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mercoledì 12 novembre 2014

Eduard Manet, il quotidiano straordinario

 
MANET - LA FAMIGLIA MANET IN GIARDINO - 1874
NEW YORK, METROPOLITAN MUSEUM
Quando si cominciò a parlare di lui a Parigi, Éduard Manet non aveva ancora trent’anni.
Brillante conversatore, amante della musica, amico di letterati pur non essendo quello che comunemente si definisce un intellettuale, il sorridente arguto e mondano personaggio dalla barba bionda, era nato il 23 gennaio 1832 al n. 5 di rue des Petits-Augustins, proprio di fronte al Louvre.
Già al collegio Rollin dove studiò, Éduard si distingue per la disposizione al disegno e per la sua abilità nello schizzare i ritratti dei compagni.
Nell’atelier dell’accademico Thomas Couture, dove rimane dal 1850 al 1855, si compie la sua vera educazione artistica, nonostante violentissimi scontri col maestro. 
MANET - MUSICA ALLE TUILERIES - 1860
LONDRA, NATIONAL GALLERY
Il problema spaziale, posto tradizionalmente in termini di chiaroscuro e di prospettiva, lo risolve con il riferimento all’arte giapponese, basata sulle forme bidimensionali definite dal contorno.
La scelta del soggetto di vita quotidiana delle prime opere trattate con vera sicurezza, gli fu ispirata dall’amico Charles Baudelaire, come Musica alle Tuileries del 1860, dove sotto gli alberi ritrae una folla colorata e festosa.
È il primo interessante tentativo di rendere con vivacità e immediatezza il clima della vita contemporanea in un ambiente all’aria aperta e per dare animazione e movimento alla scena, non esita a sacrificare il particolare a favore della totalità dell’impressione. 
MANET - LOLA DI VALENZA - 1862
PARIGI, MUSEO D'ORSAY
Dopo un primo successo al Salon del 1861 con Chitarrista spagnolo, la pittura di Manet suscita negli anni seguenti un continuo scandalo negli ambienti ufficiali, divenendo oggetto per la critica benpensante di polemiche astiose che lo amareggiarono moltissimo.
Dopo i quadri ispirati da una compagnia di ballerini spagnoli, tra cui Lola di Valenza, definita da Baudelaire un “gioiello rosa e nero”, nel 1863, oltre a sposare Susanne Leenhoff, realizzò le due grandi opere da cui è solito far iniziare la pittura moderna: Le dèjeuner sur l’herbe e Olympia, quadri di cui ho scritto in un altro articolo del sito.
Negli anni seguenti compose nature morte che testimoniano della sua delicatezza nel dosare gli accordi cromatici, della maestria con cui sapeva armonizzare i neri, i grigi, i bianchi, riducendo al minimo il chiaroscuro così da ottenere un colore intenso e un sorprendente risalto delle immagini.
MANET - LA FERROVIA - 1873
WADHINGTON, NATIONAL GALLERY
L’evoluzione in senso impressionista si compì dopo il 1873, ma l’interesse di Manet restò sempre legato alla figura.
Di quell’anno è La ferrovia, novità di cui era entusiasta e considerava un magnifico spettacolo.  
Si dimostrò però quanto mai discreto in questa tela che la celebra: attraverso la nuvola di vapore, le rotaie e i segnali che si intravedono appena, la presenza del treno è intuibile solo dall’immobilità sognante della bambina che guarda attraverso la cancellata, limpida e delicata figuretta sul cui abito la luce crea seriche trasparenze.
Sugli innumerevoli schizzi e abbozzi tratti dalle osservazioni quotidiane nascono capolavori come Nanà, Cameriera di birreria, Il bar delle Folies-Bergère. 
MANET - IL BAR DELLE FOLIES-BERGERE - 1882
LONDRA, COURTAULD GALLERY
Manet eseguì molti ritratti di amici o conoscenti occasionali, a olio o a pastello,  cogliendo sempre i modelli con immediatezza e con rara prenotazione psicologica, come Émile Zola e Stèphane Mallarmè.
Éduard muore a Parigi nel 1883 e ai suoi funerali parteciparono pittori, scrittori, rappresentanti del governo e perfino un picchetto d’onore dell’esercito.
Era più grande di quanto pensassimo” commentò Degas al cimitero di Passy.

