venerdì 10 aprile 2015

Andrea Schiavone: il dalmata dall'intuizione geniale

ANDREA MELDOLLA detto LO SCHIAVONE
1540 ca. - ADORAZIONE DEI MAGI
MILANO, PINACOTECA AMBROSIANA
Non è tra i pittori più famosi, ma Andrea Meldolla detto lo Schiavone, nato a Zara nel 1518, era un dalmata che con un’intuizione geniale e fuori dal tempo, stravolse il concetto di rivedere la forma, rendendola non più con il disegno ma con il colore.
Un precursore del manierismo, inteso come sperimentazione di nuovi linguaggi e, nelle dissonanze di colori, proporzioni e prospettive, anche come una critica all’equilibrio formale della tradizione rinascimentale basata sui modelli classici.
Intuizioni quelle dello Schiavone, di cui poi si approprieranno principalmente i due grandi della pittura veneziana del Cinquecento: Tintoretto e Tiziano.
Figlio di uomo d’arme al servizio della Repubblica Veneziana, godette di notevole reputazione sia presso gli artisti suoi contemporanei, sia presso una cerchia di colti committenti e collezionisti. 

Iniziò la sua avventura dipingendo cassoni per lo più nuziali, in quell’epoca molto di moda per i corredi delle ricche spose.
Fu tra i primi che accolse e  sviluppò con grande originalità le novità della cultura figurativa introdotte dalle stampe del Parmigianino, che giravano liberamente sia in Italia sia in Europa.
ANDREA MELDOLLA detto LO SCHIAVONE - 1542
CONVERSIONE DI SAULO
VENEZIA, FONDAZIONE QUERINI STAMPALIA
L’influsso di quelle elegantissime figure allungate e morbide si coglie nell’Adorazione dei Magi del 1540 circa e soprattutto nella Conversione di Saulo del 1542.
Questo dipinto, dallo straordinario dinamismo compositivo, si ispira al cartone di Raffaello per uno degli arazzi della Sistina, cartone presente a Venezia dal 1521 nella casa museo del cardinal Domenico Grimani, straordinario e coltissimo collezionista.
Schiavone ha colto l'attimo fuggente con il cavallo ancora imbizzarrito dal fulgore apparso in cielo, lo stupore dei soldati presenti, Dio che, oltre che con la voce, si manifesta con il corpo che fluttua in una nuvola bianca.
JACOPO ROBUSTI detto TINTORETTO - 1548
IL MIRACOLO DELLO SCHIAVO
VENEZIA, GALLERIE DELL'ACCADEMIA
E si capisce da dove arriva l’ispirazione della figura in volo, libera nell'aria, soave e leggera, per il Miracolo dello schiavo che Tintoretto dipinse nel 1548 per la Scuola Grande di San Marco, e per tutti coloro che vennero dopo.
Nella Conversione di Saulo le figure languide e graziosamente allungate, la libertà del trattamento e la morbidezza delle superfici rimangono specificatamente veneziane, anche se Andrea tende a disegnare direttamente con il pennello, senza usare disegni preparatori,  e a modellare sia con le linee ritmiche sia con la luce e le ombre.
ANDREA MELDOLLA detto LO SCHIAVONE - 1550 - DIANA E CALLISTO
AMIENS, MUSEE DE PICARDIE
In Dianae Callisto del 1550  circa, le anatomie delle figure si conformano a un ideale astratto di umana bellezza e ai ritmi corsivi della composizione a fregio, mentre le leggiadre figure vestite solo di panneggi fluttuanti, così belle ed eteree, sembrano fatte di aria, sono morbide e sensuali, specialmente quelle a destra che paiono danzare soavemente nel nulla in un impasto di corpi incredibile e che provoca emozioni e sogni di libertà.
Dà l'impressione che sia un quadro dipinto da mani femminili, per la delicatezza che suscita, ma nellostesso tempo però il colore è applicato con  un respiro e un’energia tutta maschile che lascia spessi grumi e increspature di impasto pittorico.
ANDREA MELDOLLA detto LO SCHIAVONE - 1555
ANNUNCIAZIONE
BELLUNO, CHIESA DI SAN PIETRO
Un nuovo modo di trattare il colore che non aveva precedenti neanche nell’opera di Tiziano, che tenderà a dipingere in maniera impressionista solo qualche anno dopo, fino ad arrivare nelle ultime opere a stendere il colore addirittura con le dita, senza quasi neanche più l’uso del pennello.
Nell'Annunciazione del 1555 circa, dipinta come un paio di ante di organo  per la chiesa di san Pietro a Belluno, la grazia dell’angelo in volo è evocata dai vortici curvilinei delle pennellate, mentre il paesaggio al tramonto, e perfino la camera da letto della Vergine, iniziano a dissolversi in un alone scintillante di colore franto di luce.
ANDREA MELDOLLA detto LO SCHIAVONE
1550 - MATRIMONIO TRA CUPIDO E PSICHE
NEW YORK, METROPOLITAN MUSEUM OF ART
Colore vibrante, luci e ombre sapientemente dosate e una fenomenale tecnica abbozzata di getto con pennellate veloci e sicure, si fondono nel Matrimonio tra  Cupido e Psiche, con figure languide, ancora e sempre  estremamente sensuali, immerse tra le nuvole grigie impalpabili e il cielo di un azzurro scuro e robusto, che danzano nel turbinio di luce che emana dalla pelle e dalla veste chiara di Psiche.
Il dalmata geniale, intelligente e creativo, innovatore nato per dipingere, morì a Venezia nel1563.





