mercoledì 1 ottobre 2014

Claude Monet, l'incanto della natura


BORDIGHERA - 1884
Il maestro della luce, colui che Manet chiamerà il Raffaello dell’acqua, Oscar-Claude Monet, nasce a Parigi il 14 novembre 1840, lo stesso giorno dello scultore Rodin.
Nelle interviste che rilascerà a Le Temps nel 1900, Monet evoca la sua infanzia vagabonda trascorsa sulle scogliere della Normandia e sulle spiagge ciottolose di Sainte-Adresse.
Il giovane Oscar - è così che lo chiamano in casa ed è così che firma le sue prime opere – riempie i suoi quaderni di disegni ispirandosi alle fisionomie dei borghesi di Le Havre.
LE DEJENEUR SUR L'HERBE - 1865
Ed ecco che Oscar Monet diventa una gloria locale facendosi pagare le caricature dieci franchi o addirittura un napoleone.
Poi inizia a dipingere en plein air seguendo i consigli del maestro Eugéne Boudin e nel 1860 parte militare per l’Algeria dove resterà due anni.
Torna a Parigi e frequenta Renoir e Sisley e il gruppo si entusiasmò per Le dejeuner sur l’herbe, chiaramente ispirato alla tela di Manet, esposta al Salon des Refusès, con Camille, che poi sposerà e da cui avrà due figli, come modella.
Durante l’inverno è la neve a offrire il pretesto per colori luminosi e sgargianti e a testimoniare la sua originalità basterebbe la Gazza, sontuoso paesaggio innevato sfavillante di riflessi rosa, blu e gialli nella luce del mattino.
LA GAZZA - 1868
 Il padre continua a non mandargli quattrini, sono anni di miseria, freddo e patimenti – i creditori una volta gli sequestrarono tutte le tele per poi venderle all’asta – ma erano tutti gelosi del suo aspetto da dandy: non aveva un soldo ma indossava camicie con polsini di pizzo.
Era un signore nato.
Nel 1871 si trasferisce ad Argenteuil dove è affascinato dalla Senna: le rive, i ponti, le passeggiate, i velieri, le chiatte, tutto si riversa nelle sue tele dipinto dalle più diverse angolazioni.
Questi paesaggi, con lo studio dei riflessi della luce sull’acqua, rappresentano le prime realizzazioni impressioniste, dettate non da una teoria ma da un nuovo rapporto tra natura e pittore.
IMPRESSION - 1872
E fu proprio un quadro di Monet del 1872, Impression, esposto alla prima mostra degli impressionisti nel 1874 a dare il nome alla nuova pittura.
Le leggi dei colori complementari e della luce-colore vennero approfondite da Monet attraverso le infinite variazioni su uno stesso soggetto: i ponti di Argenteuil, le nevicate, la stazione Saint-Lazare, le scogliere di Etrètat.
Si poneva davanti alla realtà senza fare distinzione tra senso e intelletto, identificandosi col soggetto per giungere alla conoscenza: sono queste sue premesse che si porranno alla base del fauvismo e dell’espressionismo.
VELA SULLA SENNA AD ARGENTEUIL - 1873
E vera e propria “pittura d’azione” sono le serie iniziate da Monet dopo il 1889, lasciando al colore una forza inaudita: i pagliai, le vedute del Tamigi e di Venezia ma soprattutto le Cattedrali di Rouen, superfici materiche ispirate dai diversi effetti di luce sulla facciata, che sconvolsero Malevich e provocarono uno choc a Kandinsky.
Aveva scoperto la sensazione visiva autentica, allo stato puro.
Gli ultimi suoi vent’anni sono consacrati alle ninfee, un universo floreale acquatico blu, verde e rosa conforme al suo credo artistico, dal lirismo crescente.
Il 6 dicembre 1926 a Giverny si chiudono gli occhi di Oscar-Claude Monet sullo spettacolo della natura, che tanto hanno contribuito a farcene percepire la vibrante bellezza.

NINFEE

        