mercoledì 5 novembre 2014

Berthe Morisot, la donna dell'Impressionismo

EDOUARD MANET
RITRATTO DI BERTHE MORISOT
Lo sguardo assorto e pensieroso, con un vestito nero dalla casta scollatura, fermata da una spilla e addolcita da un mazzo di violette, le ciocche ribelli della sua bionda capigliatura si mescolano con grazia ai nastri del cappellino. 
Così Édouard Manet ritrae Berthe Morisot, l’unica donna impressionista, ricordata più per essere stata la sua modella preferita che per essere stata una pittrice di straordinaria sensibilità e talento.
Berthe nasce nel 1841 a Bourges, da una famiglia ricca e colta che nel 1855 si trasferisce a Parigi, allora il centro del mondo artistico e culturale d’Europa, e a sedici anni inizia a dipingere come allieva di Camille Corot.
Il salotto di casa Morisot era un punto di incontro di artisti, scrittori, poeti e musicisti e Berthe cresce in un ambiente ricco di fermenti intellettuali.

BERTHE MORISOT
EUGENE MANET ALL'ISOLA DI WIGHT - 1875
Si appassiona alla pittura e introduce Edouard Manet, di cui sposerà il fratello Eugène, nel milieu impressionista, facendogli conoscere Degas, Pissarro, Renoir, Sisley e Monet.
Ma lei era una donna, bella, stravagante e piena di fascino, in un ambiente prettamente maschile.

BERTHE MORISOT
FANCIULLA CHE SI INFILA UNA CALZA
Era estremamente disdicevole uscire con colori e pennelli per andare a dipingere ‘en plein air’ paesaggi, fiori o scene di vita.
Così i suoi soggetti sono per lo più ritratti e ambienti domestici e la piccola Julie, sua figlia, sarà il soggetto di molti suoi dipinti.
E’ il 1874 quando Berthe espone alla ormai celeberrima mostra parigina che diede l’avvio all’impressionismo: quasi uno scandalo, ma lei imperterrita continuò e divenne l’anima del movimento impressionista, aiutando anche economicamente alcuni suoi ‘colleghi’ maschi.

BERTHE MORISOT - NASCONDINO - 1875
E’ stata un’artista elegante, con una forte personalità, capace di far cantare i colori chiari con un senso molto personale della luce.
La sensualità della sua gamma cromatica e il suo modo delicato di trattare la luce, uniti al nervosismo della pennellata e all’armonia dei colori, hanno dato vita a quadri tenerissimi, a ritratti dall’intensa indagine psicologica e a momenti intimi che nessun pittore maschio è mai riuscito a trattare con tale delicatezza e capacità tecnica.
BERTHE MORISOT - LA CULLA - 1872

Il poeta e scrittore Paul Valery di lei scrisse: “La sua peculiarità fu di vivere la sua pittura e di dipingere la sua vita”.
E la sua vita era la sua famiglia, i suoi amici, gli affetti più cari che diventano quadri di impressionante vivezza, con il pennello che lascia sulle tele fulmini di colori e saette di luce, controllati da una sapiente tecnica.
Ma lascia anche fondamentali tracce d’amore, di dolcezza e di intimità, di quell’essere donna e femmina, di cui è spalmata l’intera sua opera.
Berthe Morisot morì di polmonite il 2 marzo del 1895 e fu sepolta nel cimitero di Passy, nella tomba della famiglia Manet.
Un anno dopo la sua morte, la galleria Durand Ruel le dedicò una retrospettiva: l’ultimo omaggio degli amici artisti che dimostrarono così la loro ammirazione per una donna fantastica.



lunedì 27 ottobre 2014

Paul Gauguin. Te Tamari No Atua: la sacralità dell'amore


PAUL GAUGUIN - TE TAMARI NO ATUA - 1896
Con Te Tamari No Atua – la nascita di Cristo figlio di Dio – dipinto nel 1896, Gauguin vuole dare visivamente il senso dell’innocenza e dell’integra morale degli indigeni, la cui sessualità non repressa, immune da complessi di colpa, porta alla rivelazione della profonda sacralità dell’amore.
I fantasmi erotici che pervadono il sonno della ragazza si materializzano nell’immagine di una Santa Famiglia indigena con, accanto alla figurazione cristiana, i simboli di un paganesimo primitivo evocati dal palo dipinto che allude alla continuità, all’unità del sacro.
Non c’è simbolo né allegoria: la Santa Famiglia non appare tra le nuvole, ma è lì, accanto al letto, la stalla con i buoi è un elemento dell’iconografia tradizionale del presepio ma è anche un elemento a sé, che allude alla legge naturale e divina dell’amore tra gli esseri viventi.
Certo Gauguin ha veduto e rammenta la ragazza dormiente, ma è nella memoria che si svela il senso di ciò che ha veduto.
Allora tutto prende significato: la figura sola nel letto nuziale, il suo composto abbandono, la coperta gialla che diventa un alone di luce intorno al corpo bruno, i quadri sulla parete che prendono vita.
E poiché l’immagine occupa uno spazio e un tempo interiori, non possono esservi effetti di luce e la luce emana dalle cose stesse, come dal contrasto del corpo olivastro e della veste turchina col giallo chiaro del letto.
Blu e giallo sono colori complementari, sommati danno il verde e verdi sono le ombre della coperta, verdi e blu i colori dominanti del fondo.
Non è l’istante fermato né il tempo che scorre: è un tempo remoto e profondo su cui l’immagine del presente si adagia come una ninfea sull’acqua ferma.