Questo articolo è dedicato con simpatia e affetto a
Madina Toso, Veronica Tuzii, Daniela Ghio,
Pierluisa Casadio e Raffaella Toso

martedì 7 aprile 2015

Vanessa Bell: un'artista, non solo la sorella di Virginia Wolf

VANESSA STEPHEN BELL
Una donna libera, intelligente, anticonformista, creativa e piena di fantasia, fulcro pulsante di un'enclave di intellettuali, per di più bella e affascinante.
Questa era Vanessa Stephen, nata a Londra il 28  maggio del 1879, in una strana famiglia segnata da lutti e strani comportamenti.
Lei e sua sorella Virginia, che diventerà celebre con il cognome del marito, Woolf,  come lei lo diventerà con il cognome di suo marito, Bell, sanno però quel che vogliono fare nella vita e il padre le lascia fare.
Lui muore e le due ragazze vanno a vivere da sole, lasciandosi alle spalle il peso di quella famiglia così numerosa con una schiera di fratellastri e sorellastre.
Vanessa fu la stella polare di un gruppo di intellettuali e artisti noto come Bloomsbury, definito spiritosamente da Georges Bernard Shaw "coppie in rapporti triangolari che vivono in quadrati" perché tutti erano amanti di tutti, uomini o donne non importava.
Il gruppo ebbe come base la casa delle due sorelle Stephen, il n° 16 di Square Garden, nel quartiere di Bloomsbury appunto.
Anticonformista, ateo e liberale, contro gli eserciti, intollerante verso la monarchia  e le discriminazioni sull'orientamento sessuale, il gruppo avrà un grande peso nell'arte, nella letteratura, nell'economia e anche nel femminismo.
VANESSA BELL -  ICELAND POPPIES - 1908
COLLEZIONE  PRIVATA
Già, l'arte.
Per Vanessa, fu la salvezza spirituale della sua vita, facendo del colore il principio dominante delle proprie composizioni.
Delicate armonie di bianco e di nero pervadono i suoi primi lavori, come Iceland puppies, e sull'onda della prima mostra post-impressionista, Vanessa cominciò a impiegare un colore non naturalistico, con minime concessioni al modello e al dettaglio rappresentato.

VANESSA BELL - 1912
VIRGINIA WOOLF AD ASHENAM
LONDRA, NATIONAL PORTRAIT GALLERY


In  Virginia Woolf ad Ashenam, colse sì la somiglianza della sorella, ma incentrò il quadro sui contrasti di tonalità, tra l'arancione acceso della poltrona e i tenui grigi e blu  degli abiti di Virginia e dello sfondo.
Se dietro all'uso del contorno  liberamente tratteggiato nelle opere eseguite tra il 1910 e il 1912, si intuisce traccia di Van Gogh, fu Matisse a ispirare le più coraggiose combinazioni di colori dei suoi quadri successivi.


