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giovedì 15 giugno 2017

Masaccio: il primo grande pittore del Quattrocento

Masaccio - Autoritratto
Firenze, Cappella Brancacci
Il primo grande pittore del Quattrocento appartiene alla cerchia di Donatello e di Brunelleschi, con cui era legato da profonda amicizia e di cui condivideva le ricerche nel campo della prospettiva, le istanze umanistiche e le idee innovatrici.
Si tratta di Tommaso di Ser Giovanni di Mone, universalmente noto con il nome di Masaccio, nato in San Giovanni Valdarno mercoledì 21 dicembre del 1401.
Pur vivendo pochissimo, morì a Roma,  si dice avvelenato, a soli 26 anni nell’estate del 1428, Masaccio è una pietra miliare nella storia dell’arte italiana e la sua importanza è inversamente proporzionale alla durata della sua vita. Masaccio era uno strano personaggio unicamente dedito all’arte a sentire come lo descrive Vasari: “Fu persona astrattissima e molto a caso, come quello che avendo fisso tutto l’animo e la volontà alle cose della arte sola, si curava poco di sé e manco di altrui. E perché e’ non volle pensar già mai in maniera alcuna alle cure o cose del mondo, e non che altro, al vestire stesso, non costumando riscuotere i danari da’ suoi debitori, se non quando era in bisogno estremo”.
Masaccio - Trittico di san Giovenale - 1422
Cascia di Regello, Museo Masaccio
La sua prima opera certa è il Trittico di san Giovenale, del 1422 e destinato a una chiesa di Cascia di Regello, dove le figure energicamente costruite, la prospettiva del trono e alcuni particolari come il Bambino nudo che mangia un grappolo d’uva, ritorneranno anche nelle sue opere mature.
Si sa che collaborò con Masolino nella Sant’Anna Metterza, alla Galleria degli Uffizi, dove di sua mano sono la Madonna, il Bambino e l’angelo sulla destra.
Tra il 1425 e il 1426 dipinge il Polittico di Pisa per la chiesa del Carmine ma questa grande tavola fu smembrata e le numerose parti che la componevano sono sparse per tutta l’Europa.
Masaccio - Crocefissione - 1426
Napoli, Museo di Capodimonte
Straordinariamente drammatica è la Crocefissione, ora a Napoli nelle Gallerie Nazionali di Capodimonte, opera con cui Masaccio apre trionfalmente la vicenda della pittura rinascimentale, in cui il personaggio tragico della Maddalena ai piedi della croce è stata aggiunta di getto sovrapponendola a una precedente stesura.
Importantissima testimonianza della perfetta comprensione riguardo al nuovo concetto di spazio e frutto di collaborazione con Brunelleschi per quanto riguarda le architetture, è il monumentale e strepitoso affresco della Santissima Trinità in Santa Maria Novella a Firenze.
Si può solo immaginare lo stupore dei fiorentini quando apparve l’affresco che pareva aver scavato un buco nel muro per mostrare al di là una nuova cappella, che diventa quasi protagonista della composizione che preannuncia il Cinquecento.
Masaccio - Santissima Trinità
1427/1428
Firenze, Santa Maria Novella
 