mercoledì 22 ottobre 2014

La notte buia della pittura

 
Era una notte buia e tempestosa…”
Del suo romanzo, Snoopy, il bracchetto leader maximo della filosofia della felicità, non va oltre l’incipit: come va a finire non lo sapremo mai, anche se abbiamo letto il racconto Paul Clifford che Edward Bulwer-Lytton scrisse nel 1830 da cui sono tratte quelle sei parole.
Eppure, quelle sei parole sono state capaci di varcare l’universo del surreale, dell’impenetrabile e, forse, anche del mistero della nascita delle emozioni.
Chi non ha pensato quale era il pensiero che l’ha spinto a scrivere quelle sei parole?
Quale emozione gli sarà venuta in mente? 
CARAVAGGIO -
SAN GIOVANNI BATTISTA - 1610
Era triste o felice? Aveva paura del futuro o era pieno di speranze?
E allora perché non chiedersi se anche dietro a certi dipinti di Caravaggio o Van Gogh ci sia mai stata una notte buia e tempestosa?
Magari una medium ci riuscisse a svelare tale mistero.
Ma se la medium non ti trova e sei ormai troppo lontano e inafferrabile, allora prova a spiegarlo tu, mio amato Caravaggio, genio lombardo catapultato nella capitale.

Avevi bevuto troppo o forse avevi passato una notte tormentata in compagnia di una puttana?
Immagino che ti faccia inorridire il solo pensare che qualcuno ritenga verità una simile ipotesi: troppo facile, troppo banale, troppo da fiction televisiva di squallidi sceneggiatori.
Sembra di vederti, che sbraiti e urli ma anche che sussurri angosciato.
Nel pieno della tua solitudine cosmica, ciò che ti ha guidato la mano era forse l’intuizione che con pennelli e colori potevi rendere vivo e tangibile quel sentimento così complicato che è la Fede?
Sì, mio caro, ci sei riuscito, eccome se ci sei riuscito, e in maniera così potente, visibile e comprensibile come nessun prete, frate o papa sarebbe mai riuscito a fare.
O che hai reso accettabile anche quel che la Chiesa aborriva come il diavolo, dipingendo ragazzi dalla bellezza eterea tramutandoli in santi?
Cose troppo grandi per noi miseri umani.
Ancora notti buie per l’olandese trapiantato nella dolce e profumata  terra di Provenza, grandioso e irripetibile quanto tormentato e disperato.

VAN GOGH - CAMPO DI GRANO CON CORVI - 1890
Quanta angoscia hai messo nei tuoi corvi neri che fai aleggiare sopra un campo di grano o nelle nuvole che diventato vortici che paiono esseri viventi, malvagi, quasi che ti vogliano portare via, ripetute tante volte come un’ossessione?
 
E' forse l'ultimo quadro che hai dipinto, una sorta di testamento tragico.
Di te cosa volevi che rimanesse? 
Hai dipinto il tuo autoritratto con quell’occhio destro di un verde intenso e memorabile, con l’energia aumentata in modo esponenziale dalle pennellate blu che lo circondano, per far capire che tu sei il tuo sguardo?
Che quel che i tuoi occhi hanno visto hai restituito nei tuoi quadri? 
VAN GOGH - AUTORITRATTO - 1887
Che se non avessi avuto allucinazioni e attacchi di follia tanto da passare mesi rinchiuso in manicomio, se non avessi detto che la tristezza durerà per sempre tanto da finire la tua vita tormentata sparandoti un colpo di pistola nel petto, non ci avresti lasciato tal capolavoro?
Domande senza risposta?
No.
Lo sciogliersi del dubbio sta nella pittura.
Già la pittura, un bisogno delle pulsioni dell’anima, il trascolorare delle impalpabili angosce e delle felicità umane in un qualcosa di reale, visibile e duraturo.
Il vero universo delle sensazioni sconosciute, del mistero, ma non quello che pennelli e colori raccontano al primo impatto, bensì quello del come nascono certe immagini, quelle che non ti dimentichi, quelle che ti restano per sempre dentro il cuore e sulla pelle.  

