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lunedì 2 marzo 2015

Carpaccio e le mirabilanti storie di sant'Orsola

VITTORE CARPACCIO - 1490/95
ARRIVO DEI PELLEGRINI A COLONIA
VENEZIA, GALLERIE DELL'ACCADEMIA
Le storie che Vittore Carpaccio, nato a Venezia nel 1475 e morto nel 1525, raccontava con il pennello, non sono inventate, sono scritte nei libri, sono leggende, o meglio legenda, storie da leggere, di grande raffinatezza e autonomia, declinate in un’originalissima visione.
E’ anche straordinario che il ciclo con le Storie di sant’Orsola, commissionatogli dall’omonima Scuola e dipinte tra il 1490 e il 1495, su cui mi soffermerò, sia sopravvissuto integro nella sua città, alle Gallerie dell’Accademia, così come il ciclo di San Giorgio, dipinto tra il 1502 e il 1507, è ancora interamente nel suo sito originario, la Scuola di San Giorgio degli Schiavoni, sempre a Venezia.
Per Scuole, si intendono le confraternite laiche, ovvero associazioni di lavoratori, che avevano un santo patrono, da san Marco in giù, foraggiate dalle famiglie veneziane più importanti.
In breve i fatti, tanto per capire meglio anche come Carpaccio li ha raccontati.
VITTORE CARPACCIO - 149071495
LA PARTENZA DEGLI AMBASCIATORI
VENEZIA, GALLERIE DELL'ACCADEMIA
Orsola, una vergine principessa occidentale, sogna un angelo che la informa del suo prossimo sacrificio.
Invece di convolare a giuste nozze con il figlio pagano del re d’Inghilterra, raduna undicimila compagne come dame  di compagnia, va a Roma in pellegrinaggio dal Papa, ma, arrivata a Colonia, lei e le altre fanciulle furono sterminate da un esercito di Unni che assediavano la città.
Quindi, riceve la palma gloriosa del martirio.
Sono storie mirabolanti, improbabili e fantasiose, di santi e vergini, gli eroi eccellenti dell’epica cristiana.
Sono mito, racconto favoloso, proprio come le pitture che le descrivono, le interpretano, le illustrano.
Storie da guardare senza fretta, percorrendole avanti e indietro, soffermandosi sulle singole figure, sui dettagli, sui costumi, sui gesti, sulle scene.
I nove grandi teleri delle Storie di sant’Orsola, originariamente collocati intorno alle pareti della sala consiliare della Scuola, mostrano l’interesse che Carpaccio aveva per la pittura fiamminga, la cui contaminatio artistica con Venezia è evidente.

VITTORE CARPACCIO - 1490/1495 - IL COMMIATO DI SANT'ORSOLA
VENEZIA, GALLERIE DELL'ACCADEMIA
L’attenzione con cui il nostro cura i particolari è impressionante: dai libri nell’armadio aperto  ai vasi di fiori sul davanzale del Sogno di sant’Orsola, dagli intarsi in marmo a rilievo sulle pareti alle ghirlande vegetali che scendono dall’arco ne La partenza degli ambasciatori, dai tappeti persiani stesi lungo il percorso fatto da Orsola ne Il commiato di sant'Orsola fino ai bassorilievi marmorei sul palazzo di sfondo ne Il ritorno degli ambasciatori in Inghilterra
Non solo particolari però.
La pittura di Carpaccio è elegantemente sociale: le sue storie sembrano quasi delle fiabe in cui si riflette la vita veneziana dell'epoca.
Rappresentò una serie di arrivi e partenze in diverse forme rituali.
Si vedono ambasciatori andare e venire: arrivano presso una corte, poi se ne ripartono con gesti di deferenza per giungere a un’altra.
I personaggi sono creature pubbliche e molti di questi personaggi sono i ritratti della famiglia Loredan, che contribuì in modo determinante al finanziamento dell'opera.
E pubbliche sono pure le undicimila vergini – future martiri - al seguito di Orsola.
Il ciclo di sant’Orsola è anche una sorta di manuale per come rendere la folla.
VITTORE CARPACCIO - 1490/95 - IL RITORNO DEGLI AMBASCIATORI IN INGHILTERRA
VENEZIA, GALLERIE DELL'ACCADEMIA
Nel Ritorno degli ambasciatori in Inghilterra il pubblico è vasto, riunito a sinistra del tempietto, mentre altre figure affollano balconi e ponti, che, soffermandosi a guardare, rispecchiano una società ordinata, fiera del suo essere padrona del Mediterraneo, ricca (basta osservare i velluti degli abiti e il florilegio di marmi sparsi qua e là dappertutto), culturalmente elevata.
Non ultimo, era una società che teneva in grande considerazione le donne, che da altre parti, in quel periodo e anche dopo, non avevano certo l'importanza che avevano invece a Venezia, città da cui gli uomini si imbarcavano per mesi interi e le signore tenevano in mano, ben salde e in modo indipendente, le redini di affari e relazioni.
VITTORE CARPACCIO - 1490/95
IL SOGNO DI SANT'ORSOLA
VENEZIA, GALLERIE DELL'ACCADEMIA
Dettagli apparentemente insignificanti, come il cagnolino ai piedi del letto di sant'Orsola nella tela del Sogno o il bambino all’estrema sinistra che suona uno strumento a corde, nel Ritorno degli ambasciatori in Inghilterra, regalano animazione e spontaneità.
Sempre in questa tela, nelle piccole oasi di ‘non partecipanti’, vicino ai gradini del tempietto, è seduta soltanto una scimmietta mascherata e una faraona, simboli di stoltezza che rimarcano la cecità pagana del monarca e dei suoi sudditi.
E qui si potrebbe aprire un lungo discorso sugli animali simbolici, sulle metafore, sul contesto, sull’iconologia, sulle fonti, sulla committenza.
Un argomento che affronterò in un altro articolo: troppo lungo sarebbe farlo qui e ora.
Carpaccio, che John Ruskin, nel 1901, definiva “una specie di specchio magico, che riflette istantaneamente qualunque ordine di bellezza”, è uno scrigno magico, ancora da svelare completamente.
Ma i suoi misteri, meravigliosi e onirici, si possono guardare per ore e ogni attimo ci riservano una sorpresa memorabile ed inaspettata. 
 
