sabato 7 marzo 2015

Gino Rossi: la figura leggendaria del pittore folle

GINO ROSSI - PAESAGGIO AD ASOLO - 1912
Colto, raffinato, portato per gli studi letterari, nato a Venezia nel 1884 da una famiglia originariamente ricca, Gino Rossi, per completare la sua cultura lascia la laguna e, nel 1907, parte per Parigi.
I colori e le forme delle opere di Paul Gauguin lo stordiscono.
Decide di andare in Bretagna, seguendo così le orme di quel che poi sarà il pittore di Tahiti.
Tornato a Venezia, oltre a tante idee ed emozioni, porta con sé anche la sifilide, cosa non rara in quei tempi, che con il passare degli anni gli causerà epilessia, disturbi visivi e grande sofferenza psicologica.
Il suo primo successo lo deve alla mostra di
Ca’ Pesaro, il museo di arte moderna della città lagunare: è il 1910 e dall’anno successivo andrà a vivere nell’isola di Burano, quasi una sorta di esilio volontario, forse per il suo carattere schivo e taciturno, per il suo spirito polemico e aristocratico.
GINO ROSSI - PRIMAVERA IN BRETAGNA, L'ALBERO
TREVISO, MUSEI CIVICI
E di quel periodo sono i quadri più belli - paesaggi di Burano, della Bretagna, di Asolo, del Montello -  dall’esuberanza innata, con colori luminosi capaci di ricreare il fascino di luoghi visti attraverso occhi diversi.
Semplificò le immagini senza insistere sui particolari, ma con l’albero, che ritornerà anche in molti altri dipinti, che sembra nascondere un’anima.
Nel 1909 dipinge la Fanciulla del fiore, che lui considera la sua “poesia più bella”.
GINO ROSSI - 1909
FANCIULLA DEL FIORE
E’ il suo capolavoro: una ragazza imbronciata, con le mani grandi, un’immagine austera, impenetrabile, con la bellezza dei due vasi di fiori, messi lì, proprio all’altezza del viso, esaltati dal blu, ripensando a Gauguin, alle sue campiture piatte e alle sue forme sigillate.
E’ il periodo in cui matura la sua poetica delle figure senza paesaggi e dei paesaggi senza figure, come la Testa di pescatore o Descrizione asolana.
Nel 1912 torna a Parigi, espone insieme a Modigliani, ma al suo ritorno una delusione d’amore terribile: la moglie, Bice Levi Minzi, anch’essa pittrice, lo abbandona per lo scultore Oreste Licudis.
Nel 1916 parte per la guerra, ne vede gli orrori e la violenza, va a finire in un campo di prigionia.

Quando torna, è sconvolto.
La sua anima, troppo sensibile, non regge il peso dell’infelicità: “Ho perduto tutto … dovrò curare la mia salute. Ho sofferto tanta fame … tutte le sofferenze morali” scrive in una lettera nel 1918.


GINO ROSSI  - 1924
NATURA MORTA CON BROCCA
Come era cambiato lui, così era cambiata la sua pittura, che vira verso il cubismo, guardando alla lucida lezione di Cezanne, con il colore fantastico che vuole trascendere la realtà invece di raffigurarla.
Ecco allora Fanciulla che legge, Testa di ragazza o Natura morta con brocca, dove l’idea cubista viene declinata mettendo gli oggetti poggiati sul tavolo – pipa, bicchiere, brocca, portafrutta, busta, bottiglia – nell’omogenea atmosfera tonale del blu.
GINO ROSSI - 1926
IL CORTILE DEL MANICOMIO

Ma la vita di Gino è ormai in discesa: viene ricoverato nel manicomio di sant’Artemio a Treviso.
E’ il 1926 quando dipinge il suo ultimo, drammatico, solitario, quadro: Il cortile del manicomio.
Un'opera dai colori scuri, tristi, freddi, lontana anni luce dai primi paesaggi solari e allegri della Bretagna.
In quel cortile, visto dalla finestra di una camera immaginiamo orribile, Gino lancia il suo grido contorto e disperato di dolore.
Passerà ancora più di vent’anni girovagando da un manicomio all’altro, senza più toccare pennello e colori.
Morirà il 16 dicembre del 1947.
E come per tanti artisti sfortunati in vita - e il parallelo con Vincent Van Gogh viene spontaneo - la critica capirà, post mortem, la sua grandezza e il suo  straordinario contributo al rinnovamento dell’arte italiana.