VANESSA BELL - 1915
MRS. ST. JOHN HUTCHINSON
LONDRA, TATE GALLERY
Nel ritratto certamente non lusinghiero dell'amante di suo marito, Mrs. St. John Hutchinson, del 1915, il volto roseo della donna è definito da pennellate di giallo e verde, mentre il corpo è incorniciato da entrambi i lati da un motivo di strisce verticali già cubista.
La paura di non riuscire ad eguagliare i migliori pittori, fu una costante della sua vita, passata a dipingere, a curare i figli nati dal matrimonio con Bell e ai suoi amanti, fra cui Roger Fry, un critico, e al padre della sua ultima figlia, Duncan Grant, anch'esso pittore, che, omosessuale, aveva a sua volta un amante, David Garnett.
VANESSA BELL - 1912
JESSIE E FREDERICK ETCHELL CHE DIPINGONO 
LONDRA, TATE GALLERY




Vanessa era una donna curiosa.
Guarda a Picasso, a cui, dopo la guerra, fece visita a Parigi.
E si vede.
Dipinge scene di ambienti domestici, di amici in pose casuali che leggono o dipingono, che testimoniano il suo forte legame con il Bloomsbury, o una serie di ritratti 'senza volto', quasi inquietanti nella loro struggente malinconia fino a giungere a vere e proprie opere cubiste, tra cui varie nature morte.
VANESSA BELL - NATURA MORTA SUL CAMINO
LONDRA, TATE GALLERY

L'arte di Vanessa, attraverso il Workshop Omega dell'amante Fry, esce quasi per magia dalle tele dei quadri per abbracciare tutto il quotidiano, dalle tazze per la colazione mattutina ai vasi per i fiori, dalle stoffe per rivestire i divani alle copertine e alle illustrazioni per i libri della sorella.
Vanessa morì il 7 aprile del 1961 per un tumore al seno, dopo un'esistenza passata in mezzo non solo all'arte ma anche al turbine della gelosia della sorella - che però la ritrasse in alcuni suoi romanzi - alla paura del mondo, alla depressione, all'amore sconfinato per i suoi figli.
Di lei rimane la luce di una creatura sfuggente, pioniera dell'arte contemporanea inglese, che ha fatto della sperimentazione totale una modernissima visione di vita.


giovedì 2 aprile 2015

Buona Pasqua!

JACOPO ROBUSTI detto TINTORETTO
RESURREZIONE DI CRISTO - 1559/1571
VENEZIA, SCUOLA GRANDE DI SAN ROCCO
Cari lettori,
ho deciso di prendere qualche giorno di riposo, penso meritato.
Ci rivedremo dopo le feste, con altri articoli e qualche novità.
Vi auguro una Pasqua serena e felice.
Alessandra
 
 


