sabato 22 novembre 2014

Davvero nell'antichità dipingevano gli UFO?

VITTORE CARPACCIO
I DIECIMILA MARTIRI DEL MONTE ARARAT
Quello che mi innervosisce quando chi non è esperto di storia dell’arte ma vuole invece far finta di saperne moltissimo, è che non manca occasione di dire o scrivere una montagna di stupidaggini.
Ora poi, con l’avvento di blog e di siti in cui scrivere senza nessuna censura di tipo scientifico, queste persone aumentano in maniera esponenziale.
L’esempio che voglio portare sono le “discussioni” su alcuni quadri antichi e sulla presunta ipotesi che vi siano stati dipinti improbabili astronavi o UFO, sì, proprio loro, gli oggetti volanti non identificati.
Il primo esempio è un meraviglioso quadro di Vittore Carpaccio, dipinto nel 1512: I diecimila martiri del monte Ararat.
Trecento figure, fra grandi e piccole, in una tavola di straordinaria bellezza dall’iconografia complessa e desueta.
Ma di questo tema scriverò un’altra volta.
Quel che importa è che moltissimi, troppi direi, hanno disquisito non sul significato politico e  diplomatico del dipinto che sottendeva ai rapporti fra veneziani e turchi, come è invece la giusta lettura, bensì erroneamente su quel disco che appare in alto al centro della tela.
Secondo sedicenti ufologi, Carpaccio aveva visto un’astronave arrivata da altri mondi e la dipinse, in maniera anche simbolica perché la posizionò sopra il monte Ararat, luogo dove si posò l’Arca di Noè.
E giù pagine e pagine di inutili e farneticanti discussioni.
Il buon Carpaccio non vide mai e mai si sognò di dipingere un’astronave dalla forma visibile nei fumetti. Semplicemente dipinse - riprendendolo dalle Visioni dell’Aldilà che Bosh realizzò tra il 1500 e il 1503 visibili da lui in quanto a Venezia nella collezione del cardinal Domenico Grimani - il motivo a cerchi concentrici dell’Empireo, abitato dagli angeli, che si vedono anche svolazzare lì intorno.
PAOLO UCCELLO  - TEBAIDE - 1460
Nella Tebaide che Paolo Uccello dipinse nel 1460, secondo molte tesi ufologiche, quell’oggetto rosso visibile nella grotta al centro, a destra del crocefisso, sarebbe un disco volante, per di più rosso per descriverne l’incandescenza e realizzato con scie semicircolari come per indicare una virata, lo stesso modo in cui viene rappresentata oggi nei fumetti. 

PAOLO UCCELLO - TEBAIDE - PARTICOLARE
Forse a Paolo Uccello i fumetti non piacevano, perché quello strano oggetto altro non è che il cappello da cardinale, rosso ovviamente, che è uno degli attributi di san Gerolamo, che dopo la carriera ecclesiastica divenne eremita, e che si vede inginocchiato a pregare davanti a Gesù in croce accompagnato dal leone, un altro dei suoi attributi iconografici.
Ma non basta.
Anche Boniventura Salimbeni viene chiamato in causa dagli ufologi per via della sua Adorazione dell’Eucarestia che realizzò alla fine del 1500 per la chiesa di san Pietro a Montalcino, dove per molti dipinse addirittura lo Sputnik.
Quindi, più che un pittore, Salimbeni era un veggente.
Cerchiamo di capire.
Salimbeni dipinse Gesù, lo Spirito santo in forma di colomba e Dio Padre, ovvero la Trinità, insieme al Globo del Creato o Sfera Celeste, che rappresenta non la terra ma l’intero universo.

BONAVENTURA SALIMBENI
ADORAZIONE DELL'EUCARESTIA
L’interpretazione data da sedicenti scienziati descrive invece uno stranissimo oggetto di forma circolare, lucido, di colore metallico, a cui sono attaccate due lunghe antenne (gli scettri tenuti in mano da Gesù e Dio Padre, simboli del potere divino sul creato, n.d.a.) e quindi questo ‘coso’, dicono gli ufologi, assomiglia incredibilmente ai primi satelliti artificiali della storia umana: il Vanguard II o lo Sputnik.
Avessero studiato o almeno letto qualche testo sacro non avrebbero scritto tale sciocchezza.
Non vado oltre.