Sul mio canale YouTube trovate anche il video con molte altre immagini:

lunedì 2 marzo 2015

Carpaccio e le mirabilanti storie di sant'Orsola

VITTORE CARPACCIO - 1490/95
ARRIVO DEI PELLEGRINI A COLONIA
VENEZIA, GALLERIE DELL'ACCADEMIA
Le storie che Vittore Carpaccio, nato a Venezia nel 1475 e morto nel 1525, raccontava con il pennello, non sono inventate, sono scritte nei libri, sono leggende, o meglio legenda, storie da leggere, di grande raffinatezza e autonomia, declinate in un’originalissima visione.
E’ anche straordinario che il ciclo con le Storie di sant’Orsola, commissionatogli dall’omonima Scuola e dipinte tra il 1490 e il 1495, su cui mi soffermerò, sia sopravvissuto integro nella sua città, alle Gallerie dell’Accademia, così come il ciclo di San Giorgio, dipinto tra il 1502 e il 1507, è ancora interamente nel suo sito originario, la Scuola di San Giorgio degli Schiavoni, sempre a Venezia.
Per Scuole, si intendono le confraternite laiche, ovvero associazioni di lavoratori, che avevano un santo patrono, da san Marco in giù, foraggiate dalle famiglie veneziane più importanti.
In breve i fatti, tanto per capire meglio anche come Carpaccio li ha raccontati.
VITTORE CARPACCIO - 149071495
LA PARTENZA DEGLI AMBASCIATORI
VENEZIA, GALLERIE DELL'ACCADEMIA
Orsola, una vergine principessa occidentale, sogna un angelo che la informa del suo prossimo sacrificio.
Invece di convolare a giuste nozze con il figlio pagano del re d’Inghilterra, raduna undicimila compagne come dame  di compagnia, va a Roma in pellegrinaggio dal Papa, ma, arrivata a Colonia, lei e le altre fanciulle furono sterminate da un esercito di Unni che assediavano la città.
Quindi, riceve la palma gloriosa del martirio.
Sono storie mirabolanti, improbabili e fantasiose, di santi e vergini, gli eroi eccellenti dell’epica cristiana.
Sono mito, racconto favoloso, proprio come le pitture che le descrivono, le interpretano, le illustrano.
Storie da guardare senza fretta, percorrendole avanti e indietro, soffermandosi sulle singole figure, sui dettagli, sui costumi, sui gesti, sulle scene.
I nove grandi teleri delle Storie di sant’Orsola, originariamente collocati intorno alle pareti della sala consiliare della Scuola, mostrano l’interesse che Carpaccio aveva per la pittura fiamminga, la cui contaminatio artistica con Venezia è evidente.

VITTORE CARPACCIO - 1490/1495 - IL COMMIATO DI SANT'ORSOLA
VENEZIA, GALLERIE DELL'ACCADEMIA
L’attenzione con cui il nostro cura i particolari è impressionante: dai libri nell’armadio aperto  ai vasi di fiori sul davanzale del Sogno di sant’Orsola, dagli intarsi in marmo a rilievo sulle pareti alle ghirlande vegetali che scendono dall’arco ne La partenza degli ambasciatori, dai tappeti persiani stesi lungo il percorso fatto da Orsola ne Il commiato di sant'Orsola fino ai bassorilievi marmorei sul palazzo di sfondo ne Il ritorno degli ambasciatori in Inghilterra
Non solo particolari però.
La pittura di Carpaccio è elegantemente sociale: le sue storie sembrano quasi delle fiabe in cui si riflette la vita veneziana dell'epoca.
Rappresentò una serie di arrivi e partenze in diverse forme rituali.
Si vedono ambasciatori andare e venire: arrivano presso una corte, poi se ne ripartono con gesti di deferenza per giungere a un’altra.
I personaggi sono creature pubbliche e molti di questi personaggi sono i ritratti della famiglia Loredan, che contribuì in modo determinante al finanziamento dell'opera.
E pubbliche sono pure le undicimila vergini – future martiri - al seguito di Orsola.
Il ciclo di sant’Orsola è anche una sorta di manuale per come rendere la folla.
VITTORE CARPACCIO - 1490/95 - IL RITORNO DEGLI AMBASCIATORI IN INGHILTERRA
VENEZIA, GALLERIE DELL'ACCADEMIA
Nel Ritorno degli ambasciatori in Inghilterra il pubblico è vasto, riunito a sinistra del tempietto, mentre altre figure affollano balconi e ponti, che, soffermandosi a guardare, rispecchiano una società ordinata, fiera del suo essere padrona del Mediterraneo, ricca (basta osservare i velluti degli abiti e il florilegio di marmi sparsi qua e là dappertutto), culturalmente elevata.
Non ultimo, era una società che teneva in grande considerazione le donne, che da altre parti, in quel periodo e anche dopo, non avevano certo l'importanza che avevano invece a Venezia, città da cui gli uomini si imbarcavano per mesi interi e le signore tenevano in mano, ben salde e in modo indipendente, le redini di affari e relazioni.
VITTORE CARPACCIO - 1490/95
IL SOGNO DI SANT'ORSOLA
VENEZIA, GALLERIE DELL'ACCADEMIA
Dettagli apparentemente insignificanti, come il cagnolino ai piedi del letto di sant'Orsola nella tela del Sogno o il bambino all’estrema sinistra che suona uno strumento a corde, nel Ritorno degli ambasciatori in Inghilterra, regalano animazione e spontaneità.
Sempre in questa tela, nelle piccole oasi di ‘non partecipanti’, vicino ai gradini del tempietto, è seduta soltanto una scimmietta mascherata e una faraona, simboli di stoltezza che rimarcano la cecità pagana del monarca e dei suoi sudditi.
E qui si potrebbe aprire un lungo discorso sugli animali simbolici, sulle metafore, sul contesto, sull’iconologia, sulle fonti, sulla committenza.
Un argomento che affronterò in un altro articolo: troppo lungo sarebbe farlo qui e ora.
Carpaccio, che John Ruskin, nel 1901, definiva “una specie di specchio magico, che riflette istantaneamente qualunque ordine di bellezza”, è uno scrigno magico, ancora da svelare completamente.
Ma i suoi misteri, meravigliosi e onirici, si possono guardare per ore e ogni attimo ci riservano una sorpresa memorabile ed inaspettata. 
 