Ma la grande opera di Masaccio è la continuazione degli affreschi che iniziò Masolino nella Cappella Brancacci in Santa Maria del Carmine a Firenze, a cui il giovane artista lavora tra il 1425 e il 1427 e, che alla sua morte, verranno terminati da Filippino Lippi oltre cinquant’anni dopo.
I suoi personaggi sono esempi di un’umanità del tutto nuova: avvolti in ampi mantelli le cui pieghe ricadono senza rigidezza, sostanziano e qualificano lo spazio in modo tale che la presenza di architetture negli sfondi non appare essenziale ai fini dell’organizzazione spaziale delle scene e la rappresentazione del reale, del miracolo inteso come momento significativo della storia, si arricchisce di un profondo contenuto etico in queste essenziali ‘prospettive figurate’.
Masaccio - Il pagamento del Tributo - 1425
Napoli, Museo di Capodimonte
Nel Pagamento del Tributo, una delle scene più famose di tutto il ciclo, il gruppo di apostoli si dispone intorno a Cristo secondo un modello circolare: tutta la scena appare intessuta di una tenue seppur eloquente trama di gesti e di sguardi tra le figure di statuario vigore, che sottolinea i diversi momenti dell’azione.
Masaccio - Resurrezione del figlio di Teofilo 
1425/1427
Firenze, Santa Maria del Carmine
 Cappella Brancacci
Nella Storia di Tabita, fa da sfondo una perfetta veduta cittadina con caseggiati quattrocenteschi, di una potenza evocativa di cui solo lui era capace.
Nel San Pietro che guarisce con l’ombra, nella Distribuzione dei beni, nella Resurrezione del figlio di Teofilo, la tecnica pittorica, basata sull’accordo dei toni e sul tenue svariare delle luci, raggiunge valori che anticipano i  pittori veneziani cinquecenteschi.
Masaccio 
La cacciata di Adamo ed Eva
dal Paradiso Terrestre
Firenze, chiesa del Carmine
Cappella Brancacci
L’opera di Masaccio influenzò e in certo senso determinò l’arte pittorica a lui successiva, dall’Angelico al Lippi, da Leonardo a Michelangelo, mentre le future generazioni di artisti la considerano fondamentale.
Tale modernità è ancora valida: le celeberrime figure ignude di Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso terrestre mantengono intatta la loro fenomenale efficacia.
Il contenuto etico e morale della pittura di Masaccio, che costruisce immagini grandiose di uomini degne dell’antichità storica, direttamente si innesta su una ricerca formale tesa non più alla gradevolezza della linea o del colore, ma al raggiungimento di strutture compositive e prospettiche di essenziale efficacia.
Noi abbiamo fatto in Masaccio una grandissima perdita”, dirà Filippo Brunelleschi alla notizia della dipartita del giovane e rivoluzionario pittore, indicando con quel ‘noi’ tutta la Firenze artistica del tempo.
Il lungimirante architetto comprendeva che molti anni sarebbero passati prima che sulla scena della pittura italiana apparisse un uomo capace di raccoglierne l’eredità.

martedì 6 settembre 2016

Piero della Francesca, genio colto e limpido

Piero della Francesca - Autoritratto
Arezzo, chiesa di San Francesco - 1466
Affreschi Storie della  croce 
Il più importante, geniale, colto e creativo artista del Quattrocento italiano nacque a Sansepolcro il 12 settembre presumibilmente nel 1416, dal calzolaio e conciapelli Benedetto de’ Franceschi e dalla nobildonna Romagna di Perino da Monterchi,  ma già ai suoi tempi era denominato ‘della Francesca’.
Nel 1439 lavora  a Firenze con Domenico Veneziano e tre anni dopo la sua presenza è documentata nel borgo natio, dove risedette fino alla morte, pur assentandosi ripetutamente per brevi o meno brevi soggiorni di lavoro a Rimini, Urbino, Ferrara, Roma e soprattutto ad Arezzo, dove tornò spesso, dal 1452 al 1466, per attendere all’incredibile, magnifico e maestoso ciclo di affreschi nel coro della chiesa di San Francesco con Le storie della Croce, in cui prevalgono il respiro spaziale ben scandito e la teoria delle proporzioni.

Piero della Francesca
Madonna della Misericordia - 1464
Sansepolcro, Museo civico

 


L’ambiente fiorentino determina la sua personalità, attraendolo con la fiabesca cromia degli ultimi gotici, con la gentile e stupefatta illuminazione del Beato Angelico e con la nuova scienza prospettica propugnata da Filippo Brunelleschi e resa sostanza pittorica vitale da Masaccio.
Questi impulsi trovano in Piero immediata fusione, che lui esprime subito con singolare sicurezza.
Il suo è un mondo nel quale ogni immagine si inserisce nello spazio secondo il calcolo più rigoroso, come nel Battesimo di Cristo, San Sigismondo e il Malatesta, la Flagellazione di Cristo, la Madonna della Misericordia.
Con il concorso della luce fissa persone e paesi in un estatico, imperturbabile nitore apparentemente senza emozioni, come nel Sogno di Costantino, nella Madonna del parto e nella Madonna di Senigallia.
Piero della Francesca
Il sogno di Costantino
Arezzo, Basilica di San Francesco
Negli anni sessanta consolidò il rapporto con i duchi di Urbino per cui realizzò i celeberrimi Ritratto di Battista Sforza e il  Ritratto di Federico di Montefeltro, conservati a Firenze alla Galleria degli Uffizi, la Natività, ora a Londra alla National Gallery, ma soprattutto la Pala Montefeltro, ora alla Pinacoteca di Brera a Milano, divenuta a giusta ragione il dipinto simbolo della pittura italiana quattrocentesca.
Gli ultimi anni della sua vita furono resi amari dalla perdita della vista, che lo costrinse a dedicarsi esclusivamente alla stesura di importanti trattati di pittura e matematica, come il De prospectiva pingendi sulla teoria della prospettiva per l’uso in pittura, il Trattato de abaco, di aritmetica e il Libellus de quinque corporibus regularibus sulla geometria solida.
Piero della Francesca
Pala Montefeltro - 1472
Milano, Pinacoteca di Brera
Piero muore a Sansepolcro il 12 ottobre 1492, il giorno della scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo, e lì fu sepolto nella cappella di San Leonardo nella Basilica di San Giovanni Evangelista, ossia la cattedrale cittadina come aveva lui stesso lasciato scritto nel testamento, dove, non essendosi mai sposato e non avendo avuto figli, lasciava i suoi averi ai fratelli.
L’enorme eredità che invece Piero ha lasciato nella pittura è stata la limpida chiarezza dell’uso delle regole geometriche su cui si basa la prospettiva, che applicò con assoluto rigore e toccante poesia.

