suoi colleghi, che riempirono l’Europa di talenti italiani. 
Va a Perugia e da lì a Sansepolcro, ospite del suo coetaneo Leonardo Tornabuoni, vescovo, con cui era amico, dove dipinge la Deposizione per la locale chiesa di San Lorenzo: “cosa molto rara  e bella, per avere osservato ne’ colori un certo che tenebroso per le eclisse che fu la morte di Cristo, per essere stata lavorata con grandissima diligenza”.
Inizia un periodo tormentato per l’artista, che girovaga un po’, da Sansepolcro va a Città di Castello da dove ritorna a Sansepolcro per poi ripartire e andare a Pesaro prima e a Venezia poi, finché nell’autunno del 1530 è a Parigi.
Rosso Fiorentino - Pietà - 1540 circa - Parigi, Museo del Louvre
Nella capitale francese, è accolto con onori dal re Francesco I che, oltre allo stipendio come pittore, gli concede anche una casa. Qui dipinge la Pietà, oggi al Museo del Louvre.
Ma più che a Parigi, il nostro passa tutto il suo tempo nella reggia di Fontainebleau, dove le sue opere purtroppo sono poco leggibili perché deteriorate. Ma qui fa di tutto: Vasari racconta che disegna “saliere, casi, conche et altre bizzarrie, abbigliamenti di cavalli, di mascherate, di trionfi e di tutte l’altre cose che si possono immaginare, e con sì strane bizzarre fantasie che non è possibile far meglio”.
La sua morte sembra ancora un mistero: Vasari dice che si suicidò con il veleno domenica 14 novembre 1540, fatto che scosse assai il re.
Le opere da lui commissionate al Rosso, vennero poi terminate dal Primaticcio, che diede origine alla scuola di Fontainebleau, paradiso del Manierismo.

domenica 2 luglio 2017

Il mio nuovo video su Vanessa Bell

Sul mio canale YouTube è visibile, con molte immagini, il mio nuovo video su Vanessa Bell, la donna fulcro dell'avanguardia del Novecento inglese, non solo la sorella di Virginia Wolf:

martedì 27 giugno 2017

Il mio nuovo video su Berthe Morisot

Sul mio canale YouTube è visibile il mio nuovo video su Berthe Morisot, la first lady dell'Impressionismo, con tante immagini.
 

domenica 25 giugno 2017

Cari affezionati lettori,

 
Cari e affezionati lettori,
curare un sito significa un dispendio di energie mentali e fisiche per le tante ore passate a fare ricerca, a leggere, a studiare, a scrivere, a registrare e poi ad assemblare i video.
Io sono molto felice di fare cultura e sono assai orgogliosa di farvi conoscere artisti di cui magari avevate appena sentito il nome e di cui si scrive troppo poco o di approfondire quadri importanti.
Tutto questo finora l'ho fatto senza il minimo riscontro economico.
Ora il sito, la mia creatura virtuale, ha qualche anno, è cresciuto, è molto visitato e appare per molti argomenti nelle prime pagine dei motori di ricerca.
Ma oltre a questo ha anche dei costi.
Per questo ho voluto inserire il pulsante 'Donazione', per coprire le spese che comporta e avere la soddisfazione di sapere che qualcuno di voi ritiene il mio lavoro utile.
Per questo, vi ringrazio fin da ora se vorrete, anche in piccola parte, aiutarmi a far sì che continui a scrivere, a informarvi, a farvi conoscere qualcosa di più dello straordinario e fenomenale mondo dell'arte.
Grazie!


