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martedì 6 gennaio 2015

Rubens, il trionfo del Barocco


PIETER PAUL RUBENS - 1623
AUTORITRATTO
WINDSOR CASTLE, ROYAL COLLECTION
Quella di Pieter Paul Rubens è stata una vita intensissima che ha dato frutti immensi.        
Metodico e preciso quasi come  Kant sulle cui abitudini ci si poteva quasi regolare l’orologio, molto laborioso, diplomatico, marito e padre affettuosissimo, imprenditore di sé stesso, fu lui a far esplodere il Barocco.
Pieter Paul nasce a Siegen, in Germania, il 28 giugno del 1577, esule dalla sua Anversa, terra fiamminga  travagliata e semi distrutta dalla guerre di religione.
Vicissitudini  familiari che paiono un romanzo d'appendice lo riportano a casa, dove decide di rimanere per dare il suo contributo alla restaurazione della sua città, che appariva in quegli anni come un grande deserto, semidistrutta dopo le guerre di religione.
Il ragazzo ha talento: impara cinque lingue, poesia, letteratura e arte.
Va a bottega da un modesto pittore poi fa il tanto agognato viaggio in Italia, per aprire nuovi orizzonti e trovare una carriera folgorante.
E così è stato. Ma non solo.
PIETER PAUL RUBENS - 1623
DEPOSIZIONE DALLA CROCE
ANVERSA, CATTEDRALE
Con lui il barocco trionfa, i colori e le carni esplodono, l'enfasi dei personaggi, la ricchezza delle forme, l'opulenza delle sue donne formose, i ritratti più vivi che mai e la ridondanza delle scene sono l'unica strada da seguire.
Diventa pittore di corte dei Gonzaga a Mantova.
Il primo importante passo è stato fatto.
Da lì in avanti saranno solo successi.
Il suo stile, molto caratteristico, è basato sull’ampio dilatarsi delle figure nello spazio e nella ricchezza del colore.
Il trittico della Deposizione dalla croce, una delle opere più emozionanti della pittura sacra barocca, è il riassunto di tutte le esperienze giovanili ma anche l’avvio di una carriera rapidissima.
Il successo non lo ha cambiato: rimane generoso, affabile, saggio, buono e con una forte dose di diplomazia.
Nel 1618 dipinge un vero capolavoro: il Ratto delle figlie di Leucippo.
PIETER PAUL RUBENS - 1618
IL RATTO DELLE FIGLIE DI LEUCIPPO
 MONACO, ALTE PINAKOTEK
Tutto ruota, ma in perfetto equilibrio, come fosse un colossale meccanismo.
E’ uno dei vertici assoluti della pittura mitologica, declinata come ondata sensuale di forme e di colori: i nudi prosperosi delle ragazze accolgono la luce diffusa del sole e Rubens gioca con i suoi riflessi, mentre i cavalli aggiungono un brivido animalesco, un fremito bestiale.
Ma il destino è sempre in mezzo e il 20 giugno del 1626 muore l’amatissima moglie Isabella.
Sembra un colpo duro da sopportare, ma nel dicembre del 1630 sposa la diciassettenne Elena Fourment, dando adito a mille e più pettegolezzi, visto che lui ha già 53 anni.

PIETER PAUL RUBENS - 1639/1640
RITRATTO DI ELENA FOURMENT
L'AJA, MAURITSHUIS









Però per lui è un’esperienza travolgente e la bellezza carnale della bionda Elena sarà presente in molti suoi quadri.
Oramai famosissimo, il pittore più richiesto d’Europa da molte teste coronate, letteralmente sommerso dagli impegni, Rubens riesce a soddisfare tutte le richieste grazie ad un atelier organizzatissimo e grandioso.
Nella sua casa di Anversa, luminosa e ampia, oltre alla sua enorme collezione di quadri e sculture, lavoravano molti artisti, che si suppone fossero almeno un centinaio, ed è la più grande fucina del barocco, da dove passarono tutti i più importanti pittori fiamminghi.
Certo  è che la sua officina sfornava opere di continuo, pagate molto ma molto bene, e  lui, onesto, ammetteva i molti interventi della bottega.


PIETER PAUL RUBENS - 1606
RITRATTO DI GIOVANNI CARLO DORIA
GENOVA
 GALLERIA NAZIONALE PALAZZO SPINOLA
Non avrebbe potuto fare altrimenti: la sua fama è dovuta a opere di dimensioni  notevolissime, a grandi cicli pittorici e migliaia di dipinti.Da solo non ce l'avrebbe mai fatta, neanche fosse vissuto trecento anni.
C’era chi si occupava dei paesaggi, delle nature morte, delle architetture, di dipingere quel che lui con il suo genio abbozzava.
Rubens muore il 30 maggio del 1640 e lascia alla moglie e ai figli la sua collezione di 314 quadri tra cui Tiziano, Tintoretto, Bruegel, Van Dick, che, messa all’asta, frutterà l’eccezionale somma di 70.00 fiorini, oltre ai 400.000 fiorini degli altri beni.
L’eredità più cospicua però l’ha lasciata a noi: la sua pittura barocca, con buona pace degli aiuti, lascia senza fiato.