Questo articolo, in forma più ridotta, 
è stato pubblicato anche sul sito Wall Street International


sabato 22 novembre 2014

Davvero nell'antichità dipingevano gli UFO?

VITTORE CARPACCIO
I DIECIMILA MARTIRI DEL MONTE ARARAT
Quello che mi innervosisce quando chi non è esperto di storia dell’arte ma vuole invece far finta di saperne moltissimo, è che non manca occasione di dire o scrivere una montagna di stupidaggini.
Ora poi, con l’avvento di blog e di siti in cui scrivere senza nessuna censura di tipo scientifico, queste persone aumentano in maniera esponenziale.
L’esempio che voglio portare sono le “discussioni” su alcuni quadri antichi e sulla presunta ipotesi che vi siano stati dipinti improbabili astronavi o UFO, sì, proprio loro, gli oggetti volanti non identificati.
Il primo esempio è un meraviglioso quadro di Vittore Carpaccio, dipinto nel 1512: I diecimila martiri del monte Ararat.
Trecento figure, fra grandi e piccole, in una tavola di straordinaria bellezza dall’iconografia complessa e desueta.
Ma di questo tema scriverò un’altra volta.
Quel che importa è che moltissimi, troppi direi, hanno disquisito non sul significato politico e  diplomatico del dipinto che sottendeva ai rapporti fra veneziani e turchi, come è invece la giusta lettura, bensì erroneamente su quel disco che appare in alto al centro della tela.
Secondo sedicenti ufologi, Carpaccio aveva visto un’astronave arrivata da altri mondi e la dipinse, in maniera anche simbolica perché la posizionò sopra il monte Ararat, luogo dove si posò l’Arca di Noè.
E giù pagine e pagine di inutili e farneticanti discussioni.
Il buon Carpaccio non vide mai e mai si sognò di dipingere un’astronave dalla forma visibile nei fumetti. Semplicemente dipinse - riprendendolo dalle Visioni dell’Aldilà che Bosh realizzò tra il 1500 e il 1503 visibili da lui in quanto a Venezia nella collezione del cardinal Domenico Grimani - il motivo a cerchi concentrici dell’Empireo, abitato dagli angeli, che si vedono anche svolazzare lì intorno.
PAOLO UCCELLO  - TEBAIDE - 1460
Nella Tebaide che Paolo Uccello dipinse nel 1460, secondo molte tesi ufologiche, quell’oggetto rosso visibile nella grotta al centro, a destra del crocefisso, sarebbe un disco volante, per di più rosso per descriverne l’incandescenza e realizzato con scie semicircolari come per indicare una virata, lo stesso modo in cui viene rappresentata oggi nei fumetti. 

PAOLO UCCELLO - TEBAIDE - PARTICOLARE
Forse a Paolo Uccello i fumetti non piacevano, perché quello strano oggetto altro non è che il cappello da cardinale, rosso ovviamente, che è uno degli attributi di san Gerolamo, che dopo la carriera ecclesiastica divenne eremita, e che si vede inginocchiato a pregare davanti a Gesù in croce accompagnato dal leone, un altro dei suoi attributi iconografici.
Ma non basta.
Anche Boniventura Salimbeni viene chiamato in causa dagli ufologi per via della sua Adorazione dell’Eucarestia che realizzò alla fine del 1500 per la chiesa di san Pietro a Montalcino, dove per molti dipinse addirittura lo Sputnik.
Quindi, più che un pittore, Salimbeni era un veggente.
Cerchiamo di capire.
Salimbeni dipinse Gesù, lo Spirito santo in forma di colomba e Dio Padre, ovvero la Trinità, insieme al Globo del Creato o Sfera Celeste, che rappresenta non la terra ma l’intero universo.

BONAVENTURA SALIMBENI
ADORAZIONE DELL'EUCARESTIA
L’interpretazione data da sedicenti scienziati descrive invece uno stranissimo oggetto di forma circolare, lucido, di colore metallico, a cui sono attaccate due lunghe antenne (gli scettri tenuti in mano da Gesù e Dio Padre, simboli del potere divino sul creato, n.d.a.) e quindi questo ‘coso’, dicono gli ufologi, assomiglia incredibilmente ai primi satelliti artificiali della storia umana: il Vanguard II o lo Sputnik.
Avessero studiato o almeno letto qualche testo sacro non avrebbero scritto tale sciocchezza.
Non vado oltre.

Il problema è che questi signori non si preoccupano nel modo più assoluto di documentarsi sul possibile significato simbolico e quindi tutto ciò che appare bizzarro diventa immediatamente un oggetto volante non identificato visto dal vero.
Secoli fa, i committenti, che spesse volte erano religiosi, controllavano con maniacale puntiglio l’iconografia e mai avrebbero permesso di dipingere qualcosa di strano o di non conforme ai canoni e questo lo si può capire studiando lettere, documenti, inventari e note spese.
Ma è un lavoro lungo e a volte noioso, e comunque bisogna passare giornate, mesi e anni in biblioteca. 
Per concludere: chi vuole andare a  caccia di UFO, vada pure, ma lasci stare la pittura.
Lì i misteri sono di ben altra portata, ma mai visibili alla prima occhiata.