Questo articolo, in forma più ridotta, 
è stato pubblicato anche sul sito Wall Street International


venerdì 27 febbraio 2015

Caspar David Friedrich: angoscia e speranza


CASPAR DAVID FRIEDRICH - 1809
MONACO SULLA SPIAGGIA - BERLINO, STAATLICHE
Caspar David Friedrich, nato nel 1774 in Germania, è sinonimo di solitudine, di angoscia e di morte, ma anche di fede, di speranza e di un arcobaleno la cui luce, parabola netta e folgorante, rompe l’oscurità e appare come un segno divino.
Sesto di dieci fratelli, dall’Accademia di Copenaghen si trasferisce a Dresda, e intorno al 1807 comincia a interessarsi al paesaggio, anche grazie al suo avvicinarsi al movimento romantico.
CASPAR DAVID FRIEDRICH - 1818
LE BIANCHE SCOGLIERE DI RUGEN
WINTERTHUR, FONDAZIONE REINHART
Il poeta Heinrich von Kleist, guardando il Monaco sulla spiaggia, del 1809, scriveva: “E’ meraviglioso spaziare con lo sguardo su uno sconfinato deserto d’acqua, in un’infinita solitudine, sulla riva del mare, sotto un cielo fosco. Con i suoi due o tre oggetti ricchi di mistero, il dipinto è simile all’Apocalisse”.
Già, perché i  paesaggi di Friedrich evocano il sublime, il misterioso, lo sconosciuto, l’infinito.
Lui ama rappresentare con uno stile preciso, lineare ed essenziale, illimitati paesaggi, spesso ancor più dilatati dal contrasto con alcune figure in primo piano, sempre comunque piccole rispetto all’intero dipinto.
Sentire e non solo vedere: per lui la natura è il riflesso del divino.
CASPAR DAVID FRIEDRICH - 1830/35
UN UOMO E UNA DONNA DAVANTI ALLLA LUNA
BERLINO, NATIONALGALERIE
Infatti, in tutti i suoi dipinti, gli oggetti sono segni, simboli di qualcos’altro: l’abete, che neppure d’inverno ingiallisce, è il simbolo del cristiano che spera, la quercia, invece, con la sua forma bizzarra e aspra, simboleggia la concezione della vita pagana, ed è quindi un simbolo negativo.
Eppure, tutto il suo simbolismo null’altro è che la profondità di sentimenti che lo lega alla Natura.
CASPAR DAVID FRIEDRICH - 1812
TOMBE DI ANTICHI EROI - AMBURGO, KUNSTHALLE
E’ proprio la sua religiosità, nonché il suo animo malinconico, a portarlo a vivere una comunione con lei, che non viene intesa nei suoi aspetti gioiosi quanto piuttosto in quelli più crepuscolari e misteriosi.
Non è un caso che questo lo spinga ad amare i tristi e nebbiosi paesaggi del nord Europa e a non mostrare alcun interesse per la nostra bella e solare Italia.
I suoi temi preferiti sono le nebbie, i tramonti, le rovine, i chiari di luna, il mare in tempesta, il silenzio e i cimiteri.
CASPAR DAVID FRIEDRICH - 1818
VIANDANTE SUL MARE DI NEBBIA
AMBURGO, KUNSTHALLE
Mai il sole, mai un albero fiorito, mai una scena che regali gioia.
Lui stesso si chiede come mai sceglie come soggetti la morte (aveva anche disegnato il proprio funerale), la caducità, le tombe e si dà anche la risposta: “Per vivere in eterno bisogna spesso abbandonarsi alla morte”.
Nonostante questa malinconica e romantica dichiarazione, la sua vita però è costellata di tranquillità e di un ascetico lavoro quotidiano.
Nel 1818 sposa Caroline Bonner che diventerà mamma di Emma e Agnese, e di quel periodo sono i suoi due dipinti più famosi: Le bianche scogliere di Rügen e Viandante sul mare di nebbia, che si può considerare come il manifesto del Romanticismo, con l’uomo solo, con tutta la sua illimitata caducità, di fronte all’infinito, anche se non sapremo mai se quel solitario essere troverà la sua felicità e la sua pace.
CASPAR DAVID FRIEDRICH - 1818
DONNA AL TRAMONTO - ESSEN, MUSEUM FOLKWANG
Dal 1824 però la sua opera pittorica inceppa in una malattia, di cui non si è mai saputa la vera natura, che spesso gli impedisce di dipingere.
Questo non poter star dietro sempre ai suoi adorati pennelli, lo immalinconisce sempre di più.
Ma Caspar David era comunque un tipo tosto, abbattuto ma non sconfitto, e  intorno agli anni Trenta realizza alcuni straordinari dipinti come Mattino di Pasqua, Un uomo e una donna davanti alla luna, La grande riserva, che per la particolare sensibilità cromatica e l’intima armonia compositiva, segnano l’apice della sua produzione tarda.
Dal 1835 la malattia, a cui si aggiunge anche un infarto, gli impedirà di dipingere del tutto, fino alla morte, che arriva inesorabile il 7 maggio del 1840.