venerdì 27 marzo 2015

La follia e il bello: una discussione infinita

VINCENT VAN GOGH - AUTORITRATTO - 1887 -
AMSTERDAM, RIJKSMUSEUM
"Follie! Follie!" cantava Violetta in un'aria tra le più belle della Traviata verdiana.
E non è azzardato accostare la follia al «bello» dell'arte.
Esempi?
Vincent Van Gogh passò cinque anni in un manicomio dove peraltro dipinse i suoi autoritratti più eclatanti, dai colori incredibili per la percezione deviata che di essi ne hanno gli schizofrenici, ed era matto sul serio se giunse perfino a tagliarsi un orecchio, ma rimane pur sempre uno dei più grandi artisti della storia dell'arte.
Filippo De Pisis era affetto da sifilide terziaria, malattia senile che provoca dissociazioni, e in quel periodo dipinse veri capolavori.
E come scordare Modigliani?
I suoi ritratti dipinti sotto l’effetto dell’assenzio tolgono il fiato.
FILIPPO DE PISIS
BASILICA DI SAN MARCO - 1940
C'è un bello dentro il brutto e un brutto dentro il bello.
Dichiarazione valida anche per l'espressionismo che nasce da un mondo in distruzione, fatiscente, che si rompe, come l'equilibrio mentale di tanti artisti che ne fecero parte: «L'arte è l'espressione più alta della mente umana, anche se ci sono cervelli rotti».
E pensare che il mondo intero cerca con tutti i mezzi di essere il più normale possibile, senza riuscire a guardare oltre la barriera criptata della bellezza della follia.
GIORGIONE - VENERE DORMIENTE - 1510
DRESDA, GEMALDEGALERIE
Già, la bellezza.
Un'idea di bello che sia accettata da tutti ancora non esiste, è un tema assolutamente aperto da sempre del quale hanno discusso infiniti critici e docenti di estetica e su cui sono stati versati oceani d'inchiostro.
E la verità, si sa, è ardua da trovare.
Forse la ragione alla fine sta nella massima popolare indice di grande saggezza atavica, per cui «non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace».
E allora potrebbero diventare belle anche certe espressioni di arte contemporanea, perché da quando gli impressionisti smisero di impressionare, l'arte moderna ha scelto il brutto, allontanandosi dal concetto di bellezza e di sublime della cultura classica, afferma più di un critico.
A questo punto un'altra domanda sorge spontanea.
GIOVANNI BELLINI
CROCEFISSO - 1505
PRATO, PALAZZO ALBERTI
Dov'è finito allora il classico concetto di kalòs venerato dai greci e di  pulchrum tanto amato dai latini?
Mistero.
Anche l'arte cristiana per molti se ne allontana, se considera bello il crocefisso.
Ma  bisogna distinguere la forma dal contenuto, quindi il crocefisso non è l'immagine di un cadavere appeso a un palo di legno, ma un simbolo.
Quindi un artista certamente sì, può quindi permettersi il lusso della follia ma non i filosofi o altre categorie, così come sarebbe meglio non mettere una città nelle mani di un architetto schizofrenico.
Follia dunque compatibile con l'arte ma non con le altre attività umane.
Conclusione: l'essere fuori di testa può essere utile per realizzare opere d'arte, per governare uno stato molto meno.

domenica 22 marzo 2015

Venezia e l'Islam: guerre e arte

GIANDOMENICO TIEPOLO - LANCIERE TURCO - 1760/1770
NEW YORK, THE METROPOLITAN MUSEUM OF ART
A Venezia, nel Fondaco concesso ai Turchi nel 1621 c’è il sapore dell’ambiguità presente in ogni mito, segno più di allontanamento che di rapporto intenso, di un grande nemico che viene a mancare, che si guarda, si controlla, a cui si dà e da cui si prende molto ma che si accetta solo quando si comprende che è divenuto innocuo.
Sono i Turchi del Tiepolo che abitano il Fondaco come potrebbero apparire nella scenografia del Turco in Italia di Rossini, non gli Arabi delle Crociate.
VENEZIA
BASILICA DI SAN MARCO E PALAZZO DUCALE
E solo camminando per la città si può capire come si è giunti a quell’ambiguità, erede di un glorioso passato nato dal lavorio costante di abili mercanti e dall’odore acre di lunghe scie di sangue, scoprendo anche negli anfratti più segreti la complessità del legame millenario di Venezia con l’Islam, quel darsi e prendersi in un rapporto di battaglie vinte e perse, di scambi di schiavi e di merci ma anche di anime e di convenienze.
Un esterno che si riflette nella certezza filologica di manufatti che disvelano nella loro storia la miriade di segni rinchiusi nell’architettura della città, dalla Basilica costruita da architetti bizantini alle merlature di Palazzo Ducale, che evocano i profili dei tetti delle moschee mamelucche.
L’artista veneziano è avido di apprendere e fa suoi i modi dei paesi dell’altra sponda del Mediterraneo e se oggi il vetro veneziano è sinonimo di qualità nel mondo intero, questo affonda le sue radici nell’anno 1204, l'anno della Quarta Crociata.
COPPA IN VETRO - IRAN - X SECOLO
MONTATA A COSTANTINOPOLI NELL'XI SECOLO
VENEZIA, TESORO DI SAN MARCO 
Nell’immenso bottino riportato dal saccheggio di Costantinopoli, trovano posto anche alcuni vetri famosi, oggi nel Tesoro di San Marco, che la dicono lunga sull’ammirazione dei veneziani verso gli islamici.
Un esempio su tutti: la coppa iraniana del X secolo in vetro di un celeste incredibile e montata in argento e pietre a Costantinopoli nell’XI secolo.
Sei centimetri di base, sette e mezzo di altezza per un diametro massimo di quasi diciannove, iscritta a caratteri cufici sotto la base con ognuno dei cinque lobi decorato a rilievo con una lepre in corsa.
BICCHIERE ALDREVANDIN
La strada verso l’eccellenza vetraria è aperta: i veneziani importano, sulle rotte di Alessandria, Tiro e Antiochia, non solo informazioni tecnologiche, ma la materia prima più pregiata, ossia il lume carino, una soda di prima qualità che diventa obbligatoria per garantire la qualità superiore del prodotto finito, forme particolari che saranno poi dei bicchieri Aldrevandin smaltati e dorati, i decori a fojami, non figure, che i veneziani useranno a smalto blu sul lattimo.
Un bottino oltre il bottino, un’incessante ruberia di idee e tecniche che le abili mani dei serenissimi trasformeranno in capolavori.
Così come nel periodo di ascesa al trono ottomano di Solimano il Magnifico, dal 1520 al 1566, intensificandosi le missioni diplomatiche e gli scambi di doni per la ricca presenza di mercanti e nobili veneziani, artigiani e artisti di tutte le corporazioni abbracciarono lo stile islamico.
AL-BUKHARI - SAHIH
1529 - TURCHIA
LONDRA
NASSER COLLECTION
 