venerdì 17 ottobre 2014

Brunelleschi, il primo architetto

MASACCIO
RITRATTO DI BRUNELLESCHI
Filippo Brunelleschi è stato il primo grande architetto in senso moderno. 
Una rivoluzione assoluta nel campo delle costruzioni e dell'urbanistica, che cambierà radicalmente il volto di intere città.
Con lui infatti l’architetto non è più il capomastro medioevale ma il creatore, in grado di risolvere col suo lavoro intellettuale in sede di progettazione, tutti i problemi della costruzione, dalle risoluzioni strutturali ai dettagli decorativi.
Un genio.
SACRIFICIO DI ISACCO
Fu davvero personalità fondamentale nel passare al primo compiuto manifestarsi degli ideali del Rinascimento.
La sua carriera inizia come apprendista orafo e scultore, nella sua Firenze, dove nacque nel 1377.
Nel 1401 partecipa al concorso per la decorazione della seconda porta del Battistero: la sua formella col Sacrificio di Isacco fu giudicata vincitrice ex aequo con quella di Lorenzo Ghiberti. 
Ma l'idea di dividere l’incarico con un altro lo fa rabbrividire, per cui conclude rapidamente la sua esperienza di scultore.
Ritornerà poi al suo primo amore con il Crocifisso ligneo di Santa Maria Novella.
L'occasione della sua vita arriva nel 1409 con il cantiere di Santa Maria del Fiore.
CUPOLA DI SANTA MARIA DEL FIORE
Un'occasione imperdibile per un innovatore del suo calibro.
Si voleva completare l’opera duecentesca di Arnolfo di Cambio, ma la cupola non poteva essere costruita con i mezzi tecnici a disposizione.
Doveva essere sorretta da grandi armature lignee, le céntine, ma non se ne potevano fare di così grandi: erano scomparse, a causa della peste, le maestranze capaci di simili lavori.
Come fare?
I problemi sembravano impossibili a risolversi ma lui ha un colpo di genio, un'intuizione che da allora cambierà il corso della storia dell'architettura.
LANTERNA SANTA MARIA DLE FIORE
Brunelleschi inventa una nuova tecnica che permette alla cupola di auto-sostenersi nel corso della costruzione.
Nel 1434 la struttura è conclusa con successo, due anni dopo è messa in opera la lanterna di coronamento e nel 1438 le quattro tribune negli intervalli del corpo sporgente dell’ottagono absidale.
La cupola ha una forma leggermente ogivale e non soltanto conclude un edificio di un’altra epoca: lo ri-definisce, lo adegua, ne trasforma il significato, con l’ampio corpo coordina e conclude gli spazi irradiati del coro, con il profilo ogivale equilibra in altezza lo spazio longitudinale della navata, con la convergenza delle nervature ne definisce prospetticamente la forma.
La cupola così non grava più sull’edificio ma si libra nell’aria, con la tensione elastica degli spicchi in muratura tesi tra le nervature.
CAPPELLA DEI PAZZI - SANTA CROCE
L’inimitabile purezza di linguaggio appare nelle opere che improntano di sé l’intera struttura urbana fiorentina - il portico dello Spedale degli Innocenti, la chiesa di San Lorenzo con la Sacrestia Vecchia, la cappella dei Pazzi in Santa Croce - con due temi strutturali: la pianta basilicale evoluta sui modelli paleo-cristiani e quella centrale di derivazione classica, mentre la sua tipica decorazione, in pietra serena su intonaco bianco, evidenzia l’intelaiatura prospettica.
Ma il suo genio non si ferma qui.
A lui si deve un’altra scoperta destinata a dominare nei secoli seguenti: la prospettiva.
MASACCIO - LA TRINITA'