Questo articolo è dedicato con affetto a
Ada e Vittorio Bovienzo


martedì 24 febbraio 2015

Francesco Paolo Michetti: la fotografia in aiuto della pittura

FRANCESCO PAOLO MICHETTI
AUTORITRATTO - 1888
Doveva tenerci davvero tanto Francesco Paolo Michetti, nato a Tocco da Casauria in Abruzzo nel 1851, a questo suo autoritratto.
E’ il 1888, a Roma, solo, senza la sua famiglia, e, aspettando di ritrarre la regina Margherita e il re Umberto I,  passa il tempo ritraendosi, a mezzo busto, con una sorta di fez nero schiacciato in testa, una camicia bianca a mezzo collo abbottonata, coperta da una giacca marrone che si confonde con lo sfondo.
Occhi neri, barba e baffi ben visibili tendenti al rosso, una posa semi rigida, nessun accenno di sorriso, anzi una velata malinconia.
E arriva la notizia che è diventato padre per la prima volta.
E’ nato infatti Giorgio Aurelio Carmelo.
E’ così felice che, con orgoglio molto paterno, scrive sul quadro la dedica al suo primogenito, che non ha ancora avuto modo di conoscere.
Decide quindi che quel quadro, con l’immagine di un padre che sa già quanto amore darà a questa sua creatura, sarà il regalo per il ventesimo compleanno di Giorgio.  
Un tipo  strano Francesco Paolo, un vero innovatore, precisissimo, sistematico, direi quasi maniacale, innamorato a dismisura della sua terra e della sua famiglia e un artista sui generis, visto che da subito vendette i suoi quadri a prezzi altissimi, senza aspettare fortune postume, come accadde a tanti suoi colleghi.
Ed è proprio della sua particolarità nella gestazione, quasi antropologica direi, dei dipinti che vi voglio parlare.

FRANCESCO PAOLO MICHETTI - LA PROCESSIONE DEL CORPUS DOMINI - 1877
Nel 1877, alle Esposizioni di Belle Arti di Napoli aveva presentato il dipinto La processione del Corpus Domini, un soggetto, che declinato in varie tipologie, lo interesserà fino al 1900.
Per realizzarlo, compie lunghe campagne fotografiche – catalogate meticolosamente nel suo immenso archivio di Francavilla – per fermare sul negativo le innumerevoli tipologie umane, dai contadini agli oranti, dai bambini alle donne, e le loro altrettanto innumerevoli espressioni, dal riso al pianto, dalla gioia alla melanconia. 
FRANCESCO PAOLO MICHETTI - FOTOGRAFIA
BAMBINA ABRUZZESE
Con queste sue ricognizioni fotografiche, riesce ad entrare nel vero sentire dei significati dei riti religiosi, dando spazio anche a quel che di pagano rimaneva da antichissime usanze.
Il suo non era solo un interesse etnografico ma quasi matematico: voleva carpire ogni segreto, sia dei movimenti di massa, sia dei singoli personaggi.
E per arrivare a un risultato perfetto, dopo aver scattato, sviluppato e catalogato le fotografie, da loro ne ricavava dei veri plastici – di cui rimangono testimonianze - scolpendo ogni singola figura, le colline o gli animali, per poi assemblarli, studiarli nuovamente proiettando il tutto per avere un’immagine tridimensionale e quindi passare al lavoro con i colori, prima con infiniti bozzetti e studi per arrivare finalmente alla tela definitiva.
FRANCESCO PAOLO MICHETTI
FOTOGRAFIA
DONNE ALL'USCITA DELLA CHIESA

