lunedì 27 ottobre 2014

Paul Gauguin. Te Tamari No Atua: la sacralità dell'amore


PAUL GAUGUIN - TE TAMARI NO ATUA - 1896
Con Te Tamari No Atua – la nascita di Cristo figlio di Dio – dipinto nel 1896, Gauguin vuole dare visivamente il senso dell’innocenza e dell’integra morale degli indigeni, la cui sessualità non repressa, immune da complessi di colpa, porta alla rivelazione della profonda sacralità dell’amore.
I fantasmi erotici che pervadono il sonno della ragazza si materializzano nell’immagine di una Santa Famiglia indigena con, accanto alla figurazione cristiana, i simboli di un paganesimo primitivo evocati dal palo dipinto che allude alla continuità, all’unità del sacro.
Non c’è simbolo né allegoria: la Santa Famiglia non appare tra le nuvole, ma è lì, accanto al letto, la stalla con i buoi è un elemento dell’iconografia tradizionale del presepio ma è anche un elemento a sé, che allude alla legge naturale e divina dell’amore tra gli esseri viventi.
Certo Gauguin ha veduto e rammenta la ragazza dormiente, ma è nella memoria che si svela il senso di ciò che ha veduto.
Allora tutto prende significato: la figura sola nel letto nuziale, il suo composto abbandono, la coperta gialla che diventa un alone di luce intorno al corpo bruno, i quadri sulla parete che prendono vita.
E poiché l’immagine occupa uno spazio e un tempo interiori, non possono esservi effetti di luce e la luce emana dalle cose stesse, come dal contrasto del corpo olivastro e della veste turchina col giallo chiaro del letto.
Blu e giallo sono colori complementari, sommati danno il verde e verdi sono le ombre della coperta, verdi e blu i colori dominanti del fondo.
Non è l’istante fermato né il tempo che scorre: è un tempo remoto e profondo su cui l’immagine del presente si adagia come una ninfea sull’acqua ferma.

sabato 25 ottobre 2014

Edward Munch: l'angoscia di vivere

MUNCH - AUTORITRATTO ALL'INFERNO
Non si può dipingere eternamente donne che sferruzzano e uomini che leggono. Voglio rappresentare esseri che respirano, sentono, amano e soffrono. Lo spettatore deve prendere coscienza di quel che c’è di sacro in noi, di modo che si scoprirà davanti a loro, come in chiesa”.
Eccolo il pensiero di Edward Munch, che intende rappresentare i sentimenti e comunicarli, così come gli impressionisti sentivano la necessità di rappresentare la luce.
È questa la sua rivoluzione: sostituire alla rappresentazione delle cose materiali quella di entità non rappresentabili.
Proveniente da una Scandinavia in crisi – dove Kirkegaard è guida intellettuale – Munch, che era nato a Løten nel 1863, giunge a Parigi. 
MUNCH - LA MALINCONIA - 1894
Dagli inizi degli anni ’90 Edward dividerà il suo tempo fra il suo paese natale, la Norvegia, Parigi e la Germania, luoghi in cui da appassionato studente si trasformerà in precursore.
Passaggio decisivo per l’influenza di Munch sulla nuova pittura tedesca fu la sua mostra berlinese del 1892, che per la scandalosa maniera pittorica e i soggetti inquietanti e trasgressivi rispetto alla morale e al modo di pensare correnti, divise il mondo artistico della capitale prussiana.  
I titoli dei suoi quadri – come L’urlo, a proposito del quale scrisse “sento il grido della Natura”, Pubertà, La Vampira, Malinconia, La morte in camera – indicano piuttosto chiaramente una tematica morbosa che unisce l’angoscia della morte alla sessualità.
MUNCH - IL FREGIO DELLA VITA, LA DANZA DELLA VITA
Nella capitale tedesca, vivendo in solitudine e senza vita sociale, intraprende  Il fregio della vita, opera alla quale afferma di aver lavorato per trent’anni, che concepisce come una serie di immagini legate soltanto dal contenuto.
Per lui l'esistenza non è altro che dolore e morte e per drammatizzare i suoi quadri, utilizzerà sempre il procedimento del primo piano molto frontalizzato che si staglia su uno sfondo prospettico, disposizione spaziale che avrà come conseguenza quella di sopprimere l’illusione della profondità che invece il reticolo prospettico della tela sembrerebbe creare.
L’impiego di grosse linee colorate, che delimitano campiture uniformi, la divisione delle superfici in fasce di colore, che confondono l’articolazione del piano e i suoi limiti, costituiranno un punto di partenza per la ricerca sulla funzione di chiusura della linea. 
MUNCH - L'URLO - 1885
Le incisioni su legno per le quali Munch è forse ancor più celebre che per i suoi quadri, unendo la frontalità spaziale a uno studio sulle trame del supporto e mettendo a confronto la superficie colorata con il bianco del contorno non inchiostrato, rimangono opere fondamentali e operano un mutamento radicale nell’estetica dell’epoca.
L’incisione più famosa è senz’altro L’urlo, che ripete in varie versioni: qui Munch mira ad esprimere come un’emozione improvvisa possa trasformare tutte le nostre impressioni sensibili.
Tutte le linee paiono convergere verso l’unico centro della litografia, ossia la testa urlante ed è come se l’intera scena partecipasse all’angoscia e all’emozione di quel grido.
Il volto è deformato caricaturalmente, gli occhi fissi e le guance incavate ricordano un teschio.
Ormai famoso in tutta Europa, nel 1908 ha una crisi di depressione nervosa e resta per un anno in una clinica di Copenaghen: ne uscirà apparentemente più tranquillo ma la sua pittura continuerà a denunciare il suo tormento interiore.
Muore a Olso nel 1944.
E chi sa se è riuscito a trovare un po' di pace.

