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mercoledì 22 ottobre 2014

La notte buia della pittura

 
Era una notte buia e tempestosa…”
Del suo romanzo, Snoopy, il bracchetto leader maximo della filosofia della felicità, non va oltre l’incipit: come va a finire non lo sapremo mai, anche se abbiamo letto il racconto Paul Clifford che Edward Bulwer-Lytton scrisse nel 1830 da cui sono tratte quelle sei parole.
Eppure, quelle sei parole sono state capaci di varcare l’universo del surreale, dell’impenetrabile e, forse, anche del mistero della nascita delle emozioni.
Chi non ha pensato quale era il pensiero che l’ha spinto a scrivere quelle sei parole?
Quale emozione gli sarà venuta in mente? 
CARAVAGGIO -
SAN GIOVANNI BATTISTA - 1610
Era triste o felice? Aveva paura del futuro o era pieno di speranze?
E allora perché non chiedersi se anche dietro a certi dipinti di Caravaggio o Van Gogh ci sia mai stata una notte buia e tempestosa?
Magari una medium ci riuscisse a svelare tale mistero.
Ma se la medium non ti trova e sei ormai troppo lontano e inafferrabile, allora prova a spiegarlo tu, mio amato Caravaggio, genio lombardo catapultato nella capitale.

Avevi bevuto troppo o forse avevi passato una notte tormentata in compagnia di una puttana?
Immagino che ti faccia inorridire il solo pensare che qualcuno ritenga verità una simile ipotesi: troppo facile, troppo banale, troppo da fiction televisiva di squallidi sceneggiatori.
Sembra di vederti, che sbraiti e urli ma anche che sussurri angosciato.
Nel pieno della tua solitudine cosmica, ciò che ti ha guidato la mano era forse l’intuizione che con pennelli e colori potevi rendere vivo e tangibile quel sentimento così complicato che è la Fede?
Sì, mio caro, ci sei riuscito, eccome se ci sei riuscito, e in maniera così potente, visibile e comprensibile come nessun prete, frate o papa sarebbe mai riuscito a fare.
O che hai reso accettabile anche quel che la Chiesa aborriva come il diavolo, dipingendo ragazzi dalla bellezza eterea tramutandoli in santi?
Cose troppo grandi per noi miseri umani.
Ancora notti buie per l’olandese trapiantato nella dolce e profumata  terra di Provenza, grandioso e irripetibile quanto tormentato e disperato.

VAN GOGH - CAMPO DI GRANO CON CORVI - 1890
Quanta angoscia hai messo nei tuoi corvi neri che fai aleggiare sopra un campo di grano o nelle nuvole che diventato vortici che paiono esseri viventi, malvagi, quasi che ti vogliano portare via, ripetute tante volte come un’ossessione?
 
E' forse l'ultimo quadro che hai dipinto, una sorta di testamento tragico.
Di te cosa volevi che rimanesse? 
Hai dipinto il tuo autoritratto con quell’occhio destro di un verde intenso e memorabile, con l’energia aumentata in modo esponenziale dalle pennellate blu che lo circondano, per far capire che tu sei il tuo sguardo?
Che quel che i tuoi occhi hanno visto hai restituito nei tuoi quadri? 
VAN GOGH - AUTORITRATTO - 1887
Che se non avessi avuto allucinazioni e attacchi di follia tanto da passare mesi rinchiuso in manicomio, se non avessi detto che la tristezza durerà per sempre tanto da finire la tua vita tormentata sparandoti un colpo di pistola nel petto, non ci avresti lasciato tal capolavoro?
Domande senza risposta?
No.
Lo sciogliersi del dubbio sta nella pittura.
Già la pittura, un bisogno delle pulsioni dell’anima, il trascolorare delle impalpabili angosce e delle felicità umane in un qualcosa di reale, visibile e duraturo.
Il vero universo delle sensazioni sconosciute, del mistero, ma non quello che pennelli e colori raccontano al primo impatto, bensì quello del come nascono certe immagini, quelle che non ti dimentichi, quelle che ti restano per sempre dentro il cuore e sulla pelle.  