Basta osservare i libri di motivi decorativi raffiguranti moltitudini di arabeschi pubblicati in questi anni o lo zelo dei tipografi veneziani nello stampare a caratteri mobili testi arabi per rendersi conto di una tendenza estetica volta a creare un nuovo gusto.
E’ turca e del 1529 la legatura in marocchino nero del Sahih di Al-Bukari, opera canonica del IX secolo da leggersi nelle moschee imperiali ottomane durante i mesi del ramadan, con il medaglione centrale dorato appuntito a forma di mandorla e i cantonali, sempre dorati, concavi ai quattro angoli con decorazioni tipiche islamiche che ispirarono le legature della Venezia rinascimentale per ricoprire nomine di dogi e procuratori di San Marco, oltre ad essere usate su armi e armature, piccoli accessori e strumenti musicali.
Venezia dunque che si inchina alla raffinata eleganza artistica degli infedeli?

POLENA DELLA BASTARDA
DEL COMANDANTE FRANCESCO MOROSINI
VENEZIA, MUSEO STORICO NAVALE




Assolutamente sì, ma mai lascerà loro lo scettro di Regina del Mare.
I Turchi, dopo la disfatta di Lepanto, sul mare erano sempre più deboli e che poteva esserci di meglio di un colpo di grazia morale e definitivo, mettendo uno di loro in catene, uno schiavo seminudo, con la testa scoperta, intagliato dagli scultori dell’Arsenale, come polena sui fianchi di poppa della bastarda del comandante in capo Francesco Morosini, il Peloponnesiaco, l’eroe simbolo della potenza della Serenissima flotta?

giovedì 19 marzo 2015

Auguri papà!


OTTAVIO ARTALE CON CLAUDIA CARDINALE
 E MAURICE AGOSTI
VENEZIA, GRAN TEATRO LA FENICE, GIUGNO 2009
Papà era un uomo affascinante.
Amava la vita, la musica, il ballo, l’arte, gli sport e anche le belle donne.
Non scriveva mai, anche quando mi mandava qualcosa per posta: se era prolisso metteva un ‘ciao papi’, nulla di più.
Eppure quando passò a Venezia con me gli ultimi mesi di vita, decise che era arrivato il momento di scrivere.
Era medico, di quei vecchi medici condotti che non esistono più e in tutti quegli anni ne aveva viste di tutti i generi ma lui voleva raccontare le emozioni della sua vita più che i fatti.
Aveva già trovato  il titolo di quei pensieri: “La vita è”.
Oggi è la festa di tutti i papà e questo è il mo personalissimo omaggio a un uomo che ha segnato la mia vita, nel bene e nel male, e di cui ero, come forse tante figlie femmine, innamorata. 
Cosa, questa, che ha creato non pochi problemi nella mia vita sentimentale, perché mai nessuno era come lui.
OTTAVIO, ADRIANA, ROSSANA E ALESSANDRA ARTALE
BADALUCCO (IM), 1960 CIRCA
Tant’è.
Queste qui sotto sono le uniche frasi che ha scritto.

E  ve le voglio regalare.

“Come si può definire un’emozione?
Uno stato d’animo?