Neppure i greci conoscevano le leggi matematiche per cui gli oggetti diminuiscono di grandezza man mano che si allontanano nello sfondo e nessun artista classico sarebbe riuscito a disegnare il filare di alberi che retrocede fino a svanire all’orizzonte.
Fu lui a risolvere tale problema e l’emozione che destò dovette essere enorme.
Si può solo immaginare lo stupore dei fiorentini quando, rimosso il velo alla Santissima Trinità del giovanissimo Masaccio, apparve l’affresco che pareva aver scavato un buco nel muro per mostrare al di là una nuova cappella costruita secondo il moderno stile di Brunelleschi.
Filippo morì nel 1446 e fu sepolto in Santa Maria del Fiore.
La sua tomba, rimasta sconosciuta per secoli, fu scoperta nel 1972.

    

lunedì 13 ottobre 2014

Ilaria del Carretto: un'emozione senza tempo

Palpiti di eterno sul suo giovane viso, un velo di malinconia che si irradia sulla sua dolce bellezza, ma nessun dolore visibile, nessuna rabbia traspare verso la morte.
La tranquillità del tempo veglia su di lei.
Perché Ilaria del Carretto è viva, in quel marmo così morbido che vien voglia di accarezzarla, e sembra davvero che stia  dormendo serenamente un sonno che dura da oltre seicento anni.
E’ viva, riposa su un sarcofago marmoreo ornato nei fianchi da festoni di frutta e fiori sostenuti da putti, che però non contenne mai le sue spoglie.
Si appoggia stancamente su due morbidissimi cuscini, con i riccioli che incorniciano il suo ovale levigato, perfetto e luminoso.
Il suo abito si apre su un fascio di pieghe che arrivano fino ai piedi, fino quasi a coprire il cane, lui sì con l’espressione tristissima, che la veglia e la protegge, che a lei si appoggia, in una sorta di abbraccio che parla solo di vero amore.
Forse quell’amore che per il marito - Paolo Guinigi, signore di Lucca dal 1400 al 1430 -  era solo fittizio.
Sì, perché lui, ordinò a Jacopo della Quercia il sarcofago per la moglie, sposata il 3 febbraio del 1403 e morta l’8 dicembre del 1405 a soli venticinque anni di parto, come simbolo di eterno amore, ma poi si risposò altre due volte e il suo eterno amore evidentemente si dissolse velocemente.
In ogni caso, il primo capolavoro dello scultore senese è una felicissima sintesi fra la tradizione gotica francese e il classicismo rinascimentale.
Jacopo aveva dentro di sé una poetica delle emozioni che spalma delicatamente su tutta la figura di Ilaria, avvolgendola in un’aura di sogno e di sentimenti contrastanti.
Amore e morte, Eros e Thanatos avrebbero scritto i greci.
Una morte visibile nello scheletro trovato due anni fa nella cappella funeraria dei Guinigi nella cappella di santa Lucia a Lucca, perché Ilaria fu seppellita lì, non dentro quello straordinario sarcofago. 
L’università di Pisa afferma che si tratti proprio del corpo di Ilaria.
Ossa in cui si vede lo scempio dei secoli, di una tristezza infinita, e non si capisce il senso di averle disturbato il sonno eterno e di turbare la tranquillità che emana dal suo corpo e dal suo viso, così languidamente resi eterni dallo scalpello di Jacopo.
Francamente non interessa sapere dove sono davvero i suoi resti mortali.
Chiunque sia passato o passi per il duomo di Lucca, non può e non potrà scordarla mai.
Perché lei è l’immagine della bellezza immortale che vive dentro una scultura, di una vita spezzata per far nascere un’altra vita, di una giovinezza ‘che si fugge tuttavia’ , di un’emozione senza tempo.
 