Un lavoro di intendere la pittura assolutamente innovativo, specialmente per l’aspetto riguardante la cinetica, il movimento dei corpi e il loro andamento, che, se guardato con gli occhi del futuro, appare come una sorta di film, impostato fotogramma per fotogramma, fino a diventare un’unica grande storia.
Con la fotografia “carpiva alla natura più di un segreto”, sosteneva Michetti, tanto che da questa sua ricerca iconica deriva una nuova visione dell’arte e della vita, il che sfociò in una vera e propria svolta nel suo cammino artistico.
FRANCESCO PAOLO MICHETTI
LE SERPI - PARTICOLARE
Una scelta intellettuale che andava nella direzione della fusione delle arti, senza che l’una fosse meno o più importante dell’altra.
Non solo fotografie: innumerevoli sono anche i disegni preparatori, specie dei quadri della serie delle processioni.
Disegni dal tocco veloce e sicuro, dalla pennellata impressionista ravvivati da improvvisi schizzi di bianco, su cui scriveva numeri e simboli che rimandavano all'archivio fotografico non sempre comprensibili con facilità: il numero 20 identificava le processioni, il 16 le fiere, il 23 i modelli, il 136 il cielo, mentre la lettera U definiva il dipinto Le Serpi.

FRANCESCO PAOLO MICHETTI- DISEGNO PREPARATORIO PER LE SERPI
COLLEZIONE PRIVATA
Era il 1900 quando Michetti presentò la grande tela de Gli Storpi all’Esposizione Universale di Parigi.
E' stato anche ipotizzato che, in un primo momento, Michetti finalizzasse la raccolta di tutto quel materiale per illustrare un capitolo de Il trionfo della morte del suo amico fraterno D’Annunzio dedicato per intero al pellegrinaggio degli storpi.
FRANCESCO PAOLO MICHETTI
DISEGNO PREPARATORIO PER GLI STORPI
COLLEZIONE PRIVATA
Il soggetto, di per sé drammatico, non  provoca invece nella lettura che di esso ne dà Michetti, nessuna sensazione di ribrezzo o di fastidio, quasi che la lunga elaborazione lo abbia portato ad una visione contenuta e piuttosto distaccata.
Lavorò anni per progettarle, andando di persona all’omonima processione di Casalbordino, ricavandone schizzi di varia natura, e realizzando un’imponente repertorio fotografico, fermando con lo scatto i momenti più salienti del corteo, dalle soste al desinare.
A Chieti, intanto, era nato il sodalizio con Gabriele D’Annunzio che nel 1889 gli dedicherà Il piacere, e  lì crea il cosiddetto Cenacolo di Francavilla, con un sempre crescente interesse alla fotografia intesa come un’analisi scientifica della realtà.
Nel 1895 la prima edizione della Biennale di Venezia gli aveva conferito un premio di 10.000 lire per La figlia di Jorio, facendo rimanere proprio male Giovanni Boldini, che arrivò solo secondo.
Per l'omonima tragedia di D'Annunzio, Michetti fece anche i costumi e le scenografie.

FRANCESCO PAOLO MICHETTI - LA FIGLIA DI JORIO
PESCARA, PALAZZO DELLA PROVINCIA

L’attenzione che Michetti riservò alla spiritualità del mondo contadino resterà sempre patrimonio etnografico prezioso.
Amava questo mondo lontano in qualche modo dalla civiltà che negli anni in cui visse andò a una velocità prima inimmaginabile, quasi volesse fermare sulle tele quel qualcosa e quei qualcuno che un domani, forse, sarebbero spariti per sempre.


 Questo articolo è dedicato con simpatia a
Barbara Silvestri e Francesco Atticciati
 
Per chi volesse visitare i luoghi abruzzesi così cari a Michetti, consiglio questo sito:http://www.easyholidays.it/salinello-tortoreto/

martedì 17 febbraio 2015

Patrimonio artistico: se non ci fossero i privati...