Uno sconvolgimento improvviso della circolazione? (“emo” vuol dire sangue e “motio” è movimento, ma questa è una mia personale interpretazione)
O una scarica di adrenalina?
Comunque, una vita senza emozioni non vale la pena di essere vissuta.
Questa però non vuol essere la mia autobiografia.
Nonostante la mia presunzione (alimentata da quanti mi hanno sempre sopravalutato) e la vanità maschile (superiore o perlomeno diversa in genere da quella femminile) che mi ha sempre posseduto, non voglio pensare che qualcuno sia interessato a prestare attenzione ad un racconto della mia vita, ma credo che possa esserci qualche motivo per riflettere su quanto avrò da dire su ciò che ha movimentato la mia vita e far pensare che comunque abbia valso la pena di vivere, anche se con qualche rimpianto, per occasioni perdute e qualche rimorso per errori commessi che avrebbero potuto essere evitati.
Le emozioni che certi fatti hanno suscitato in me sono rimasti come ricordi indelebili, siano piacevoli o meno da rievocare quando si ripercorre il corso della propria esistenza, ma che fanno anche pensare agli errori che si sono commessi o alle cose positive che possono essere state fatte.
Dopo questa generica premessa di filosofia spicciola, frutto di una esperienza maturata in oltre ottantadue anni, cercherò di raccontare e di spiegare (se ce ne sarà bisogno) ciò che dentro di me ha suscitato reazioni fin da bambino, che mi hanno lasciato profonde tracce nel corso degli anni e che hanno in larga parte condizionato la mia vita.
Quello che mi accingo a scrivere, ma non so se avrò voglia, tempo e vita per finire, vuol essere solo una carrellata delle circostanze che mi hanno procurato le emozioni di cui credo di aver descritto il mio pensiero.


OTTAVIO ARTALE NEL 1951
 DOPO LA LAUREA
L’uso della prima persona è semplicemente costituito dal fatto che le emozioni (e i ricordi) di cui scriverò sono soltanto i miei, non volendo né potendo cercarne in nessun altro.
Ma la vita non è solo buio e difficoltà, c’è tanta gioia e luce, ci sono momenti e periodi felici, ci sono emozioni positive che ti fanno amare la vita e ti aiutano a viverla tutta, mentre scorre , lenta e veloce, fino alla fine che sai che ti aspetta ma che non ti deve far paura.
Ora che mi sento mi sento ovviamente vicino alla fine (sono vecchio, molto malato e, mi sia consentito, anche stanco), cercherò, andando indietro nel tempo, di rivivere le emozioni che hanno caratterizzato i momenti e le fasi più importanti della mia vita”.
 
Ad maiora, papà!


domenica 15 marzo 2015

Paul Camille Guigou e la sua amata Provenza

PAUL GUIGOU - LA CANEBIERE
MARSIGLIA, MUSEE DES BEAUX ARTS
Uno strano destino  quello di Paul Camille Guigou, nato nel 1834 a Villars, un piccolo comune della Provenza, da una famiglia benestante a cui era predetto un futuro tranquillo e sereno.
La vita però non è mai come la si immagina o la si sogna.
Si iscrive all’Istituto di Belle Arti di Marsiglia, una delle scuole più originali di Francia: lì impara a dipingere dal vero, specialmente paesaggi e scene di vita contadina.
E’ il 1854 quando, sempre a Marsiglia, trova un impiego notarile, seguendo così le orme del padre.
Paul, l’animo sensibile da poeta, ama dipingere la sua profumata e assolata terra, i suoi ulivi, la sua gente, le strade illuminate da una luce incredibile.
PAUL GUIGOU - CACCIA ALL'AIGUEBRUN - 1866
Continua a lavorare in quel grigio ufficio ma la sua vita non è quella.
Si sa pochissimo della sua esistenza, nessuna donna è nominata e ho l'impressione che fosse un tipo solitario, quasi al limite della tristezza.
Nel 1862 lascia l’impiego e va a Parigi: una scelta importante e difficile perché da quel momento avrà sempre problemi economici.
Nelle mostre a cui partecipa – dal 1863 espone costantemente al Salon de Refusés - i giurati lo ignorano, lui non vende praticamente nulla, vive dando lezioni private, sempre in lotta per la sopravvivenza, come tanti suoi colleghi.