mercoledì 21 giugno 2017

Giovanni Fattori: la pittura come poesia


Giovanni Fattori
Autoritratto
Firenze, Galleria di Arte Moderna
di Palazzo Pitti
Può darsi che anche non vivendo a Parigi o nella profumata Provenza come gli Impressionisti, bensì a Livorno, l’insofferenza all’accademismo romantico e al purismo oltre all’esigenza di un’arte in cui confluissero le pulsioni e i problemi della vita contemporanea, si percepisse ugualmente.
Prova ne è Giovanni Fattori, nato a Livorno martedì 6 settembre 1825 da una famiglia di artigiani, pittore di sicuro talento, che nelle accese discussioni al caffè Michelangelo di Firenze, tra il 1850 e il 1860, con “una classe di giovani artisti divenuti nemici dei professori accademici”, pose le basi del movimento pittorico più importante dell’Ottocento italiano, di cui divenne l’indiscusso protagonista.
Giovanni Fattori
Il buttero - 1900
Il senso della novità era data dal fatto, diceva Giovanni, che in natura esistono ‘macchie’ di colore senza contorni.
Questa fu la molla che animò i Macchiaioli, un movimento non solo pittorico ma politico, con quel caffè non solo enclave artistica ma ritrovo in un’atmosfera eroica delle stesse affinità elettive risorgimentali.
E vien da chiedersi il perché Fattori, Segantini, Lega, Mancini o Spadini non abbiano avuto lo stesso successo dei loro alter ego francesi.
Forse perché Parigi è una capitale, forse perché il mercato dell’arte è sempre stato bizzarro, forse perché loro non erano bohemienne o forse perché coinvolti politicamente non pensavano solo se persone, oggetti o paesaggi dovessero essere trattati pittoricamente allo stesso modo. 
Mistero, che prima o poi dovrà comunque essere risolto.
La vita sentimentale di Giovanni non fu meno turbolenta: si sposò il 4 giugno 1891 con Marianna Bigazzi ma lei morì nel 1903 e lui si risposò, nel 1907, con un’amica della moglie, certa Fanny Marinelli, che morì anche lei l’anno dopo.
A quel punto Giovanni non pensò più al matrimonio, ma soltanto a divertirsi con le giovani e avvenenti allieve a cui insegnava privatamente i rudimenti della pittura.
Giovanni Fattori - Carica di cavalleria - 1877 - Collezione Sacerdoti Ferrario
Comunque, proprio perché coinvolto nell’ideale risorgimentale, nell’estate del 1868 Fattori andò ad assistere alle grandi manovre di Fojano della Chiaia, le prime dell’Italia unita, dirette da Nino Bixio.
Lì trasse dal vero una numerosa serie di disegni, ma soprattutto colse gli aspetti quotidiani della vita del soldato, i suoi momenti meno eroici, l’abnegazione e il senso del dovere, la disciplina nell’obbedienza agli ordini, anche quando questo comporta fatica, sopportazione e ripetitività.
Forse Fattori vedeva nella vita di quei soldati di ronda e  nel contatto con la natura un qualcosa che li accumunava alla vita dei butteri della sua Maremma, che divennero anch’essi protagonisti di molte sue tele.
Giovanni Fattori - In vedetta - 1871 - Fondazione Progetto Marzotto
Ecco allora che nasce In vedetta, che dipinse nel 1871: un abbagliante muro bianco di cinta intorno a cui muovono i soldati.
L’ambiente è descritto in modo essenziale, quasi astratto, dominato dall’abbacinante paesaggio inondato dal sole di mezzogiorno.
Immersi in quella che appare una soffocante, caldissima giornata, tre soldati, appesantiti dalla divisa e dalla canicola, compiono la ronda del muro perimetrale di un fortino. 
I due più arretrati scrutano un orizzonte inesorabilmente piatto, oppresso da un cielo color cobalto striato da una condensa afosa.
Solo i cumuli del terriccio e lo sterco dei cavalli, insieme ai solchi delle ruote dei carri nella terra, segnano in maniera realistica la strada e accennano una prospettiva.
Giovanni Fattori - La Pattuglia - 1875
La Pattuglia del 1875 è una sorta di manifesto della sua intera opera per la luminosità e la magia del tempo sospeso che infonde in ogni pennellata.
Il colore si conforma in ombre e luci di strutture plastiche, l’intatto equilibrio di rapporti cromatici e tonali definisce prospetticamente lo spazio con una verginità espressiva che, nel muto colloquio con sé stesso, descrive l’umile malinconia di quel piccolo mondo militare, con le figure che riacquistano una loro arcaica genuinità che si converte in incontaminata poesia.
Giovanni Fattori - Buoi al carro - 1867
Nei Buoi al carro, del 1867, riesce a restituire l’atmosfera silenziosa e sospesa della campagna assolata, la solenne e concreta presenza dei due buoi aggiogati.
Giovanni Fattori - 1866
La Gramignaia
Così per i ritratti, come  la Gramignaia e Fanny Fattori, icone di un’arte antiretorica, simboli di una rustica bruschezza.
Quella di Fattori è poesia senza riserve che totalmente si esprime attraverso il colore, il segno, la sua personalissima visione della vita.
Una poesia fatta di piena adesione all’immagine e di amore, infinito e candido.
Giovanni muore a Firenze 30 agosto 1908, pianto da tutta la città.
 