Il problema è che questi signori non si preoccupano nel modo più assoluto di documentarsi sul possibile significato simbolico e quindi tutto ciò che appare bizzarro diventa immediatamente un oggetto volante non identificato visto dal vero.
Secoli fa, i committenti, che spesse volte erano religiosi, controllavano con maniacale puntiglio l’iconografia e mai avrebbero permesso di dipingere qualcosa di strano o di non conforme ai canoni e questo lo si può capire studiando lettere, documenti, inventari e note spese.
Ma è un lavoro lungo e a volte noioso, e comunque bisogna passare giornate, mesi e anni in biblioteca. 
Per concludere: chi vuole andare a  caccia di UFO, vada pure, ma lasci stare la pittura.
Lì i misteri sono di ben altra portata, ma mai visibili alla prima occhiata.

mercoledì 19 novembre 2014

Kandinsky, il padre dell'astrattismo

KANDINSKY - IMPROVVISAZIONE 12 - 1910
Nel 1910 Vassili Kandinsky aveva quarantaquattro anni, era nato infatti a Mosca nel 1866, ed un bel passato come pittore figurativo.
D’un tratto dimentica il “mestiere” e si mette a scarabocchiare come un bambino di due anni a cui siano dati carta, matite e colori.
Il Primo acquerello astratto, che apre di fatto il ciclo storico dell’arte non-figurativa, è intenzionalmente uno scarabocchio, notoriamente la prima fase del disegno infantile.
Kandinsky si era infatti proposto di riprodurre sperimentalmente il primo contatto dell’essere umano con un mondo i cui non sa nulla, nemmeno se sia abitabile.
Questo processo mentale e psicologico che lo condusse a opere come le Improvvisazioni, lo descrisse in forma autobiografica in Sguardi retrospettivi, pubblicato per la prima volta nel 1918 in russo.
KANDINSKY - DONNA A MOSCA - 1912
All’astrazione mediante la rinuncia totale dell’oggetto, arrivò dopo varie esperienze, dagli studi giovanili di giurisprudenza all’Accademia di Monaco, dal gruppo Phalanx polemico nei confronti della tradizione ai dipinti con Scene russe dove mescolava il racconto favoloso, il richiamo popolare e la stilizzazione Art Nuveau.
Con la sua compagna Gabriele Münter, anch’essa pittrice, nel 1908 si ritirò in Alta Baviera a dipingere paesaggi alpini, dove gli oggetti tendono ormai a perdere la loro identità naturalistica, costruendosi per accordi cromatici a larghe zone con accesi contrasti.
KANDINSKY - PAESAGGIO
Come i pittori romantici tedeschi del XIX secolo, Vassili intende il paesaggio come visione emotiva e spirituale.
L’immagine è sublimata liberando il colore dalla sua funzione descrittiva e rivelandone l’espressività latente.
L’enfasi cromatica è sui colori primari, applicati in strato sottile su un fondo bianco, come il rosso, tinta calda, a cui attribuisce una forza espansiva che pulsa verso l’osservatore e “colpisce come uno squillo di tromba” o il blu che con gli altri colori freddi pare ritirarsi verso il fondo della tela.
I primi anni ’20 li definisce come suo “periodo freddo”: diviene infatti prevalente la presenza di forme geometriche, spesso fluttuanti davanti o dentro un vasto piano di fondo. 
KANDINSKY - COMPOSIZIONE VIII - 1923


Linee rette e curve sono contrapposte a forme più libere o irregolarmente geometriche, con la corrispondente variazione della pennellata a creare un contrasto fra zone di maggiore o minore intensità.
Nel 1929 scrisse: “Non scelgo una forma consapevolmente, è essa stessa che si sceglie dentro di me”.
Ed è facile osservare che l’immagine in un dipinto di Kandinsky appare disordinata ma non confusa, priva di logica ma non insignificante. 
KANDINSKY - BLU DI CIELO - 1940
Dal 1933 si trasferisce da Berlino a Parigi e in quell’ultimo suo periodo di attività nasce la fase dello “stile biomorfo”, ossia quel momento in cui nella pittura di Kandinsky appaiono insistentemente, spesso alternate a figurazioni geometriche, le caratteristiche forme informi, ameboidi o embrionali, che attestano il suo interesse attestato anche dagli scritti teorici per le formazioni appartenenti alla realtà microscopica delle cellule e dunque alla più profonda falda biologica.
Muore nel 1944 a Neuilly-sur-Seine, nei pressi di Parigi.
Universalmente riconosciuto il padre dell’astrattismo lirico, ruppe l’estetica tradizionale col suo linguaggio che riconosce piena autonomia ai segni e ai colori, diventando il faro di riferimento per gli artisti europei e americani del primo e secondo dopoguerra.  