REALE TENUTA DI CARDITELLO - SAN TAMMARO - CASERTA 
Diciamo la verità.
Le istituzioni che dovrebbero tutelare e valorizzare il nostro straordinario, irripetibile, unico e meravigliosamente variegato patrimonio artistico, fanno poco o niente, i ministri parlano, parlano, parlano, ma non agiscono mai.
Non capiscono che l'arte è la nostra ricchezza, ne abbiamo a bizzeffe e dappertutto, e potrebbe essere fonte di lavoro infinito.
Non capiscono neanche, però, che bisogna accudirla come si fa con un bambino.
Loro parlano e riparlano. E basta.
URNA DI ARNTH VELIMNA - II SECOLO A.C.
IPOGEO DEI VOLUMNI - PERUGIA
E i risultati purtroppo si vedono con un chiarezza allucinante: Pompei cade melanconicamente e costantemente a pezzi, la Real tenuta di Carditello, in provincia di Caserta, è un gioiello abbandonato e sepolto dai rifiuti, l’Ipogeo dei Volumni, stupendo sito etrusco funerario, vicinissimo a Perugia (vale un viaggio!) è praticamente introvabile: mancano le indicazioni per arrivarci.
L'elenco completo delle opere, dei siti archeologici e dei monumenti in degrado o a rischio distruzione, è lunghissimo nonché tristissimo come un elenco telefonico.
NUOVO CROLLO A POMPEI
Quindi lo Stato chiede, elemosinando senza ritegno in maniera vergognosa, aiuto alle varie e benemerite associazioni, per fortuna molte, come il Fai o Italia Nostra, a qualche rarissimo imprenditore-mecenate e ai privati cittadini.
Su uno di questi, voglio raccontarvi una storia di qualche anno fa, a lieto fine come le favole, con protagonisti una secolare istituzione religiosa, il capolavoro di una grande artista e un signore straordinariamente colto ma dannatamente e simpaticamente cocciuto.
Era un torrido mercoledì di giugno quando il signore di cui sopra si trova a Milano e, terminati i suoi impegni, si fionda alla Pinacoteca Ambrosiana.
CARAVAGGIO - CANESTRO DI FRUTTA - 1559
MILANO, PINACOTECA  AMBROSIANA
Scendendo lo scalone pensa bene di alzare la testa e riguardare Il riposo durante la fuga in Egitto che Jacopo Bassano dipinse nel 1548 e fu poi acquistata nel 1612 dall’allora parroco del Duomo di Milano, che ne fece dono al cardinal Federico Borromeo, che la inserì nella collezione della nascente Pinacoteca Ambrosiana.
Un quadro meraviglioso in una posizione davvero sfigata.
Già, perché il poverino è in mezzo al triangolo del sublime: il Ritratto di musico di Leonardo, il cartone della Scuola di Atene di Raffaello e il Canestro di frutta di Caravaggio.
Il signore di cui sopra - l’antiquario Pietro Scarpa di Venezia - lo scruta e ha un colpo al cuore: la tela è accartocciata, il colore si stacca, le vernici ottocentesche lo immiseriscono.
RAFFAELLO - CARTONE DELLA SCUOLA DI ATENE - 1509
MILANO, PINACOTECA  AMBROSIANA
Il buon Pietro si offre per restaurare il quadro a sue spese.
Dopo sei mesi il dipinto è al laboratorio di restauro di Serafino Volpin ad Arre di Padova.
Fino a qui sarebbe una bella storia di mecenatismo e amore per l’arte e basta.
Invece no, la favola, continua.

JACOPO BASSANO - IL RIPOSO DURANTE LA FUGA IN EGITTO - 1548
MILANO, PINACOTECA AMBROSIANA

Il piccolo Gesù gioca come un bimbo qualsiasi con il velo straordinariamente trasparente della mamma, con a fianco un Giuseppe esausto che lo guarda senza più neanche fiato per dirgli una parola affettuosa.
Con il restauro, si possono di nuovo  vedere le pennellate sfrangiate, la cromia originale, i lampi di luce, i pastori, l’asino, i cani e la Madonna di una bellezza incredibile visibile grazie alla pulitura che ha eliminato antichi interventi, sporco, polveri e vernici, e all’integrazione di lacune - molte ma di piccola entità - dovute al distacco della materia pittorica.
Il riposo durante la fuga in Egitto è stato esposto alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia, proseguendo così la pluridecennale collaborazione con gli Scarpa.
Ed è questo l’aspetto straordinario: l’Ambrosiana, per il suo statuto secolare, non ha mai concesso a nessuna opera di uscire dalle sue mura, nemmeno per mostre importantissime curate dai massimi storici dell'arte.
Pietro Scarpa ci è riuscito.
E non solo.
E' riuscito a salvare un quadro nato nella sua terra e farlo rimanere patrimonio dell'Italia intera.
Morale della favola: amare l’arte crea emozione, riuscire a farla sopravvivere scalda l’anima.