 
Nel mio canale YouTube il video su Giovanni Fattori:


giovedì 15 giugno 2017

Masaccio: il primo grande pittore del Quattrocento

Masaccio - Autoritratto
Firenze, Cappella Brancacci
Il primo grande pittore del Quattrocento appartiene alla cerchia di Donatello e di Brunelleschi, con cui era legato da profonda amicizia e di cui condivideva le ricerche nel campo della prospettiva, le istanze umanistiche e le idee innovatrici.
Si tratta di Tommaso di Ser Giovanni di Mone, universalmente noto con il nome di Masaccio, nato in San Giovanni Valdarno mercoledì 21 dicembre del 1401.
Pur vivendo pochissimo, morì a Roma,  si dice avvelenato, a soli 26 anni nell’estate del 1428, Masaccio è una pietra miliare nella storia dell’arte italiana e la sua importanza è inversamente proporzionale alla durata della sua vita. Masaccio era uno strano personaggio unicamente dedito all’arte a sentire come lo descrive Vasari: “Fu persona astrattissima e molto a caso, come quello che avendo fisso tutto l’animo e la volontà alle cose della arte sola, si curava poco di sé e manco di altrui. E perché e’ non volle pensar già mai in maniera alcuna alle cure o cose del mondo, e non che altro, al vestire stesso, non costumando riscuotere i danari da’ suoi debitori, se non quando era in bisogno estremo”.
Masaccio - Trittico di san Giovenale - 1422
Cascia di Regello, Museo Masaccio
La sua prima opera certa è il Trittico di san Giovenale, del 1422 e destinato a una chiesa di Cascia di Regello, dove le figure energicamente costruite, la prospettiva del trono e alcuni particolari come il Bambino nudo che mangia un grappolo d’uva, ritorneranno anche nelle sue opere mature.
Si sa che collaborò con Masolino nella Sant’Anna Metterza, alla Galleria degli Uffizi, dove di sua mano sono la Madonna, il Bambino e l’angelo sulla destra.
Tra il 1425 e il 1426 dipinge il Polittico di Pisa per la chiesa del Carmine ma questa grande tavola fu smembrata e le numerose parti che la componevano sono sparse per tutta l’Europa.
Masaccio - Crocefissione - 1426
Napoli, Museo di Capodimonte
Straordinariamente drammatica è la Crocefissione, ora a Napoli nelle Gallerie Nazionali di Capodimonte, opera con cui Masaccio apre trionfalmente la vicenda della pittura rinascimentale, in cui il personaggio tragico della Maddalena ai piedi della croce è stata aggiunta di getto sovrapponendola a una precedente stesura.
Importantissima testimonianza della perfetta comprensione riguardo al nuovo concetto di spazio e frutto di collaborazione con Brunelleschi per quanto riguarda le architetture, è il monumentale e strepitoso affresco della Santissima Trinità in Santa Maria Novella a Firenze.
Si può solo immaginare lo stupore dei fiorentini quando apparve l’affresco che pareva aver scavato un buco nel muro per mostrare al di là una nuova cappella, che diventa quasi protagonista della composizione che preannuncia il Cinquecento.
Masaccio - Santissima Trinità
1427/1428
Firenze, Santa Maria Novella
 