mercoledì 1 ottobre 2014

Claude Monet, l'incanto della natura


BORDIGHERA - 1884
Il maestro della luce, colui che Manet chiamerà il Raffaello dell’acqua, Oscar-Claude Monet, nasce a Parigi il 14 novembre 1840, lo stesso giorno dello scultore Rodin.
Nelle interviste che rilascerà a Le Temps nel 1900, Monet evoca la sua infanzia vagabonda trascorsa sulle scogliere della Normandia e sulle spiagge ciottolose di Sainte-Adresse.
Il giovane Oscar - è così che lo chiamano in casa ed è così che firma le sue prime opere – riempie i suoi quaderni di disegni ispirandosi alle fisionomie dei borghesi di Le Havre.
LE DEJENEUR SUR L'HERBE - 1865
Ed ecco che Oscar Monet diventa una gloria locale facendosi pagare le caricature dieci franchi o addirittura un napoleone.
Poi inizia a dipingere en plein air seguendo i consigli del maestro Eugéne Boudin e nel 1860 parte militare per l’Algeria dove resterà due anni.
Torna a Parigi e frequenta Renoir e Sisley e il gruppo si entusiasmò per Le dejeuner sur l’herbe, chiaramente ispirato alla tela di Manet, esposta al Salon des Refusès, con Camille, che poi sposerà e da cui avrà due figli, come modella.
Durante l’inverno è la neve a offrire il pretesto per colori luminosi e sgargianti e a testimoniare la sua originalità basterebbe la Gazza, sontuoso paesaggio innevato sfavillante di riflessi rosa, blu e gialli nella luce del mattino.
LA GAZZA - 1868
 Il padre continua a non mandargli quattrini, sono anni di miseria, freddo e patimenti – i creditori una volta gli sequestrarono tutte le tele per poi venderle all’asta – ma erano tutti gelosi del suo aspetto da dandy: non aveva un soldo ma indossava camicie con polsini di pizzo.
Era un signore nato.
Nel 1871 si trasferisce ad Argenteuil dove è affascinato dalla Senna: le rive, i ponti, le passeggiate, i velieri, le chiatte, tutto si riversa nelle sue tele dipinto dalle più diverse angolazioni.
Questi paesaggi, con lo studio dei riflessi della luce sull’acqua, rappresentano le prime realizzazioni impressioniste, dettate non da una teoria ma da un nuovo rapporto tra natura e pittore.
IMPRESSION - 1872
E fu proprio un quadro di Monet del 1872, Impression, esposto alla prima mostra degli impressionisti nel 1874 a dare il nome alla nuova pittura.
Le leggi dei colori complementari e della luce-colore vennero approfondite da Monet attraverso le infinite variazioni su uno stesso soggetto: i ponti di Argenteuil, le nevicate, la stazione Saint-Lazare, le scogliere di Etrètat.
Si poneva davanti alla realtà senza fare distinzione tra senso e intelletto, identificandosi col soggetto per giungere alla conoscenza: sono queste sue premesse che si porranno alla base del fauvismo e dell’espressionismo.
VELA SULLA SENNA AD ARGENTEUIL - 1873
E vera e propria “pittura d’azione” sono le serie iniziate da Monet dopo il 1889, lasciando al colore una forza inaudita: i pagliai, le vedute del Tamigi e di Venezia ma soprattutto le Cattedrali di Rouen, superfici materiche ispirate dai diversi effetti di luce sulla facciata, che sconvolsero Malevich e provocarono uno choc a Kandinsky.
Aveva scoperto la sensazione visiva autentica, allo stato puro.
Gli ultimi suoi vent’anni sono consacrati alle ninfee, un universo floreale acquatico blu, verde e rosa conforme al suo credo artistico, dal lirismo crescente.
Il 6 dicembre 1926 a Giverny si chiudono gli occhi di Oscar-Claude Monet sullo spettacolo della natura, che tanto hanno contribuito a farcene percepire la vibrante bellezza.