venerdì 14 novembre 2014

Giorgione, il vero rivoluzionario

GIORGIONE
MADONNA, BAMBINO E SANTI
Era davvero l’enfant prodige della pittura cinquecentesca e, non so perché, ma lo immagino giovane e bello, come lo era l’eroe della Locomotiva di Guccini.
Forse perché morì a 33 anni, forse perché la sua vita e le sue pochissime opere sono ancora un mistero ancora tutto da scoprire, alimentato da leggende che spalmano su di lui un alone di mistero ancor più affascinante.
Di Giorgio da Castelfranco detto Giorgione, si sa che nacque intorno al 1477 e ben poco dalle Vite di Giorgio Vasari e dalla biografia che scrisse Carlo Ridolfi nel 1648, spesso, come succedeva all’epoca, piuttosto inattendibile seppur con un fondo di verità. 
in ogni caso entrambi raccontano che il giovanotto amasse le belle donne, l’amore, la vita, la musica e che frequentasse la società patrizia veneziana raffinata e per nulla bigotta.
Inizia la sua carriera nel 1504 con una pala d’altare di impostazione ancora belliniana per la sua cittadina ma subito la svolta, improvvisa e violenta, tale che lasciò una traccia potentissima nella pittura dei secoli a venire.
Chiave della sua arte è il rapporto tra pittura e natura con la resa della luce e dell’atmosfera. 
GIORGIONE - CONCERTO CAMPESTRE
Per raggiungere questo effetto, riduce l’importanza del disegno di contorno, esaltando così i passaggi cromatici di tono.
Pochissime sono le tele che dipinse sicuramente il giovane talento veneto fra cui la Venere dormiente, la Tempesta e I tre filosofi.
Altre due tele, il Concerto campestre e il Concerto, sono contese, da sempre fra la mano di Giorgione e quella di Tiziano, suo allievo.
Comunque, io propendo per attribuirle entrambe a Giorgione, perché l'impostazione non può che essere che sua. 
Nella Venere dormiente, di cui ho già scritto un articolo, il primo nudo femminile dell’arte moderna, la dea non è comunque la protagonista per il suo fondersi con il paesaggio, che segue le forme e le sembianze del corpo.
Ancora più rivoluzionario il rapporto tra Natura e figura umana nella Tempesta: nell’ampia veduta in profondità, illuminata dal bagliore di un lampo, si inseriscono due figure, un giovane con una lancia e una donna che allatta il bambino.
GIORGIONE - LA TEMPESTA
Non importa sapere che i due sono Adrasto e Ipsipila, due personaggi di un poema di Stazio.
Sono immersi in una sfera fantastica e poetica: tra la natura in tempesta, la donna e l’uomo si instaura un feeling di sensazioni evasive, indecifrabili, che sono la vera essenza di questo capolavoro.
Tecnicamente, l’indefinitezza pittorica che riassorbe i contorni del colore usato nelle sue infinite possibilità risponde all’indefinitezza del soggetto e suggerisce una nuova visione della natura.
Il dettaglio degli alberi consente di apprezzare in pieno la pazientissima e fine tessitura luministica che regala al dipinto una straordinaria e inedita suggestione.
L’ultimo capolavoro giorgionesco è I tre filosofi, su cui storici, filosofi, iconografi e semiotici si sono letteralmente spaccati il cervello.
GIORGIONE - I TRE FILOSOFI
Un enigma, di quelli che di sicuro piacevano al ragazzo di Castelfranco, forse fatto apposta per far impazzire la gente.
Forse raffigura le tre età dell’uomo, forse.
L’importante è che ancora una volta il suggestivo scorcio di paesaggio animato dalla luce dorata e le tre figure pensose e monumentali sono un tutt’uno che diventa messaggio poetico e profondo.
Giorgione muore nel 1510, lasciando dietro di sé il mistero della sua vita e delle sue opere e, davanti, una nuova, straordinaria, strada per la pittura.