sabato 14 febbraio 2015

Collezionismo: tesori e colpe


FRANS FRANCKEN - 1636 - KUNSTKAMMER
VIENNA, KUNSTHISTORISCHES MUSEUM
Il collezionismo è fenomeno psicologico, non è cultura e non sopravvive nel tempo se non ha dentro valori profondi.Venezia sembrava una gigantesca wunderkammer con sculture greche o romane in ogni palazzo o dimora di una certa ricchezza, mentre dal Cinquecento si moltiplicarono le collezioni di tutte le espressioni d'arte: dipinti, medaglie, pietre dure, tempietti, reliquie e «corpi santi», libri, monete, cippi, stampe, anche di un solo soggetto, magari l'immagine della Beata Vergine, paramenti e arredi, vetri antichi, affreschi, bulini, conchiglie, oggetti napoleonici, volatili «esotici ed indigeni».
ABBONDANZA - GRECIA, V SECOLO
VENEZIA, MUSEO ARCHEOLOGICO
GIA' COLLEZIONE DOMENICO GRIMANI





Quasi che Venezia fosse una città bulimica che fagocitava tutto, anche i falsi, «unendo l'oro alla fanghiglia».
Quel gran ben di Dio, si pensa a più di 100.000 dipinti e centinaia di migliaia di oggetti, fu l'ignaro protagonista di un'inquietante dispersione.
Fu Napoleone, come è nell'immaginario collettivo, l'unico colpevole di acquisire - leggi rubare - così tanti dipinti senza i quali il Louvre sarebbe un museo decisamente meno ricco?
Assolutamente no.
Anzi.
Buona parte di colpa fu dei veneziani stessi, che per denaro non pensarono più di tanto a svendere collezioni dalle connotazioni più variegate a mercanti d'arte, viaggiatori ed ambasciatori che riuscirono a far man bassa in laguna non solo perché si era sfasciato il potere politico della Dominante, ma soprattutto perché erano svaniti la ricchezza e l'amore per l'arte.
PAOLO VERONESE - LA FAMIGLIA DI DARIO DAVANTI AD ALESSANDRO - 1565
LONDRA, NATIONAL GALLERY - GIA' COLLEZIONE PISANI
Solo poche famiglie riuscirono ad evitare lo sfacelo: i Grimani e i Correr che lasciano alla città i loro beni o, come i Querini Stampalia, che fondano addirittura una struttura permanente.
Attraverso le notizie raccolte nelle 225 pagine del manoscritto di Francesco Scipione Capanni, compilato tra il 1877 e il 1889, che racconta di 291 collezioni e di ben 69 diaspore, si muove tra curiosità e storie di dipinti ed oggetti rari, come il libro di preghiere del doge Francesco Morosini che racchiude al suo interno una piccola pistola, il cui scatto si ottiene tirando un cordoncino all'interno del libro.
LIBRO DI PREGHIERE DEL DOGE FRANCESCO MOROSINI
VENEZIA, MUSEO CORRER
Ma se questa chicca è fortunatamente al Museo Correr, infinite sono le vendite: i Pisani vendono un Paolo Veronese, l'ultimo Barbarigo aliena addirittura lo stemma di famiglia con tre fanali di galea e 33 cavalli intagliati, la raccolta dei Nani parte per Vienna, dipinti di Tiziano, Giorgione, Mantegna, Leonardo, Caravaggio e Dürer sono venduti da Nicolò Renieri già nel 1698.
Le tre età dell'uomo di Giorgione emigrano per Firenze e vanno a vivere sotto i Medici già dal 1698.
GIORGIONE - LE TRE ETA' DELL'UOMO - 1500/1501
FIRENZE, GALLERIA PALATINA
GIA' COLLEZIONE NICOLO' RENIERI
Il Grand Tour, è inteso più come shopping expedition che viaggio di educazione, e i dipinti varcano il vallo adrianeo per giungere ad Edimburgo, dove il museo parla veneziano, con capolavori come le due Diana, opere di Tiziano nella piena maturità e venduti da lui stesso a Filippo II di Spagna ed ora «in prestito dal duca di Sutherland dal 1945» o la Deposizione di Jacopo Tintoretto rubata, come ricorda il Ridolfi nel 1648, da San Francesco della Vigna o ancora autografi di Veronese, Bassano o Lotto, comprati all'inizio del Seicento dal duca di Hamilton.
E, ancora una volta, Venezia si ritrova e si celebra altrove.