sabato 20 settembre 2014

Vincent Van Gogh: il dramma dell'artista

 
VINCENT VAN GOGH
AUTORITRATTO A SAINT REMY 1889
È Vincent van Gogh, nato il 30 marzo del 1835 a Groot-Zundert, il simbolo del dramma dell’artista che si sente escluso da una società che non utilizza il suo lavoro e ne fa un disadattato, candidato alla follia e al suicidio.
Il suo posto è accanto a Kirkegaard o Dostoevskij: come loro si interroga, pieno d’angoscia, sul significato dell’esistenza, del proprio essere nel mondo.
Non è pittore per vocazione ma per disperazione. Nel 1887 scriverà: “Esercito un mestiere sporco e difficile: la pittura. Se non fossi quel che sono non dipingerei e intravedo la possibilità di fare quadri dove ci sarà un po’ di freschezza, un po’ di gioventù, essendo la gioventù una delle cose che ho perduto”.
Aveva tentato di inserirsi nell’ordine sociale ma era stato respinto.
A trent’anni si rivolta e la sua rivolta è la pittura: la pagherà col manicomio e col suicidio.
In un primo tempo, in Olanda, prende di petto il problema sociale e descrive con toni cupi la miseria e la disperazione dei contadini, fino al capolavoro tragico dei Mangiatori di patate. 
VINCENT VAN GOGH - MANGIATORI DI PATATE - 1885
Nel 1886 raggiunge il fratello Theo a Parigi, che lo aiutò finanziariamente e affettivamente fino alla morte, e vede gli impressionisti: abbandona i temi sociali e dal monocromo passa a un cromatismo violento.
Mentre dipingevo ho sentito risvegliarsi in me una potenza di colore più forte e diversa da quella che avevo posseduto finora”.
Nel febbraio del 1888 si trasferisce nella “casa gialla” di Arles e in due anni compie la sua opera d’artista.
VINCENT VAN GOGH - 1887
QUATTRO GIRASOLI APPASSITI
Arrivato in Provenza si entusiasma per la vita solare. Scriverà a Theo: “Abbiamo qui un calore stupendo, intensissimo, un sole, una luce. Com’è bello il giallo!”
Intensifica ancora i colori, abbandonando lo sfarfallamento impressionista a vantaggio di vaste campiture monocromatiche e di larghe striature che danno forma e colore agli oggetti.
Sono i giorni delle infinite tele coi girasoli ma anche della distorsione prospettica della Camera da letto. 

VINCENT VAN GOH - CAMERA DA LETTO - 1888
Paul Gaugin lo raggiunge in ottobre, ma dopo un primo periodo di convivenza armoniosa e ricca di stimoli, il rapporto fra i due entra in crisi.
La vigilia di Natale Vincent colpisce l’amico con un rasoio e Paul, spaventato, lascia la casa.
Nella notte van Gogh ha una crisi di follia e si recide il lobo dell’orecchio sinistro, lo avvolge in un giornale e lo porta a una prostituta.
Dopo questo episodio dipinse alcuni terribili autoritratti.
Lo ricoverano all’ospedale di Saint-Rèmy, dove tornerà più volte colpito da allucinazioni e crisi di schizofrenia.
Il 16 maggio 1890 lascia Saint-Rèmy per Auvers-sur-Oise, vicino a Parigi: “Mi sono rimesso al lavoro, anche se il pennello quasi mi casca dalla mano”.
VINCENT VAN GOGH -  NOTTE STELLATA - 1889
Qui dipinse molto, è il periodo degli Ulivi, delle stelle ruotanti sul destino umano della Notte stellata, dei Cipressi, “un cipresso è bello, come un obelisco egizio, è la macchia nera in un paesaggio assolato”, dei ritratti, dei paesaggi come la Chiesa d’Auvers, visione allucinata del piccolo borgo tranquillo, degli alberi tormentati come esseri umani, delle incredibili distese di campi di grano sotto un cielo azzurro piombo con voli di corvi.
Il 27 luglio 1890 si spara una revolverata.
Muore la notte del 29 dopo aver passato l’intera giornata seduto sul letto a fumare la pipa. Addosso gli fu trovata una lettera: “per il mio lavoro io rischio la vita e la mia ragione è quasi naufragata…”

VINCENT VAN GOGH - ALBERI DI ULIVI - 1889