mercoledì 22 ottobre 2014

La notte buia della pittura

 
Era una notte buia e tempestosa…”
Del suo romanzo, Snoopy, il bracchetto leader maximo della filosofia della felicità, non va oltre l’incipit: come va a finire non lo sapremo mai, anche se abbiamo letto il racconto Paul Clifford che Edward Bulwer-Lytton scrisse nel 1830 da cui sono tratte quelle sei parole.
Eppure, quelle sei parole sono state capaci di varcare l’universo del surreale, dell’impenetrabile e, forse, anche del mistero della nascita delle emozioni.
Chi non ha pensato quale era il pensiero che l’ha spinto a scrivere quelle sei parole?
Quale emozione gli sarà venuta in mente? 
CARAVAGGIO -
SAN GIOVANNI BATTISTA - 1610
Era triste o felice? Aveva paura del futuro o era pieno di speranze?
E allora perché non chiedersi se anche dietro a certi dipinti di Caravaggio o Van Gogh ci sia mai stata una notte buia e tempestosa?
Magari una medium ci riuscisse a svelare tale mistero.
Ma se la medium non ti trova e sei ormai troppo lontano e inafferrabile, allora prova a spiegarlo tu, mio amato Caravaggio, genio lombardo catapultato nella capitale.

Avevi bevuto troppo o forse avevi passato una notte tormentata in compagnia di una puttana?
Immagino che ti faccia inorridire il solo pensare che qualcuno ritenga verità una simile ipotesi: troppo facile, troppo banale, troppo da fiction televisiva di squallidi sceneggiatori.
Sembra di vederti, che sbraiti e urli ma anche che sussurri angosciato.
Nel pieno della tua solitudine cosmica, ciò che ti ha guidato la mano era forse l’intuizione che con pennelli e colori potevi rendere vivo e tangibile quel sentimento così complicato che è la Fede?
Sì, mio caro, ci sei riuscito, eccome se ci sei riuscito, e in maniera così potente, visibile e comprensibile come nessun prete, frate o papa sarebbe mai riuscito a fare.
O che hai reso accettabile anche quel che la Chiesa aborriva come il diavolo, dipingendo ragazzi dalla bellezza eterea tramutandoli in santi?
Cose troppo grandi per noi miseri umani.
Ancora notti buie per l’olandese trapiantato nella dolce e profumata  terra di Provenza, grandioso e irripetibile quanto tormentato e disperato.

VAN GOGH - CAMPO DI GRANO CON CORVI - 1890
Quanta angoscia hai messo nei tuoi corvi neri che fai aleggiare sopra un campo di grano o nelle nuvole che diventato vortici che paiono esseri viventi, malvagi, quasi che ti vogliano portare via, ripetute tante volte come un’ossessione?
 
E' forse l'ultimo quadro che hai dipinto, una sorta di testamento tragico.
Di te cosa volevi che rimanesse? 
Hai dipinto il tuo autoritratto con quell’occhio destro di un verde intenso e memorabile, con l’energia aumentata in modo esponenziale dalle pennellate blu che lo circondano, per far capire che tu sei il tuo sguardo?
Che quel che i tuoi occhi hanno visto hai restituito nei tuoi quadri? 
VAN GOGH - AUTORITRATTO - 1887
Che se non avessi avuto allucinazioni e attacchi di follia tanto da passare mesi rinchiuso in manicomio, se non avessi detto che la tristezza durerà per sempre tanto da finire la tua vita tormentata sparandoti un colpo di pistola nel petto, non ci avresti lasciato tal capolavoro?
Domande senza risposta?
No.
Lo sciogliersi del dubbio sta nella pittura.
Già la pittura, un bisogno delle pulsioni dell’anima, il trascolorare delle impalpabili angosce e delle felicità umane in un qualcosa di reale, visibile e duraturo.
Il vero universo delle sensazioni sconosciute, del mistero, ma non quello che pennelli e colori raccontano al primo impatto, bensì quello del come nascono certe immagini, quelle che non ti dimentichi, quelle che ti restano per sempre dentro il cuore e sulla pelle.