domenica 8 febbraio 2015

Lorenzo Lotto: originale e vagabondo


LORENZO LOTTO - MADONNA CON BAMBINO E SANTI
OLIO SU TAVOLA, FIRMATO - 1503 ca.
 ROMA, COLLEZIONE BENUCCI
E’ stato per anni considerato figura di secondo piano, ma Lorenzo Lotto, nato a Venezia intorno al 1480, è senz'altro massimo artista dall’indole originale e dalla vasta complessità della cultura artistica.
Ora lo si sta celebrando a Roma, nella mostra Lorenzo Lotto e i tesori artistici di Loreto a Castel Sant’Angelo dal 3 febbraio al 3 maggio (orario 9 – 19), curata dal professor Giovanni Morello.
Inquieto di carattere, sembra un nomade che gira freneticamente l’Italia ‘rubando’ i succhi più vari della cultura figurativa, pur rimanendo sempre pittore dalla forte sensibilità condita da insoddisfazione.
E' un pittore intelligente e curioso e si evolve, cosa non da tutti.
Certo è che all’inizio non può non subire il fascino di Giovanni Bellini e della pittura fiamminga di Dürer, che bazzicava a Venezia come tanti altri suoi compaesani, come è visibile chiaramente nella tavola della Madonna con Bambino e Santi, di collezione privata.
LORENZO LOTTO - 1523
SPOSALIZIO MISTICO DI SANTA CATERINA
BERGAMO, ACCADEMIA CARRARA
Quando arriva nelle Marche, a Recanati per la precisione, e infine nel 1509 a Roma, si avvicina a Raffaello, da cui prende quella sottile inquietudine che caratterizza tante sue opere.
Basta guardare le due versioni de Lo sposalizio mistico di santa Caterina, una a Monaco all’Alte Pinakothek e l’altra all’Accademia Carrara di Bergamo, per capire: da un’impostazione belliniana rinnovata da un colore contrastato e nordico a un ritmo compositivo più mosso e venato di eleganze manieristiche.
Ancora in giro per l’Italia: dal 1513 al 1526 è a Bergamo, dove dipinge splendide pale d’altare: l'impostazione belliniana si scompagina in ritmi più mossi e accenti più emotivi nel volgere improvviso di alcune figure e nel rapido roteare degli angeli a sostenere panneggi e baldacchini, accendendosi in tonalità vivide e fredde.
Quando nel 1529 ritorna a Venezia, trova la città inesorabilmente dominata dal divin pittore, ovvero Tiziano.
Ubi maior, minor cessat, dicevano gli antichi romani.
Così, il povero Lorenzo continua il suo peregrinare, andando avanti e indietro dalle Marche, dove morirà a Loreto nel 1556,  spinto sia dall’insoddisfazione che dal bisogno.
Però si prende una rivincita dipingendo fenomenali ritratti.
LORENZO LOTTO - RITRATTO DI ANDREA ODONI -1527
CASTELLO DI WINDSOR, ROYAL COLLECTION
I suoi soggetti appartenevano a un ceto sociale più basso di quelli di Tiziano e più che nobili o dogi si trattava di mercanti, bottegai e professionisti.
E’ però chiaro che molti di loro avevano gusti estetici e intellettuali assai sofisticati e per soddisfarli, Lotto elaborò una formula di ritratto molto diversa da quella abitualmente usata da Tiziano.
I formati sono tipicamente orizzontali più che verticali e il personaggio è collocato in un ambiente che spesso si carica di significati simbolici.
LORENZO LOTTO
 RITRATTO DI LUCREZIA VALIER - 1533
LONDRA, NATIONAL GALLERY
Nel ritratto di Andrea Odoni, del 1527, il ricco mercante di origine milanese - la cui raffinata collezione di opere d’arte è descritta nel dettaglio da Michiel - esibisce sei frammenti di sculture in marmo che paiono ammonire sulla transitorietà dei possessi terreni.
L’espressione melanconica e l’ostentazione gestuale, con una mano che porge un oggetto emblematico e l’altra sul cuore, sono in sintonia con questo messaggio moralizzante.
Analogamente, nel ritratto di Lucrezia Valier, la posa abbastanza goffa è pensata non per essere elegante e naturale alla maniera di Tiziano, ma per convogliare l’attenzione sul disegno e sul foglio con la scritta che istituiscono un esplicito parallelo tra la donna e la sua omonima classica, Lucrezia, che aveva preferito morire piuttosto che perdere la virtù.
LORENZO LOTTO - GENTILUOMO NELLO STUDIO - 1530 ca.
VENEZIA, GALLERIE DELL'ACCADEMIA
Formidabile poi la brillante esecuzione del vestito verde e arancio, del velo trasparente adagiato sulle spalle e del gioiello che sporge dal corsetto.
Nel Gentiluomo nello studio, la luce soffusa, che entra dallo spiraglio della finestra, avvolge il personaggio in un’aura di tale malinconia e mistero che è quasi impossibile staccare gli occhi da quel capolavoro.