mercoledì 14 gennaio 2015

Lo stucco: povero ma bello, anzi, bellissimo!


SANREMO - SANTUARIO MADONNA DELLA COSTA
Pochi lo pensano e ancor meno  lo fanno, ma personalmente mi sento in dovere di portare maggior conoscenza e doverosa rivalutazione dell'arte dello stucco – un impasto di calce spenta e polvere di marmo con un’armatura metallica o in legno - considerata a torto un'arte minore essenzialmente artigianale perché per lo più frutto di artisti di cui non si sa neppure il nome, ma senza la quale la maggior parte dei monumenti, civili e religiosi, sarebbero spoglie anonime ed incolori, tristissime e bruttissime.
Basta fare un giro per le migliaia di chiese, chiesine e palazzi che si trovano in ogni dove, anche nei centri più sperduti e periferici per rendersene conto.
L'Italia ha un patrimonio straordinario e non lo sa, anzi, non vuole saperlo.
POMPEI, TERME STABIANE - DECORAZIONE A STUCCO
Non per nulla, per gli straordinari risultati che regalava, l’arte dello stucco, codificata da Vitruvio, era molto in voga già nell’arte romana.
Nel Quattrocento si ripresero dall'antichità grottesche, capitelli, festoni e figure interamente modellate.
Si studia tutto quel che proviene dall'antica Roma, compresi i resti delle domus romane, specialmente dal punto di vista costruttivo: quasi una gara fra artisti a chi recuperava le migliori ricette antiche - sì, proprio come quelle dei migliori chef - che con le loro alchimie riuscivano a ritrovare la robustezza ed il candore o i colori del marmo.
GIACOMO SERPOTTA - COLONNA
Qualche nome, giusto per far capire che non si scherza: Donatello, Lorenzo Ghiberti, Jacopo della Quercia.
Nel Cinquecento l’arte dello stucco riesce a dar vita ludica e teatrale a cornucopie, festoni, elementi floreali ed architettonici, a putti, cariatidi, satiri in pose ed atteggiamenti arditi e mai visti.
In architettura abbellisce fregi, frontoni ed essendo un materiale economico e dalle infinite possibilità di impiego, ha una vastità di impiego inimmaginabile.
Il Barocco, che è il periodo del vero tripudio dell’arte stucchiva, nella sua enfatica ricchezza lo accolse perciò con il massimo favore.
FRANCESCO BORROMINI -1634/1644 
ROMA, CHIESA DI SAN CARLO ALLE QUATTRO FONTANE
Grandissimi  artisti - Gian Lorenzo Bernini, Francesco Borromini e Pietro da Cortona, giusto per citare  i  più  famosi   -  lavorarono sì nelle maggiori chiese, ma non solo.
Fecero volare la loro stupefacente fantasia in infinità di  palazzi e ville, dove la decorazione a stucco, spesso anche policroma, è l'elemento immancabile degli arredi interni e rende ancor più preziosi gli ambienti, sbizzarrendosi sulle cappe dei camini, sui contorni delle porte, sui fregi di soffitti e di pareti.
In Europa, il più grande, eccelso, inimitabile artista fu Giacomo Serpotta (Palermo 1656 – Palermo 1732) che trasformerà, decorando una trentina fra chiese ed oratori,  la sua città rendendola più bella, più felice dal punto di vista estetico e ineguagliabile come ricchezza di decori. 
GIACOMO SERPOTTA - 1685/1690 - PUTTI
PALERMO, ORATORIO DI SANTA CITA
Divenne il Magister Stuccator più ricercato, anche perché inventò la allustratura, uno strato finale di grassello e polvere di marmo che dava più lucentezza e nitore alle sue sculture.
I suoi putti, veri e propri bambini – che si trovano un po’ dappertutto – giocano e si divertono, occupando interamente gli spazi in un tripudio di acrobatici sollazzi che evidenziano, in tutte le pose immaginabili ed inimmaginabili, la loro paffuta anatomia.
GIACOMO SERPOTTA - 1685/1690 - PALERMO, ORATORIO DI SANTA CITA
Serpotta poi realizza intere ‘macchine’ e facciate, plasma forme che riportano alla bellezza pura ed astratta della grecità, ma anche alla drammaticità barocca, con tutto l’apparato scenografico caratteristico della teatralità di cui si investe il racconto.
Serpotta ci regala così l’unione tra linearità classica  e bizzarria barocca, consegnandoci la summa di quanto può uno stuccatore.
E se il buon Giacomo non fosse esistito e come lui tutti gli altri stuccatori, anonimi o famosi fa lo stesso, noi oggi non potremmo essere così gelosamente orgogliosi delle loro opere, povere ma belle, anzi, bellissime.