NINFEE

        

sabato 20 settembre 2014

Vincent Van Gogh: il dramma dell'artista

 
VINCENT VAN GOGH
AUTORITRATTO A SAINT REMY 1889
È Vincent van Gogh, nato il 30 marzo del 1835 a Groot-Zundert, il simbolo del dramma dell’artista che si sente escluso da una società che non utilizza il suo lavoro e ne fa un disadattato, candidato alla follia e al suicidio.
Il suo posto è accanto a Kirkegaard o Dostoevskij: come loro si interroga, pieno d’angoscia, sul significato dell’esistenza, del proprio essere nel mondo.
Non è pittore per vocazione ma per disperazione. Nel 1887 scriverà: “Esercito un mestiere sporco e difficile: la pittura. Se non fossi quel che sono non dipingerei e intravedo la possibilità di fare quadri dove ci sarà un po’ di freschezza, un po’ di gioventù, essendo la gioventù una delle cose che ho perduto”.
Aveva tentato di inserirsi nell’ordine sociale ma era stato respinto.
A trent’anni si rivolta e la sua rivolta è la pittura: la pagherà col manicomio e col suicidio.
In un primo tempo, in Olanda, prende di petto il problema sociale e descrive con toni cupi la miseria e la disperazione dei contadini, fino al capolavoro tragico dei Mangiatori di patate. 
VINCENT VAN GOGH - MANGIATORI DI PATATE - 1885
Nel 1886 raggiunge il fratello Theo a Parigi, che lo aiutò finanziariamente e affettivamente fino alla morte, e vede gli impressionisti: abbandona i temi sociali e dal monocromo passa a un cromatismo violento.
Mentre dipingevo ho sentito risvegliarsi in me una potenza di colore più forte e diversa da quella che avevo posseduto finora”.
Nel febbraio del 1888 si trasferisce nella “casa gialla” di Arles e in due anni compie la sua opera d’artista.
VINCENT VAN GOGH - 1887
QUATTRO GIRASOLI APPASSITI
Arrivato in Provenza si entusiasma per la vita solare. Scriverà a Theo: “Abbiamo qui un calore stupendo, intensissimo, un sole, una luce. Com’è bello il giallo!”
Intensifica ancora i colori, abbandonando lo sfarfallamento impressionista a vantaggio di vaste campiture monocromatiche e di larghe striature che danno forma e colore agli oggetti.
Sono i giorni delle infinite tele coi girasoli ma anche della distorsione prospettica della Camera da letto. 

VINCENT VAN GOH - CAMERA DA LETTO - 1888
Paul Gaugin lo raggiunge in ottobre, ma dopo un primo periodo di convivenza armoniosa e ricca di stimoli, il rapporto fra i due entra in crisi.
La vigilia di Natale Vincent colpisce l’amico con un rasoio e Paul, spaventato, lascia la casa.
Nella notte van Gogh ha una crisi di follia e si recide il lobo dell’orecchio sinistro, lo avvolge in un giornale e lo porta a una prostituta.
Dopo questo episodio dipinse alcuni terribili autoritratti.
Lo ricoverano all’ospedale di Saint-Rèmy, dove tornerà più volte colpito da allucinazioni e crisi di schizofrenia.
Il 16 maggio 1890 lascia Saint-Rèmy per Auvers-sur-Oise, vicino a Parigi: “Mi sono rimesso al lavoro, anche se il pennello quasi mi casca dalla mano”.
VINCENT VAN GOGH -  NOTTE STELLATA - 1889
Qui dipinse molto, è il periodo degli Ulivi, delle stelle ruotanti sul destino umano della Notte stellata, dei Cipressi, “un cipresso è bello, come un obelisco egizio, è la macchia nera in un paesaggio assolato”, dei ritratti, dei paesaggi come la Chiesa d’Auvers, visione allucinata del piccolo borgo tranquillo, degli alberi tormentati come esseri umani, delle incredibili distese di campi di grano sotto un cielo azzurro piombo con voli di corvi.
Il 27 luglio 1890 si spara una revolverata.
Muore la notte del 29 dopo aver passato l’intera giornata seduto sul letto a fumare la pipa. Addosso gli fu trovata una lettera: “per il mio lavoro io rischio la vita e la mia ragione è quasi naufragata…”

VINCENT VAN GOGH - ALBERI DI ULIVI - 1889

lunedì 15 settembre 2014

Caillebotte, l'impressionista con due anime

 