PAUL GUIGOU - LA LAVANDAIA - 1860
PARIGI, MUSEO D'ORSAY
Per lui era, se possibile, ancora peggio: un continuo su è giù da Parigi alla Provenza lo allontanò ancora di più e lo isolò rispetto agli altri impressionisti.
Dipinse pochissimo Parigi, e anche se ogni tanto frequentava il mitico caffè Guerbois, dove si incontrava il gruppo di impressionisti intorno a Eduard Manet, rimase sempre per i fatti suoi, tenendo quei pittori ‘parigini’ lontani da lui, considerato un ‘meridionale’.
Adesso, come per tanti pittori della sua epoca e di quel genere, è stato riscoperto, i prezzi delle sue opere sono schizzati alle stelle ed esposte nei più importanti musei.
Ma vediamoli i suoi quadri, a partire dal più famoso: la Lavandaia, dipinta nel 1860.
La riprende di schiena, quasi volesse farne un personaggio misterioso, e dall’alto, per far capire la pesantezza e la fatica di quel lavoro quotidiano e perenne.
Il cappello, di paglia e a larghe tese, fa intuire un caldo che opprime, sottolineato dall’ombra grigia sulla blusa bianca, che pare tagliata a metà.
Negli altri paesaggi i suoi colori, densi e granulosi, sembrano impastati con quelli della Provenza.
Pigmenti spenti, quasi che la polvere di quei camminamenti tra gli ulivi o nelle strade cittadine per miracolo si fosse infilata dentro la tele.
PAUL GUIGOU - 1870
GRAND RUE AU BAUX
Colori luminosi, come se il sole si fosse buttato a picco dentro i suoi quadri, sapendo bene che come Paul interpretò la sua abbagliante e intensa luce provenzale, non  c’era davvero nessun altro.
Eppure, i paesaggi e i personaggi di Paul non erano onirici, non rimandavano a un mondo immaginario e meraviglioso, anzi.
Il suo è un realismo profondo, pregno di particolari a prima vista invisibili, che racconta di una vita tranquilla di contadini, di pescatori, di serene passeggiate in città con gli ombrellini per ripararsi dal caldo del sole, di alberi secolari, di barche che veleggiano verso l’infinito.

PAUL GUIGOU - 1869
LA PORTEIRIS
Guardandoli, par quasi di sentire il profumo di lavanda e di ulivi, di rosmarino e di macchia mediterranea, di toccare la polvere e la terra, di ascoltare i ritornelli cantati per strada, di annusare il sudore e la fatica, ma anche di gustare la gioia e la spensieratezza, come fossero pezzi di vita appiccicati alla tela, che acchiappano tutti i sensi, non solo quello della vista.
Un realismo vissuto sulla sua pelle, girovagando qua e là nella sua terra, cogliendo l’attimo fuggente di una ragazza con il cesto sulla testa o delle montagne che si specchiano nell’acqua calma e piatta di un fiume.
O ancora tutte le tonalità del verde delle colline o i colori dei mattoni e degli intonaci delle case dei paesini, o i contrasti della terra rossa con l’azzurro del cielo o gli uccelli che migrano volando tra le nuvole.
Il tutto realizzato con pennellate veloci e sincere, senza sbavature, precise e abbozzate allo stesso tempo: una tecnica che permette di dipingere la vita così com'è, senza trucchi e senza inganni.
Ed eccolo, ineluttabile, il destino malevolo.
E' il 1871, la baronessa Rothschild lo prende a suo servizio come insegnante di disegno.
Per Paul è finalmente la certezza di un futuro sereno e tranquillo, senza più assilli economici e con un lavoro di prestigio.
Ma si sbaglia, la nera signora l’ha preso di mira.
Pochi mesi dopo, il 27 dicembre, muore per un ictus, a 37 anni, lasciando la profumata Provenza orfana del suo cantore.
PAUL GUIGOU - 1860 - ULIVI