Il video su Ilaria del Carretto è sul mio canale Youtube:

giovedì 9 ottobre 2014

Il mondo medievale illustrato

MAPPAMONDO DI FRA MAURO - 1450
Mappamondi, planisferi e carte geografiche evocano fascino e mistero e riportano alla mente leggende antiche, città sconosciute, mondi lontani, viaggi e scoperte, navigatori ed esploratori.
Nei tempi moderni tutto sembra semplice, le notizie su come oceani e continenti si spartiscano lo spazio del mondo si imparano fin dai primi banchi di scuola, ma un tempo non era così.
Le informazioni erano scarse, molte terre ancora inesplorate.
Eppure già Tolomeo, astronomo e geografo alessandrino vissuto nel II secolo dopo Cristo, descrisse le parti conosciute della terra con un sistema scientifico, utilizzando longitudine e latitudine per l’identificazione dei luoghi, tanto che la sua opera rimase alla base della geografia fino alla riforma copernicana.
Proprio Tolomeo è una delle fonti a cui fece riferimento Mauro, monaco camaldolese che intorno al 1450 compose uno straordinario planisfero, dipingendo su pergamena, poi incollata su legno, con pigmenti di vario genere, un cerchio arricchito da continenti, città, montagne, mari e fiumi e da tremila iscrizioni in lingua veneta.
LEONARDO BELLINI - PARADISO TERRESTRE
Il tutto inscritto in un quadrato di quasi due metri e mezzo per lato dove in un angolo Leonardo Bellini, nipote di Jacopo, dipinse il Paradiso Terrestre, mentre negli altri tre sono rappresentate note e diagrammi di cosmologia secondo le concezioni medioevali tolemaiche.
Strano destino quello che ruota intorno a questa splendida opera conservata a Venezia nella Biblioteca Marciana dal 1811, dopo che il monastero di San Michele dove viveva Fra Mauro fu dismesso per ordine di Napoleone per creare nell’isola il cimitero cittadino.
E’ una delle opere geografiche più famose al mondo, riprodotto in qualunque testo si occupi di cartografia, eppure solo Placido Zurla nel 1806 se ne occupò scrivendo un volume.
Ma perché è così importante?
EUROPA
Perché rappresenta la sintesi particolarmente ampia, articolata e complessa del sapere geografico del tempo.
Le fonti raccontano di anni di lavoro e per completare l’opera il monaco raccolse una quantità infinita di notizie, partendo da autori classici come Tolomeo e Plinio, per giungere ad autori a lui contemporanei o quasi come Marco Polo o Nicolò de’ Conti, viaggiatore veneziano che andò in Cina alla fine del ’300, oltre a fonti orali che Mauro definiva «persone degne di fede».
Per certe parti del mondo come l’Oceano Atlantico, le informazioni gli giunsero dai portoghesi, che nel 1415 iniziarono le prime sistematiche esplorazioni.
E ancora le carte che gli passarono i religiosi e missionari etiopici che avevano accesso a documenti rari.
INDIA
Notizie dunque di diversa provenienza, che consentirono a Mauro di dialogare virtualmente con gli antichi attraverso le iscrizioni, grazie alla sua mente aperta e libera da schemi pre-costituiti dettati dalla cosmologia scolastica di impostazione cristiana.
Un’attitudine da vero umanista, che mette le fonti su un piano paritetico.
Qualche curiosità: intanto la carta è capovolta rispetto al nostro vedere comune, il nord cioè in basso e il sud in alto.
Il motivo è semplice: dall’alto viene la luce, che nella simbologia cristiana è intesa come conoscenza e ispirazione divina.
E ancora la parte che descrive Venezia è consumata, quasi bucata, a causa di tutti coloro che puntando il dito hanno detto, quasi come nelle piante della stazione o della metropolitana, «noi siamo qui».
Interessante poi il Giappone, per la prima volta descritto in una carta occidentale o le Seychelles e le Maldive, perfettamente allineate coi loro isolotti e arcipelaghi.
Da vedere le descrizioni accuratissime delle regioni scandinave o del corso del Nilo, assolutamente originale e perfettamente rispondente all’idrografia africana.
Un capolavoro da gustare nei minimi particolari, un’immagine del mondo dall’impianto medioevale ma dai contenuti assolutamente moderni e sorprendenti.


mercoledì 17 settembre 2014

Botticelli e le sue allegorie

SANDRO BOTTICELLI
AUTORITRATTO
Spirito arguto e irridente, terrorizzato dall’idea di prender moglie, amava la buona cucina e le allegre compagnie, figura bizzarra, protetto dai Medici ma attratto dal misticismo del Savonarola, trovò nell’arte il supremo equilibrio.
Entrato nella storia con un soprannome così radicato da far cadere nell’oblio il nome vero, Alessandro di Mariano Filipopi detto Botticelli, nasce a Firenze nel 1445.
A 18 anni è nella bottega di Filippo Lippi, entrando in contatto con i Medici, signori di Firenze, destinati ad esercitare un profondo e decisivo influsso su tutta la sua carriera d’artista. 
SANDRO BOTTICELLI
ALLEGORIA DELLA FORTEZZA