sabato 10 gennaio 2015

Venezia e San Pietroburgo: un'incredibile storia di altri tempi


RITRATTO DI PIETRO IL GRANDE
PAUL DELAROCHE - 1838
È la notte tra il 28 e il 29 luglio del 1698 e un misterioso personaggio vestito alla schiavona, con un gruppetto di accompagnatori al seguito, si aggira per le calli veneziane.
Di lui sappiamo il nome, Alekseevič Michajlov.
E da quel viaggio notturno, quasi per magia, una città prenderà forma.
Una forma particolare, del tutto simile a Venezia, tanto che guardandone la pianta rovesciata la similitudine è così evidente che lascia senza fiato.
PIANTA DI VENEZIA


PIANTA DI SAN PIETROBURGO

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Sveliamo il mistero: quel russo altri non era che lo zar Pietro I il Grande che viaggiava in assoluto incognito, con un gruzzolo di oltre 500 monete d'oro, e la città è San Pietroburgo, la creatura urbanistica  nata per  volere dello zar di tutte le Russie, geniale e spietato, romantico e sanguinario ma che amava Venezia così tanto da volerla riprodurre e immortalarla con il suo nome.
E il viaggio misterioso di Pietro non è l'unica novità nei rapporti fra le due città: il violinista che fa la spola tra San Marco e il Palazzo d'Inverno, che ora è l'Ermitage, trafficando in opere d'arte e riempiendo i palazzi russi di capolavori veneziani, Giacomo Casanova che tornando dalla città dello zar, in una via diventata ormai frenetica, incontra e abbraccia più volte Baldassare Galuppi alla frontiera, che là anche lui andava con tanto di virtuosa al seguito.
                        SAN PIETROBURGO - ERMITAGE
                                  SALA DEL PADIGLIONE
O ancora Francesco Algarotti che si imbatte in uno degli ultimi maestri d'ascia che lo zar fece venire nel 1697 dalla laguna per costruire la propria flotta di 130 galee, una enormità se si pensa che solo pochi anni prima la Russia non aveva neanche una scialuppa sul Baltico.
Gli zar di San Pietroburgo avevano un interesse antico per l'arte veneziana: il soffitto dell'Ermitage fu affrescato da Francesco Fontebasso, chiamato dall'imperatrice Elisabetta al posto di Giambattista Tiepolo che voleva per quel lavoro 5.000 zecchini, evidentemente troppo anche per la zarina.
GIORGIONE - 1504
GIUDITTA CON LA TESTA DI OLOFERNE
SAN PIETROBURGO, ERMITAGE
 
 
E ancora scultori e architetti, come quel Domenico Quarenghi la cui moglie partorì durante il viaggio, che progetta il teatro dell'Ermitage o per i soffitti della dimora che diverrà la dacia personale di Caterina II si scelgono quelli dipinti dai veneti Guarana, Diziani, Pittoni e Maggiotto, oltre quello realizzato da Tiepolo, irrimediabilmente perduto durante la seconda guerra mondiale e noto solo per i disegni del figlio Giandomenico.
Non solo soffitti e affreschi.
Sono centinaia i dipinti veneziani che fan bella mostra sulle pareti del museo della città russa, arrivati lì da ogni dove, direttamente commissionati agli artisti o comprati attraverso mediatori, qualche volta con un bel colpo di fortuna.
Come successe con il prezioso carico che arrivò a San Pietroburgo il 6 novembre del 1772.
Eccolo l'altrove di Venezia, una montagna di dipinti dalle firme a cui non servono commenti: Giorgione, Tiziano, Veronese e Tintoretto, Lorenzo Lotto e i Bassano.
A loro, giusto per non scendere di tono, si affiancano Raffaello e Rembrandt, Bernardo Strozzi, i Carracci e Rubens, Van Dick e Boucher.
A godere di tanta bellezza la zarina Caterina II, malata di collezionismo tanto da dettare regole ferree per chi andava con lei a visitare «l'Eremitaggio»: depositare all'ingresso spade e cappelli, ma «anche gradi, ambizioni e faziosità», non discutere con toni irati ma parlare con moderazione e a voce bassa «per non creare emicranie», non sospirare o sbadigliare e badare ai fatti propri.
LORENZO LOTTO - 1530 - RITRATTO DI GENTILUOMO
SAN PIETROBURGO, ERMITAGE
Punizioni severe per chi sgarrava, però ne valeva a pena.Il nucleo fondante del più importante museo russo era proprio quello, comprato dagli eredi del ricchissimo finanziere francese Pierre Crozat, morto nel 1740.
Fu proprio la zarina a vincere le difficili trattative per quell'acquisto così importante, con un contratto che per 460.000 livres assicurava alla Russia quadri straordinari, irripetibili e molto, molto veneziani. 