Ma la grande opera di Masaccio è la continuazione degli affreschi che iniziò Masolino nella Cappella Brancacci in Santa Maria del Carmine a Firenze, a cui il giovane artista lavora tra il 1425 e il 1427 e, che alla sua morte, verranno terminati da Filippino Lippi oltre cinquant’anni dopo.
I suoi personaggi sono esempi di un’umanità del tutto nuova: avvolti in ampi mantelli le cui pieghe ricadono senza rigidezza, sostanziano e qualificano lo spazio in modo tale che la presenza di architetture negli sfondi non appare essenziale ai fini dell’organizzazione spaziale delle scene e la rappresentazione del reale, del miracolo inteso come momento significativo della storia, si arricchisce di un profondo contenuto etico in queste essenziali ‘prospettive figurate’.
Masaccio - Il pagamento del Tributo - 1425
Napoli, Museo di Capodimonte
Nel Pagamento del Tributo, una delle scene più famose di tutto il ciclo, il gruppo di apostoli si dispone intorno a Cristo secondo un modello circolare: tutta la scena appare intessuta di una tenue seppur eloquente trama di gesti e di sguardi tra le figure di statuario vigore, che sottolinea i diversi momenti dell’azione.
Masaccio - Resurrezione del figlio di Teofilo 
1425/1427
Firenze, Santa Maria del Carmine
 Cappella Brancacci
Nella Storia di Tabita, fa da sfondo una perfetta veduta cittadina con caseggiati quattrocenteschi, di una potenza evocativa di cui solo lui era capace.
Nel San Pietro che guarisce con l’ombra, nella Distribuzione dei beni, nella Resurrezione del figlio di Teofilo, la tecnica pittorica, basata sull’accordo dei toni e sul tenue svariare delle luci, raggiunge valori che anticipano i  pittori veneziani cinquecenteschi.
Masaccio 
La cacciata di Adamo ed Eva
dal Paradiso Terrestre
Firenze, chiesa del Carmine
Cappella Brancacci
L’opera di Masaccio influenzò e in certo senso determinò l’arte pittorica a lui successiva, dall’Angelico al Lippi, da Leonardo a Michelangelo, mentre le future generazioni di artisti la considerano fondamentale.
Tale modernità è ancora valida: le celeberrime figure ignude di Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso terrestre mantengono intatta la loro fenomenale efficacia.
Il contenuto etico e morale della pittura di Masaccio, che costruisce immagini grandiose di uomini degne dell’antichità storica, direttamente si innesta su una ricerca formale tesa non più alla gradevolezza della linea o del colore, ma al raggiungimento di strutture compositive e prospettiche di essenziale efficacia.
Noi abbiamo fatto in Masaccio una grandissima perdita”, dirà Filippo Brunelleschi alla notizia della dipartita del giovane e rivoluzionario pittore, indicando con quel ‘noi’ tutta la Firenze artistica del tempo.
Il lungimirante architetto comprendeva che molti anni sarebbero passati prima che sulla scena della pittura italiana apparisse un uomo capace di raccoglierne l’eredità.

domenica 11 giugno 2017

Il mio nuovo video su Gino Rossi


Gino Rossi è un pittore che amo moltissimo, sarà per la sua vita costellata di tragedie, sarà per la pietas che suscita la sua mente malata, sarà per i colori che usava, le linee morbide prima e poi via via sempre più tagliate con l'accetta.
Così ho fatto un video anche su di lui, con molte immagini, che trovate nel mio canale di YouTube a questo link:

sabato 10 giugno 2017

Giudizio Universale: l'apoteosi del genio di Michelangelo

Michelangelo Buonarroti - Giudizio Universale - 1536/1541
Città del Vaticano, Cappella Sistina
Con il Giudizio Universale, Michelangelo era intervenuto con l’autorità del genio nel problema più scottante del tempo, sostenendo la tesi cattolica della responsabilità contro quella protestante della predestinazione.
Michelangelo Buonarroti
Cristo Giudice
Particolare Giudizio Universale
Iniziato nel 1536 e terminato nel 1541 nella parete di fondo della Cappella Sistina per volere di Papa Paolo III, il dies Irae che evoca, rompendo con la tradizione iconografica, è ben lontano dai Giudizi dei maestri del passato con le loro schiere di Santi ordinate intorno a Cristo con a debita distanza i dannati che discendono alla loro destinazione infernale.
Dio giudice, nudo, atletico, senza alcuno degli attributi tradizionali di Cristo, è l’immagine della suprema giustizia, che neppure la pietà e la misericordia, rappresentata dalla Madonna implorante, può temperare.
Michelangelo concepisce la composizione come una massa di figure rotanti intorno a Cristo che emerge isolato in un nimbo di luce.
Michelangelo Buonarroti
Il giudizio dei dannati
Particolare Giudizio Universale
Santi e Martiri sono in alto, alcuni dannati invece lottano invano per sfuggire alla stretta dei diavoli, altri si pigiano sulla barca di Caronte, altri ancora si gettano sgomenti nel gorgo e sulla sponda li attende Minosse.
In alto, nelle lunette, angeli recano i simboli della Passione, quasi invocando vendetta.
Lo sgomento invade anche i beati: la giustizia divina è diversa da quella umana, solo Dio ne conosce i motivi e ne è arbitro, come nella grazia.
Michelangelo Buonarroti
San Bartolomeo
Particolare
Giudizio Universale
C'è spazio anche per l'ego dell'autore, che si ritrae in tutta la sua tragedia nella pelle scuoiata di san Bartolomeo .
Un’opera meravigliosa, che rivela tutta la maestria michelangiolesca nel disegno del corpo umano colto da qualsiasi punto e angolatura, giovani atleti dai muscoli mirabili che si snodano e si piegano nelle più svariate direzioni.
E non vi è dubbio che molte idee  avrebbe potuto esprimerle nel marmo di Carrara, anzi forse è così che le vedeva mentre si affollavano nella sua mente intanto che dipingeva.
Poi sopravvenne il clima della Controriforma e la preoccupazione delle gerarchie vaticane di allontanare da Roma le accuse di paganesimo.
Fu così che Daniele da Volterrra, un discepolo di Michelangelo, poco dopo la morte del maestro, nel gennaio del 1564 fu incaricato di coprire con panneggi dipinti a tempera le nudità più vistose: su dieci figure gli indumenti già esistenti furono ampliati, su altri venticinque furono dipinti di sana pianta.
E il povero Daniele ci guadagnò il soprannome di Braghettone.

martedì 6 giugno 2017

Il mio nuovo video sulla Pubertà di Munch

https://www.youtube.com/watch?v=I22T6MYq5KE
 
E' l'articolo più letto in assoluto del sito, così ho deciso di realizzare anche un video sulla Pubertà di Munch, che ho pubblicato sul mio canale di You Tube:
 