Nel 1470 risulta padrone di una bottega tutta sua e gli viene commissionata la sua prima opera pubblica, un quadro allegorico della Fortezza, dal Soderini, console dell’Arte di Mercatanzia, che agiva sotto pressione del Magnifico Lorenzo. 
Una  magistrale perizia tecnica e una perfetta padronanza del mestiere sono i segreti dell’eccellenza artistica del Botticelli: preparava tavole e tele con cura maniacale, stendendo gesso e caseina prima e un’imprimitura in chiaroscuro poi, incideva i contorni con una punta acuminata e usava tempera di colla di pesce e rosso d’uovo mescolate con terre di vari colori, dalla gamma praticamente infinita, e polvere di lapislazzuli per gli azzurri.

SANDRO BOTTICELLI - ADORAZIONE DEI MAGI
Nei suoi personaggi melanconici e assorti, esprime con la straordinaria eleganza della linea la fragilità dell’esistenza, l’incertezza del futuro e il timore della morte. Sandro respira  con ebbrezza l'atmosfera esaltante della cerchia medicea, tanto che la stessa Adorazione dei Magi si trasforma in una parata cortigianesca, con tre generazioni di Medici raccolte in ordine sparso ai piedi del Presepe. Solo una volta si allontanò da Firenze: andò a Roma chiamato dal Pontefice per affrescare alcune scene bibliche nella Cappella Sistina.
Non fu un'esperienza felice e ritornò in patria.

SANDRO BOTTICELLI - LA NASCITA DI VENERE - FIRENZE, GALLERIA DEGLI UFFIZI 
Per la villa di Castello dipinse la Nascita di Venere e la Primavera.  
La prima non è affatto una pagana esaltazione della bellezza femminile: tra i significati impliciti c’è anche la corrispondenza del mito della nascita di Venere dall’acqua del mare e dell’idea cristiana della nascita dell’anima dall’acqua del battesimo.
Il bello che Botticelli vuole esaltare è un bello spirituale e non fisico: la nudità di Venere è semplicità e purezza, è pudica e composta. E' talmente bella che non si nota l'innaturale lunghezza del collo, le spalle spioventi o lo strano modo con cui il braccio sinistro è raccordato al corpo.
O meglio: tutte queste libertà che Botticelli si prese, accrescono la bellezza e l'armonia del disegno, perché accentuano l'impressione di un essere infinitamente tenero e delicato, spinto a riva come un dono del cielo.


SANDRO BOTTICELLI - LA PRIMAVERA - FIRENZE, GALLERIA DEGLI UFFIZI

I significati allegorici della Primavera sono vari e complessi: a destra Zefiro, il vento della buona stagione che insegue e possiede Clori, ossia la terra sterile, e la trasforma nella lussureggiante Flora, che è il simbolo della primavera stessa.
Al centro domina su tutti  Venere, il cui atteggiamento casto e composto fa chiaramente capire come non rappresenti qui l'amore carnale ma quella suprema armonia di bellezza e virtù vagheggiata dagli umanisti. E ancora. Le tre Grazie intrecciano una danza, forse a simboleggiare l'esultanza della natura per il ritorno alla buona stagione, mentre Mercurio solleva la bacchetta per dissipare le ultime nubi: un gesto che allude all'amore terreno, che deve innalzarsi all'amore divino.
Ma per scrutare il mistero e ricercare la chiave della Primavera la strada è ancora lunga.
Ma intanto il clima politico era cambiato, assumendo i tratti aquilini, gli occhi accesi e le guance scavate di un predicatore domenicano in fama di santità: fra Gerolamo Savonarola. Le sue orazioni incendiarie divennero l’argomento del giorno, seminando inquietudine e dissensi e Botticelli ne risentì un forte turbamento interiore.
Con il passare degli anni e il precipitare degli eventi – la morte di Lorenzo, il martirio del Savonarola, il declino della borghesia e le prime avvisaglie della Riforma – la sua ansia diventa angoscia, solitudine, disperazione.
Muore il 17 maggio 1510. Vuole essere sepolto nella chiesa di Ognisanti nella tomba di famiglia, con l’iscrizione ’Sepolcro di Mariano Filipepi e dei suoi’.
Di sé e della sua gloria neppure una parola.