 Potete vedere il video su Paul Camille Guigou
sul mio canale YouTube:
https://www.youtube.com/watch?v=ElzJoDoohoM&t=7s


sabato 14 marzo 2015

Animali: storia, nomi, simboli


ALESSANDRO MAGNO SOPRA BUCEFALO A ISSO
100 a.C. - NAPOLI, MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE
Sarebbe cambiata la storia senza gli elefanti di Annibale, l’aspide di Cleopatra o le oche starnazzanti del Campidoglio?
Alessandro Magno sarebbe stato invincibile senza il cavallo Bucefalo?
E la letteratura?
Pagine indimenticabili da Omero, con il cane Argo morto per la gioia di rivedere Ulisse tornato dopo 20 anni, alle favole di Esopo con volpi, aironi ed agnelli fino  agli animali-metafora dell’Inferno dantesco o al mastino dei Baskerville inventato da Conan Doyle, papà di Sherlock Holmes.
Senza animali, cinema e tv avrebbero perso miti senza tempo come Lassie, Rin Tin Tin, o Furia per arrivare al mangia-panini Rex.
Ma con quale criterio si è dato il nome agli animali?
VINCENT VAN GOGH - MUCCHE  - 1883 ca.
L’origine di alcuni nomi è onomatopeica: l’upupa, il cuculo e la mucca devono il nome al verso che fanno.
Altri derivano dal modo di vivere: la nottola, il picchio o il formichiere e anche il golosissimo orso non sfugge a questa regola, infatti in russo significa mangiamele.
Curiosi sono i nomi di parentela come barbagianni, vale a dire zio Giovanni.
Emergono varie curiosità: la donnola, odiata dai villici per le razzie di galline, è chiamata con nomi di femmine giovani e belle come signorina, carina... e il motivo è cercare di ingraziarsela con lusinghe per evitare ulteriori danni.
In tutti i dialetti, a particolari animali a cui si dava valore religioso, vengono appioppati nomi tipo la gallinella di Dio per la coccinella, che peraltro è chiamata con più di cento nomi diversi, addirittura femminili quali Maria o Giovanna.
MICHELANGELO BUONARROTTI
IL PECCATO ORIGINALE - 1502
CITTA' DEL VATICANO - CAPPELLA SISTINA
Esistono infinità di credenze legate ai comportamenti degli animali: in Europa si crede che se la volpe fa il bagnetto ai suoi piccoli (cioè li lecca) verrà la nebbia, oppure se in una giornata di sole il gatto si lecca e si passa la zampa dietro le orecchie, verrà a piovere.
Chi ha mai ucciso un ragno di sera sfidando la scaramanzia o attraversato la strada subito dopo che è transitato un innocuo, magari spaventatissimo ma nerissimo gatto?
Di animali, naturale compendio dell’uomo, si è sempre parlato e scritto, da Aristotele, che guardava razionalmente a questo universo, ai trattati del Medio Evo, in cui si accostava un animale ad un simbolo.
STELE SEPOLCRALE DI LICINIA AMIAS - III SECOLO
ROMA, MUSEO NAZIONALE TERME DI DIOCLEZIANO
E’ un mondo affascinante e leggendario giunto fino a noi: il serpente come simbolo del male (non fu proprio quel rettile a spingere Eva a cogliere la vietatissima mela?), il pesce-acrostico simbolo di Gesù (ixzus in greco vuol dire pesce e le iniziali greche formano "Gesù Cristo figlio di Dio Salvatore"), la scimmia simbolo del peccato (perché poi se è così simile all’uomo...?) e la fenice che risorge dalle proprie ceneri, immagine della Resurrezione di Cristo.
Si parla di animali fantastici come l’unicorno ricordato da Marco Polo e riconosciuto dall’astuto veneziano come il rinoceronte, o il centauro che incontrò perfino Sant’Antonio Abate.
VITTORE CARPACCIO - 1502 - SAN GIORGIO E IL DRAGO
 VENEZIA, SCUOLA GRANDE DI SAN GIORGIO DEGLI SCHIAVONI
L’idea di una bestia strana, misteriosa ed inquietante sopravvive anche oggi: non si contano le ricerche per scovare Nessie, il mostro di Loch Ness, lo jeti o il lupo mannaro.
Per fortuna c’è ancora spazio per la fantasia positiva: Walt Disney ha fatto sognare milioni di bambini e non solo con i suoi personaggi così umanamente veri ma rigorosamente animali, da Topolino a Paperino all’orso Baloo, o Charles Schultz che ha invaso il mondo di intelligenza e ironia con Snoopy, il più atipico tra i fedeli amici dell’uomo.
 
Dedicato a tutti i miei amici di Google+ che amano gli animali