Gustave Caillebotte - 1876
Uomo alla finestra
Studia giurisprudenza, si laurea ma, invece di fare l’avvocato, progetta barche, fa il marinaio, cura l'orto, colleziona francobolli e dipinge.
Un uomo libero, almeno a prima vista, anche se probabilmente lo era meno di quanto lui stesso immaginasse, perché sembrava avesse due anime in lotta fra di loro: una pragmatica, realista e l’altra sognante e pura.
Non sapremo mai quale era quella a lui più vicina.
Certo, poteva fare quel che voleva perché era ricco, e molto anche, di famiglia.
Diventa anche mecenate, aspetto questo che l'ha reso più celebre che non per la sua vita di artista: compra i quadri di Manet e Degas– che lo fanno entrare nel mondo degli impressionisti -, Cezanne, Pissarro, Renoir e Sisley e, alla sua morte avvenuta nel 1894, li lascia alla città di Parigi che, prima li rifiuta, poi, dopo mille esitazioni e litigi con gli esecutori testamentari – tra cui Renoir - li espone prima al Louvre e ora al Museo d'Orsay.
Strano personaggio Gustave Caillebotte, nato a Parigi nel 1848, con una vita borghese, senza drammi apparenti e senza aneddoti di rilievo.
Nel 1986 il suo nome diventa conosciuto ai più: il museo di Washington e di San Francisco inseriscono i suoi quadri in una mostra sull'Impressionismo.
Una folgorazione.
Si capisce subito che è un artista particolare.

Gustave Caillebotte - Levigatori di parquet - 1875 . Parigi, Museo d'Orsay
E volendo, anche discusso.
L'arte di Caillebotte vira verso una strada mai percorsa, ostica anche per il mondo non bigotto ma borghese della Parigi dell'epoca, lastricata di pettegolezzi per la sua presunta omosessualità, aumentata anche dal fatto che non si sposò mai e visse con la madre fino a che lei morì.
Il suo sguardo, raffinato e intelligente, posato sugli uomini si tramuta in una visione  quasi iper-realista: nudi mentre si asciugano davanti alla vasca da bagno, luogo fino ad allora appannaggio esclusivo delle signore, mentre remano con indosso solo la canottiera o a torso nudo intanto che levigano un parquet con i muscoli tesi dalla fatica.

Gustave Caillebotte - Strada di Parigi in un giorno di pioggia - 1877 - Chicago, Art Institute
E' una visione tutta maschile: le donne non ne fanno parte. Sono poco più di comparse, un contorno piacevole ma non indispensabile in una Parigi popolata di gente alla moda con bei vestiti e sfiziosi cappellini, salottiera e che vuole divertirsi nei cabaret o nei locali alla moda.
Più che l’altra metà del cielo, gli interessano gli interni eleganti del suo palazzo di Rue de Miromesnil - che poi venderà per comprare una tenuta enorme, un buen retiro che non lascerà più - con ambienti all’apparenza scuri ma con la luce che entra dalle finestre per rendere lo spazio pervaso da una chiarezza assoluta.
Uno spazio incrinato nella sua serena tranquillità e riservatezza da uomini (lui stesso?) ripresi di spalle affacciati ai balconi, istantanee di attimi fuggenti eppur così reali: borghesi, eleganti, quasi in posa, fissi come statue che contemplano impassibili la vita che passa al di sotto di quella grande e quasi sproporzionata balaustra: un vero e proprio confine con il resto del mondo.
Che avesse paura di buttarsi  nella mischia del mondo che viveva sotto la sua finestra?
Che si sentisse superiore al punto da estraniarsi e rimanere solo con la sua pittura, le sue abitudini, i suoi pensieri?
Può darsi, d’altronde Caillebotte non era un artista bohemien alla Puccini che vendeva i suoi quadri a pochi franchi per riuscire a mangiare, non era un folle senza un quattrino come Van Gogh e non era un amante dell'esotismo come il fuggitivo Gauguin, eppure dipingeva allo stesso modo dei suoi colleghi impressionisti che sarebbero diventati famosissimi.
Gustave Caillebotte - Strada in salita  -1881
Ma era forse anche di più.
Andava oltre l’impressionismo con quei suoi due modi di affrontare il mondo con pennelli e colori.
Da una parte fotografava la realtà nuda e cruda, com’era, con quella visione dell’uomo così nuova e strabiliante, che di impressionismo aveva  ben poco, con una pittura liscia e perfetta in ogni particolare, senza sbavature o tracce di fantasia.
Dall’altra lui c'era, impressionista fino al midollo, con otto quadri esposti, alla mostra parigina in quell'aprile del 1876, in quella rivoluzione che cambiò per sempre il corso ultra millenario della storia dell'arte.
C'era eccome in quel modo di dipingere non piatto e accademico ma affrontato a muso duro, spessissimo all'aperto con il mondo visto alla luce naturale e reso con pennellate spezzate, libere e sciolte dentro un disegno sapiente di linee e proporzioni.
Gustave Caillebotte - Frutta sulla bancarella - 1881
C'era perché aveva nella sua anima il senso vivo del colore che si ritrova nelle sue nature morte, con la frutta messa in posa come manichini ma viva e fresca, o nell'acqua che sembra che si muova, argentea per i riflessi del sole, o ancora nei parchi, nei boschi e nei cieli dove la natura, splendente, luminosa, ricca di sfumature rese con il pennello che davvero seguiva la mente, quasi sognante, ha il sopravvento su quella piccola cosa che è l'umanità.
Una tavolozza di gioia e di allegria, per rendere la sua vita meno monotona di come era nella realtà e, forse, più felice e libera da convenzioni.
O, almeno, lo speriamo.
 
