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domenica 22 marzo 2015

Venezia e l'Islam: guerre e arte

GIANDOMENICO TIEPOLO - LANCIERE TURCO - 1760/1770
NEW YORK, THE METROPOLITAN MUSEUM OF ART
A Venezia, nel Fondaco concesso ai Turchi nel 1621 c’è il sapore dell’ambiguità presente in ogni mito, segno più di allontanamento che di rapporto intenso, di un grande nemico che viene a mancare, che si guarda, si controlla, a cui si dà e da cui si prende molto ma che si accetta solo quando si comprende che è divenuto innocuo.
Sono i Turchi del Tiepolo che abitano il Fondaco come potrebbero apparire nella scenografia del Turco in Italia di Rossini, non gli Arabi delle Crociate.
VENEZIA
BASILICA DI SAN MARCO E PALAZZO DUCALE
E solo camminando per la città si può capire come si è giunti a quell’ambiguità, erede di un glorioso passato nato dal lavorio costante di abili mercanti e dall’odore acre di lunghe scie di sangue, scoprendo anche negli anfratti più segreti la complessità del legame millenario di Venezia con l’Islam, quel darsi e prendersi in un rapporto di battaglie vinte e perse, di scambi di schiavi e di merci ma anche di anime e di convenienze.
Un esterno che si riflette nella certezza filologica di manufatti che disvelano nella loro storia la miriade di segni rinchiusi nell’architettura della città, dalla Basilica costruita da architetti bizantini alle merlature di Palazzo Ducale, che evocano i profili dei tetti delle moschee mamelucche.
L’artista veneziano è avido di apprendere e fa suoi i modi dei paesi dell’altra sponda del Mediterraneo e se oggi il vetro veneziano è sinonimo di qualità nel mondo intero, questo affonda le sue radici nell’anno 1204, l'anno della Quarta Crociata.
COPPA IN VETRO - IRAN - X SECOLO
MONTATA A COSTANTINOPOLI NELL'XI SECOLO
VENEZIA, TESORO DI SAN MARCO 
Nell’immenso bottino riportato dal saccheggio di Costantinopoli, trovano posto anche alcuni vetri famosi, oggi nel Tesoro di San Marco, che la dicono lunga sull’ammirazione dei veneziani verso gli islamici.
Un esempio su tutti: la coppa iraniana del X secolo in vetro di un celeste incredibile e montata in argento e pietre a Costantinopoli nell’XI secolo.
Sei centimetri di base, sette e mezzo di altezza per un diametro massimo di quasi diciannove, iscritta a caratteri cufici sotto la base con ognuno dei cinque lobi decorato a rilievo con una lepre in corsa.
BICCHIERE ALDREVANDIN
La strada verso l’eccellenza vetraria è aperta: i veneziani importano, sulle rotte di Alessandria, Tiro e Antiochia, non solo informazioni tecnologiche, ma la materia prima più pregiata, ossia il lume carino, una soda di prima qualità che diventa obbligatoria per garantire la qualità superiore del prodotto finito, forme particolari che saranno poi dei bicchieri Aldrevandin smaltati e dorati, i decori a fojami, non figure, che i veneziani useranno a smalto blu sul lattimo.
Un bottino oltre il bottino, un’incessante ruberia di idee e tecniche che le abili mani dei serenissimi trasformeranno in capolavori.
Così come nel periodo di ascesa al trono ottomano di Solimano il Magnifico, dal 1520 al 1566, intensificandosi le missioni diplomatiche e gli scambi di doni per la ricca presenza di mercanti e nobili veneziani, artigiani e artisti di tutte le corporazioni abbracciarono lo stile islamico.
AL-BUKHARI - SAHIH
1529 - TURCHIA
LONDRA
NASSER COLLECTION
 
Basta osservare i libri di motivi decorativi raffiguranti moltitudini di arabeschi pubblicati in questi anni o lo zelo dei tipografi veneziani nello stampare a caratteri mobili testi arabi per rendersi conto di una tendenza estetica volta a creare un nuovo gusto.
E’ turca e del 1529 la legatura in marocchino nero del Sahih di Al-Bukari, opera canonica del IX secolo da leggersi nelle moschee imperiali ottomane durante i mesi del ramadan, con il medaglione centrale dorato appuntito a forma di mandorla e i cantonali, sempre dorati, concavi ai quattro angoli con decorazioni tipiche islamiche che ispirarono le legature della Venezia rinascimentale per ricoprire nomine di dogi e procuratori di San Marco, oltre ad essere usate su armi e armature, piccoli accessori e strumenti musicali.
Venezia dunque che si inchina alla raffinata eleganza artistica degli infedeli?

POLENA DELLA BASTARDA
DEL COMANDANTE FRANCESCO MOROSINI
VENEZIA, MUSEO STORICO NAVALE




Assolutamente sì, ma mai lascerà loro lo scettro di Regina del Mare.
I Turchi, dopo la disfatta di Lepanto, sul mare erano sempre più deboli e che poteva esserci di meglio di un colpo di grazia morale e definitivo, mettendo uno di loro in catene, uno schiavo seminudo, con la testa scoperta, intagliato dagli scultori dell’Arsenale, come polena sui fianchi di poppa della bastarda del comandante in capo Francesco Morosini, il Peloponnesiaco, l’eroe simbolo della potenza della Serenissima flotta?