martedì 6 gennaio 2015

Rubens, il trionfo del Barocco


PIETER PAUL RUBENS - 1623
AUTORITRATTO
WINDSOR CASTLE, ROYAL COLLECTION
Quella di Pieter Paul Rubens è stata una vita intensissima che ha dato frutti immensi.        
Metodico e preciso quasi come  Kant sulle cui abitudini ci si poteva quasi regolare l’orologio, molto laborioso, diplomatico, marito e padre affettuosissimo, imprenditore di sé stesso, fu lui a far esplodere il Barocco.
Pieter Paul nasce a Siegen, in Germania, il 28 giugno del 1577, esule dalla sua Anversa, terra fiamminga  travagliata e semi distrutta dalla guerre di religione.
Vicissitudini  familiari che paiono un romanzo d'appendice lo riportano a casa, dove decide di rimanere per dare il suo contributo alla restaurazione della sua città, che appariva in quegli anni come un grande deserto, semidistrutta dopo le guerre di religione.
Il ragazzo ha talento: impara cinque lingue, poesia, letteratura e arte.
Va a bottega da un modesto pittore poi fa il tanto agognato viaggio in Italia, per aprire nuovi orizzonti e trovare una carriera folgorante.
E così è stato. Ma non solo.
PIETER PAUL RUBENS - 1623
DEPOSIZIONE DALLA CROCE
ANVERSA, CATTEDRALE
Con lui il barocco trionfa, i colori e le carni esplodono, l'enfasi dei personaggi, la ricchezza delle forme, l'opulenza delle sue donne formose, i ritratti più vivi che mai e la ridondanza delle scene sono l'unica strada da seguire.
Diventa pittore di corte dei Gonzaga a Mantova.
Il primo importante passo è stato fatto.
Da lì in avanti saranno solo successi.
Il suo stile, molto caratteristico, è basato sull’ampio dilatarsi delle figure nello spazio e nella ricchezza del colore.
Il trittico della Deposizione dalla croce, una delle opere più emozionanti della pittura sacra barocca, è il riassunto di tutte le esperienze giovanili ma anche l’avvio di una carriera rapidissima.
Il successo non lo ha cambiato: rimane generoso, affabile, saggio, buono e con una forte dose di diplomazia.
Nel 1618 dipinge un vero capolavoro: il Ratto delle figlie di Leucippo.
PIETER PAUL RUBENS - 1618
IL RATTO DELLE FIGLIE DI LEUCIPPO
 MONACO, ALTE PINAKOTEK
Tutto ruota, ma in perfetto equilibrio, come fosse un colossale meccanismo.
E’ uno dei vertici assoluti della pittura mitologica, declinata come ondata sensuale di forme e di colori: i nudi prosperosi delle ragazze accolgono la luce diffusa del sole e Rubens gioca con i suoi riflessi, mentre i cavalli aggiungono un brivido animalesco, un fremito bestiale.
Ma il destino è sempre in mezzo e il 20 giugno del 1626 muore l’amatissima moglie Isabella.
Sembra un colpo duro da sopportare, ma nel dicembre del 1630 sposa la diciassettenne Elena Fourment, dando adito a mille e più pettegolezzi, visto che lui ha già 53 anni.

PIETER PAUL RUBENS - 1639/1640
RITRATTO DI ELENA FOURMENT
L'AJA, MAURITSHUIS









Però per lui è un’esperienza travolgente e la bellezza carnale della bionda Elena sarà presente in molti suoi quadri.
Oramai famosissimo, il pittore più richiesto d’Europa da molte teste coronate, letteralmente sommerso dagli impegni, Rubens riesce a soddisfare tutte le richieste grazie ad un atelier organizzatissimo e grandioso.
Nella sua casa di Anversa, luminosa e ampia, oltre alla sua enorme collezione di quadri e sculture, lavoravano molti artisti, che si suppone fossero almeno un centinaio, ed è la più grande fucina del barocco, da dove passarono tutti i più importanti pittori fiamminghi.
Certo  è che la sua officina sfornava opere di continuo, pagate molto ma molto bene, e  lui, onesto, ammetteva i molti interventi della bottega.


PIETER PAUL RUBENS - 1606
RITRATTO DI GIOVANNI CARLO DORIA
GENOVA
 GALLERIA NAZIONALE PALAZZO SPINOLA
Non avrebbe potuto fare altrimenti: la sua fama è dovuta a opere di dimensioni  notevolissime, a grandi cicli pittorici e migliaia di dipinti.Da solo non ce l'avrebbe mai fatta, neanche fosse vissuto trecento anni.
C’era chi si occupava dei paesaggi, delle nature morte, delle architetture, di dipingere quel che lui con il suo genio abbozzava.
Rubens muore il 30 maggio del 1640 e lascia alla moglie e ai figli la sua collezione di 314 quadri tra cui Tiziano, Tintoretto, Bruegel, Van Dick, che, messa all’asta, frutterà l’eccezionale somma di 70.00 fiorini, oltre ai 400.000 fiorini degli altri beni.
L’eredità più cospicua però l’ha lasciata a noi: la sua pittura barocca, con buona pace degli aiuti, lascia senza fiato.