Sul mio canale YouTube trovate il video su Gustave Caillebotte:

Cezanne: una biografia senza eventi

AUTORITRATTO
Un solitario. Solitario senza volerlo, solitario suo malgrado.
La biografia senza eventi di Paul Cézanne aiuta a capire la sua pittura, che conclude la parabola dell’Impressionismo e forma il ceppo da cui nasceranno le grandi correnti artistiche della prima metà del Novecento.
Rinunciò ad avere una vita propria per fare la sua opera o, piuttosto, ha fatto dell’opera la sua vita.
Abbastanza ricco da vivere del suo, era figlio di un banchiere, si isolò nella sua casa di Aix-en-Provence, dove era nato nel 1839 e dove morì nel 1906, e rinunciò anche ai saltuari soggiorni a Parigi, non mantenendo che rari contatti con gli amici Monet, Pissarro e Renoir.
Anche a questi tuttavia non permetteva di interferire col suo lavoro e lavorava infaticabilmente, sempre insoddisfatto di quel che faceva.
Se talvolta desiderava il successo che gli era stato negato ai Salons des Refusès e alle mostre degli impressionisti, non poneva il minimo impegno per ottenerlo. 
MONTAGNE SAINT-VICTORIE
Concepì la pittura come pura, disinteressata ricerca della verità, simile a quella dello scienziato o del filosofo benché diversa nel metodo.
Si era formato senza maestri, cercando di cogliere il nucleo espressivo e la struttura profonda delle opere degli antichi, da Tintoretto a Zurbaran, e dei moderni, da Delacroix a Daumier.
Fin dal 1878 mostra il suo desiderio di “fare dell’impressionismo qualcosa di solido come l’arte dei musei” ed evolve verso un’espressione sempre più lirica, inventando un nuovo modo di tradurre lo spazio mediante il colore e dando in questo modo alle sue tele una straordinaria coesione. 
JOUEURS DE CARTES
Studiando i paesaggi vedeva lo slancio creatore della Natura, di cui percepiva le forze. Considerava il mondo in fieri: “Voglio dipingere la verginità del mondo, dunque intreccio queste mie mani erranti, prendo a destra, a sinistra, qui e lì, dappertutto, i suoi colori, le sue sfumature, li fisso, li accosto fra loro, e formano linee, diventano oggetti, rocce, alberi, senza che io ci pensi”.
E in una delle ultime opere, una delle tante immagini della Montagne Saint-Victoire, le sue “mani erranti” fanno sì che gli azzurri e i grigi del cielo invadano il monte e la pianura come il verde degli alberi colora le nuvole, con la frequenza delle pennellate larghe e trasparenti che scompongono l’immagine in una continua sfaccettatura di prismi rifrangenti. 
Tra il 1890 e il 1895 dipinge opere fondamentali: nei Joueurs de cartes tratta la figura umana come un motivo qualsiasi, alla stessa stregua della natura morta, uno dei suoi soggetti preferiti e in Pommes et oranges sconvolge le leggi tradizionali della prospettiva, riunendo gli oggetti per il loro valore plastico e cromatico, come se si trattasse di una composizione astratta. 
POMMES ET ORANGES
ONCLE DOMINIQUE
Dipinse poi una serie, i ritratti dell’Oncle Dominique, dove risolse il problema del volume con lo spessore della materia steso con la spatola.
La femme a la cafetiére annuncia le figure dipinte da Picasso e Braque tra il 1910 e il 1914 e Cèzanne appare qui come il “primitivo di un’arte nuova”.
 