venerdì 2 giugno 2017

Bartolomeo Bimbi: le meraviglie della natura

Bartolomeo Bimbi - Pianta di girasole 
 1721
Poggio a Caiano, Museo della Natura Morta
Il pittore delle ‘meraviglie di natura’ nasce a Settignano venerdì 15 maggio 1648 e inizia la sua carriera prima sotto Lorenzo Lippi poi a Roma nella bottega di Mario Nuzzi detto Mario dei Fiori, ma fu Agnolo Gori, fiorante molto apprezzato e legato alle origini della natura morta, a presentarlo a Cosimo III e al principe Ferdinando de’ Medici.
Per lui, a partire dal 1685, eseguì moltissimi quadri di animali, fiori e frutta, originali e stravaganti ritratti al naturale con precisione scientifica. A tal fine usava valersi si scienziati come il Redi, che analizzavano tutte le specie portate al pittore, per essere dipinte e appese nelle ville medicee  dell’Ambrogiana, di Castello e della Topaia, di cui buona parte sono conservate al Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze. 
Già, perché Bartolomeo non era solo uno straordinario pittore di nature morte ma aveva anche qualcosa in più: uno spirito indagatore, da vero studioso e ricercatore.
Bartolomeo Bimbi - Ciliegie - 1699 - Firenze, Galleria degli Uffizi
Ma andiamo con ordine. Come tutte le grandi famiglie di regnanti, tra cui spiccano quelli francesi nella reggia di Versailles, anche i Medici nei loro vastissimi possedimenti terrieri coltivavano frutta e verdura anche a scopo cognitivo, per studiare le varie specie e cercare anche di migliorarle con innesti e nuovi semi. Bisognava quindi rappresentare tutti i prodotti e, non esistendo ancora la fotografia, ecco che entra in scena Bartolomeo. In Ciliegie, del 1699,  ora nella Galleria degli Uffizi ma dipinto per la villa di Poggio a Caiano, è raffigurato l’intero campionario di tutte le varietà di ciliegie che si producevano nelle terre medicee, elencate sulla base della colonna visibile a sinistra, così come Uve, dipinto nel 1700 sempre agli Uffizi, dove i grappoli hanno acini di forme e colori diversi e hanno ognuno un cartiglio con sopra il nome della varietà.
Quindi i dipinti di Bartolomeo vanno al di là del mero piacere visivo e sono utilissimi per documentare le varietà coltivate all’epoca in Toscana.
Bartolomeo Bimbi - Susine
 Poggio a Caiano, Museo della Natura Morta
Lo stesso vale per il dipinto Pere, sempre del 1699 e sempre agli Uffizi, che, come specifica il cartiglio alla base della tela, raffigura le diverse qualità di pere di “giugno, luglio, agosto, settembre, ottobre, inverno”. I frutti qui sono disegnati a gruppi, perlopiù in canestre e piatti, secondo uno dei moduli compositivi usati da Bartolomeo in questo genere di composizioni, così come in Susine.
In un altro dipinto, Agrumi, agli Uffizi, Bartolomeo ha dipinto ben 31 specie di arance e limoni, mentre la provenienza esotica del Mazzo di datteri, dipinto quando aveva 72 anni nel 1720 e ora agli Uffizi, è data dalle palme di sfondo e dalla costruzione piramidale sulla sinistra della tela.
Bimbi dipingeva anche mirabilia, ovvero certe verdure o frutti dalle gigantesche proporzioni, come un cavolfiore di ben 18 libbre, vale a dire circa otto chili, o giganteschi cedri bitorzoluti come quello dipinto nel 1713, un “cocomero di libbre centocinque bellissimo”  o una barbabietola di quaranta libbre nata nel marzo del 1721 e tutti gli “esemplari stravaganti e aborti di natura”.
Bartolomeo Bimbi - Zucca - 1711
Firenze, Museo di Storia Naturale
A proposito del dipinto di un’immensa zucca nata a Pisa nel 1711 di 171 libbre nata nel giardino di Francesco de’  Medici, il suo biografo Baldinucci racconta che, chiedendo il duca quanto gli costasse il dipinto, Bartolomeo gli spedì il conto, ma essendo lui “sempre umile né mai ebbe alcuna stima di sé medesimo”, gli prese quasi un colpo quando il granduca rispose chiedendogli se per caso avesse sbagliato i conti. Il poverino, pensando di avere chiesto troppo, rispose che fosse il duca a fare il prezzo e il nobiluomo gli diede il doppio di quel che aveva chiesto.
Bartolomeo Bimbi - Agnello a due teste - 1721
Poggio a Caiano, Museo della Natura Morta
Anche gli animali catturavano la sua attenzione come l’Agnello dalle due teste, del 1721 e nel Museo della Natura Morta a Poggio a Caiano, ovino nato l’anno prima, di colore “bianco meraviglioso per le due teste, e due colli con i suoi esofaghi, ancora per interiora, che aveva tenendo due fegati, due milze, due cuori” come è scritto nel cartiglio in basso a sinistra del quadro.
Ma Bartolomeo oltre a far conoscere le meraviglie della natura, sapeva davvero dipingere benissimo, tanto che Filippo Baldinucci di lui scrive: “né Tiziano né Raffaello né alcun pittore del mondo che avesse voluto fare frutte e fiori mai sarebbe arrivato a farli in quelle forme e così bene”.
Ed è vero: con il suo pennello riusciva a dare tale naturalezza che si riesce a immaginare la ruvidità delle bucce degli agrumi, il sapore zuccherino delle ciliegie o dell’uva.
Bartolomeo morì a ottantadue anni, povero e dimenticato, sabato 14 gennaio 1730 a Firenze.