martedì 25 novembre 2014

Violenza e piacere: l'amore secondo Bernini

GIAN LORENZO BERNINI
RATTO DI PROSERPINA
ROMA, GALLERIA BORGHESE
Ah l’amore!
Il sentimento dalle mille sfumature e dalle innumerevoli sfaccettature, dalle più romantiche e delicate a quelle più focose e sanguigne.
E innumerevoli sono anche i modi in cui l’amore è stato declinato nell’arte, sia in pittura che in scultura.
In questo campo il più grande e talentuoso è stato Gian Lorenzo Bernini, nato a Napoli nel 1615 da padre anch’esso scultore.
Dotato di incredibile manualità, la sua grandezza sta nell’aver avuto una sconfinata fiducia del suo essere padrone della tecnica, che lo rese capace di realizzare tutto ciò che desiderava.
Dalle sue sculture ottiene la morbidezza della seta, il tepore e il colorito della carne, la leggerezza dei capelli, lo stormire delle fronde, ma soprattutto insegna ad immaginare.
E lo fa con il gioco della luce, con la nuova estetica del Barocco che ricerca sempre le linee curve per esprimere slancio, vitalità e movimento.
Tra le prime opere che realizzò, tra il 1615 e il 1625,  ci furono le quattro sculture per il cardinal Scipione Borghese che lo resero giustamente subito famoso.
GIAN LORENZO BERNINI
RATTO DI PROSERPINA - PARTICOLARE
Nel ratto di Proserpina riesce a rendere visibile l’amore violento di Plutone verso la bellissima dea delle messi.
Si immagina davvero uno stupro, con il terrore nel volto della ragazza, giovane e indifesa contro un bruto, le mani di lui che la afferrano con violenza fino a farle penetrare le dita nelle cosce e nel fianco di un marmo che sembra molle come il burro e il disperato tentativo di lei di liberarsi con un braccio dalla forza bruta, ma invano. 
GIAN LORENZO BERNINI
APOLLO E DAFNE
ROMA - GALLERIA BORGHESE
O ancora Apollo che vuole disperatamente Dafne, che per sfuggirgli chiede alla madre Gea di essere tramutata in una pianta di alloro piuttosto che cedere alle voglie carnali e lussuriose di quel dio così bello ma così crudele.
Immaginiamo un'altra violenza, una voglia malsana di carne e di piacere, una voglia di possesso tutta maschile, che porterà la poverina alla morte.
Ecco, Bernini ci ha regalato l’ultimo anelito di vita di Dafne, mentre diventa alloro, con le foglie che le spuntano già sulle dita, mentre prova disperatamente a fuggire dal suo carnefice che l’ha già presa per il ventre.
Bernini ha reso quell’attimo drammatico: dopo qualche istante Dafne si bloccherà nella staticità più assoluta.
E l’ha fatto usando un motivo ad arco, con linee morbide e fluttuanti nell’aria, con uno sbilanciamento in avanti che rende palpabile la corsa di lei per sfuggire alle voglie di lui.
Un genio.
Ma non solo amore violento, che in realtà è una contraddizione: l’amore non è mai violento e se lo è non è amore.
Anche l’amore che regala il piacere.
E due sono le figure femminili in cui, seppur in un contesto altamente sacro, Bernini, con il suo irripetibile modo di trattare il marmo, ci fa vedere e toccare quel particolare attimo, fuggente anch’esso, dell’amore, in cui tutto il corpo è pervaso dal piacere e da sensazioni irripetibili. 
GIAN LORENZO BERNINI
ESTASI DI SANTA TERESA
ROMA - S. MARIA DELLA VITTORIA
L’Estasi di santa Teresa, nella cappella Cornaro  della chiesa di santa Maria della Vittoria a Roma, realizzata intorno al 1650, è un monumento scenografico e illusionistico.
Un capolavoro.
Teresa era famosa per le sue estasi durante le quali raggiungeva l’unione mistica con Dio.
Bernini, la coglie, sensuale ed erotica e insieme mistica e spirituale, proprio nell’attimo del rapimento dei sensi, con le vesti scompigliate, abbandonata, la bocca semi aperta, la testa inclinata all’indietro.
Al tempo, questa sua visione suscitò non poche polemiche. Ovvio.
Ma la sua genialità fu di sospendere la figura su un masso a forma di nuvola la cui base più scura è praticamente invisibile, quindi sembra che Teresa sia sospesa in aria.
La finestrella da cui entra la luce che illumina la scultura, accentuata dall’invenzione dei raggi dorati a far da quinta scenografica.
Un’invenzione che crea meraviglia e stupore, che fonde architettura, scultura, luce e pittura. 
Anche nell’Estasi della beata Ludovica Albertoni, del 1674, nella chiesa romana di san Francesco a Ripa, la donna è colta nel momento clou delle sue visioni mistiche. 
GIAN LORENZO BERNINI
ESTATI DELLA BEATA LUDOVICA ALBERTONI
ROMA, SAN FRANCESCO A RIPA
Adagiata su un letto, con la testa posata su un morbido cuscino, l'abito stropicciato quasi si fosse girata troppe volte senza trovare pace, la schiena inarcata, una mano sul seno e l'altra sul ventre, la testa inclinata all’indietro, gli occhi chiusi, le labbra socchiuse come se volesse parlare ma la voce fosse rimasta strozzata in gola.
Bernini quando la scolpì era già settantenne, si racconta che fosse uomo profondamente devoto. Eppure con le sue opere ha acceso la nostra fantasia, ci ha fatto immaginare, andare oltre il reale, superando così le intenzioni di quel realismo tanto caro a Caravaggio.
E nulla vieta di pensare che magari, anche solo per un attimo, nei volti delle due mistiche donne, abbia frugato nella sua memoria per ritrarre quell’attimo fuggente, fonte di gioia, felicità e piacere.