LA FEMME A LA CAFETIERE

Alla morte di Cèzanne, Picasso aveva già cominciato a dipingere Les mademoiselles d’Avignon.
La ricerca cubista deve molto al provenzale, il primo ad asserire per la pittura una nuova funzione, quella di costruire una realtà propria, indipendentemente dal dato naturale o emotivo: principio che è alla base di tutti gli sviluppi della pittura moderna.




venerdì 12 settembre 2014

Toulouse-Lautrec e il suo mondo favoloso

Henry de Toulouse Lautrec
Autoritratto - 1882
Albi, Musèe Toulouse Lautrec
Toulouse-Lautrec.
Il solo nome evoca personaggi divenuti favolosi grazie a lui: cantanti di cabaret, ballerine del Moulin Rouge, ospiti di case chiuse, clown e acrobati.
Mimi, ballerine, prostitute: sono loro i corifèi della comèdie humaine.
Eccoli i temi prediletti di Henry, nemico del paesaggio nel quale vedeva solo un accessorio. “Il paesaggio – diceva – deve servire solo a far conoscere meglio il carattere del personaggio”. 
La vita di Henry de Toulouse-Lautrec, sempre in bilico fra angoscia e furore di vivere, inizia nel 1864 ad Albi, dove nasce da famiglia di antica aristocrazia.
Amante della vita all’aria aperta e dell’equitazione, destinato a condurre una tranquilla esistenza da signore di campagna, è condannato, per due cadute da cavallo che gli spezzarono le gambe impedendone il successivo sviluppo, a rimanere deturpato fin dall’adolescenza.
Henry de Toulouse Lautrec - Ballo al Molin Rouge - 1889
Filadelfia, Museum of Art
Generoso e insieme feroce osservatore dell’umanità, si getterà nel mondo dei caffé-concerto, delle sale da ballo e della prostituzione, dove un lusso fittizio nasconde le miserie intime, le degradazioni inconfessate, dove si sentirà meno infelice, meno anormale che nell’ambiente della sua famiglia, attaccata a rigidi pregiudizi di classe.
Nei suoi effimeri personaggi, Lautrec dà prova di una grande efficacia evocativa: se la caratterizzazione è spesso cruda, la freschezza dell’immagine riesce sempre a riscattarne la volgarità, come nei ritratti di Jane Avril, ballerina ammirata per la sua abilità, che ritrasse più volte, o di Yvette Guilbert, cantante celebrata da letterati e artisti che, dopo essere stata commessa e indossatrice, divenne una delle massime vedettes della bellè epoque parigina. 
Henry de Toulouse Lautrec
Yvette Guilbert
A Lautrec scrisse: “Per l’amor del cielo, non fatemi così atrocemente brutta!”
Anche le case chiuse, che frequentava assiduamente, sono descritte con acutezza, con quella ricchezza e quel lusso di facciata che nasconde la povera umanità delle ragazze in attesa e l’intima miseria dei frequentatori.
Molti hanno scritto del legame con Degas e dell’esplorare questo mondo di fatiscenti incantesimi, entrambi appartenenti a un’alta classe sociale, entrambi attirati dalle luci della ribalta, dai volti carichi di trucco, dalla trasandatezza dietro le quinte.
Henry de Toulouse Lautrec
Ballerina seduta - 1890
Collezione privata
Ma Degas non si lascia commuovere dal modello, Lautrec invece osserva intensamente l’espressione di uno sguardo, la personalità crudele, spiritosa o bestiale di un profilo.
Alle anonime ballerine di Degas, Henry oppone la patetica individualità degli esseri umani.
La scoperta poi delle stampe giapponesi avrà un’influenza notevolissima, suggerendogli il gusto della semplificazione e lo spazio bidimensionale definito dalla linea continua e dalle stesure piatte di colore.
È stato il primo a intuire l’importanza di quel nuovo genere artistico, tipicamente cittadino, che è la pubblicità: disegnare una affiche o la copertina di un programma costituiva un impegno non meno serio che fare un quadro.
Henry de Toulouse Lautrec - 1891
Moulin Rouge a a La Goule
 Il primo, Moulin Rouge e La Goule, lo esegue nel 1891, con protagonista la ballerina di can can o Divan Japonais, realizzato nel 1893 per pubblicizzare l’apertura del locale.
È nella definitiva rinuncia all’arte-contemplazione per l’arte-comunicazione la ragione della sua straordinaria attualità, di cui Picasso si accorse per primo.
Henry de Toulouse-Lautrec muore nel 1901 a 37 anni, logorato dalla sua esistenza febbrile e dalla sua frenesia di vita.


Henry de Toulouse Lautrec - Al Moulin Rouge - 1892  - Chicago, Art Institute

Nel mio canale YouTube il video su Henry de Toulouse Lautrec:
https://www.youtube.com/watch?v=Wfo0_qCmPiI