martedì 30 settembre 2014

Sbizzarrirsi alla Fiera di Parma


Se siete curiosi, se vi piace l’antiquariato, se cercate compulsivamente un oggetto e non riuscite a trovarlo, se volete distrarvi da giornate troppo cariche di computer e progresso, allora potreste passare una giornata alla 33° edizione del Mercante in Fiera a Parma.
Nei tre padiglioni, per un totale di 59.000 metri quadrati, più di mille espositori italiani e stranieri si daranno appuntamento da sabato 4 ottobre a domenica 19, dalle ore 10 alle 19, per l’edizione autunnale della più grande mostra di antiquariato, modernariato e collezionismo che ci sia in Italia.
Quindi, scarpe comode e non fatevi prendere dal panico per la confusione nel variopinto labirinto di stand.
Però, accettate qualche consiglio.
Diffidate di chi vuole vendervi - magari con fare gentile, raffinato e affascinante - quadri, mobili, sculture, oggetti che vi paiono di valore, a prezzi stracciati.
Il mercato non è un’illusione, i costi ci sono per tutti e le cose belle si pagano.
Anche molto, moltissimo.
Gli antiquari – nei padiglioni 3 e 5 - non sono tutti serissimi, qualcuno è anche capace di tirare, permettetemi il termine, qualche bidone.
Non fidatevi quindi di chi vuole vendervi un quadro con altisonanti nomi di pittori per una cifra con la quale non comprereste neanche una litografia a tiratura illimitata: può essere una copia rifatta in tempi moderni, un falso clamoroso o anche un dipinto antico distrutto e completamente ridipinto.
In questi casi, avrete buttato via i vostri soldi.
Attenzione anche ai mobili, che a Parma pullulano: una ribalta veneziana, mossa e lastronata del Settecento costa parecchi denari: se la trovate a pochi euro vuol dire che è falsa, o magari, fatta ora con legni antichi, ma che, nel caso la voleste rivendere, non ha alcun valore.
Ma non sono tutti così, per fortuna, anzi.
La maggioranza degli antiquari sono persone che amano l'arte, certo ne hanno fatto un mestiere, ma moltissimi lo fanno per vera e propria passione.
Con la pazienza certosina dei collezionisti, quelli veri che si fanno venire un lampo al cuore quando vedono l’oggetto dei loro sogni, a Parma si può trovare di tutto.
Le sezioni della mostra sono infatti parecchie: Archi e Parchi, al padiglione 3, è dedicata a pezzi antichi per giardini, parchi o verande, mentre al padiglione 6 ci sono i gioielli e il vintage a go-go.
E qui c’è da sbizzarrirsi, sia che siate nostalgici e vi prenda la commozione guardando un vecchio juke-box pensando dolcemente alla vostra adolescenza, sia che siate rock fin dentro l’anima e vi prenda un colpo trovando un rarissimo manifesto di Elvis Presley di 50 anni fa.
C’è anche una mostra collaterale molto interessante, sui lucchetti - il più antico è del V secolo e arriva dalla Turchia - di tutto il mondo provenienti dal museo di Cedogno, sull’appennino emiliano.
Oggetti, che come tanti altri di uso e forme diverse, son sempre stati considerati solo artigianato o al massimo inseriti in quella categoria denominata ingiustamente ‘arte minore’.
In realtà, sono opere d’arte create con cura maniacale da personaggi oscuri e ignoti, che magari hanno passato la loro vita a cesellare metalli, intagliare il legno o lavorare lo stucco e che sarebbe ora che avessero anche loro un po’ di gloria.

lunedì 29 settembre 2014

Speculazioni in nome di Caravaggio e Leonardo

OTTAVIO LEONI
RITRATTO DI CARAVAGGIO
La domanda sorge spontanea: perché?
Sì, perché buttare al vento 109.755 euro di soldi pubblici, quindi dei contribuenti, per realizzare una mega tomba, orribile davvero, per riporvi le ossa che non sono di Caravaggio?
Se fosse lui, una tale somma ci starebbe tutta, fosse solo per dirgli grazie per quel che ci ha lasciato.
Ma di sicuro quei poveri resti, trovati per caso a Porto Ercole, non sono del genio lombardo celeberrimo in tutto il pianeta.
Un’operazione portata avanti da tal Silvano Vinceti, presidente di una società privata che si occupa del  ‘marketing del nostro patrimonio culturale’.
Quindi non uno storico dell’arte, non un archeologo e nemmeno un anatomo patologo.
Costui, amico di Denis Verdini e Cesare Previti – sul cui brigantino ‘Barbarossa’ ha portato le ossa a Porto Ercole dentro un'urna di plexiglass – si dichiara “dedito ai misteri del passato”.
LE OSSA TROVATE
Comunque: dalle analisi del dna del femore risulterebbe una compatibilità dell’85% con qualche persona che ha Merisi come cognome, lo stesso di Caravaggio. Ma nulla di scientifico: l’Università di Napoli afferma che tale percentuale è la stessa che c’è fra un uomo e uno scimpanzé. Tanto è vero che in nessuna rivista scientifica c’è traccia di questi studi e risultati.
Non solo.
PROGETTO DEL MAUSOLEO DI CARAVAGGIO
L’inaugurazione del mausoleo, perché di quello si tratta, con una riproduzione del Canestro di frutta in cima, è avvenuta il 18 luglio, a 404 anni esatti dalla morte del povero Caravaggio, solo e disperato, sulla spiaggia dell’ameno paesino dell’Argentario, con gran dispiego di giornalisti e televisioni.
E il sindaco s'è pure lamentato che il genio sia morto di luglio, quando i turisti già ci sono.
Insomma, era meglio se moriva in novembre. Turisticamente parlando, s'intende.
Ma serviva davvero questa buffonata costosissima per tumulare qualche ossa di uno sconosciuto che non ha nulla a che fare con l’ artista che da solo, vestito spesso di stracci, ha rivoluzionato la pittura?
Ma non è finita qui.
Sempre lui, sempre Vinceti, è colui che ha scandagliato il complesso di Sant’Orsola a Firenze, nel cuore della città, per trovare le spoglie mortali di Lisa Gherardini, moglie di Francesco Bartolomeo del Giocondo, ovvero la signora che dovrebbe essere il volto della Gioconda. 
LEONARDO DA VINCI
LA GIOCONDA
A parte che ancora oggi non si ha certezza che sia lei, anzi, ma anche fosse, cosa aggiungerebbe allo splendore di tal quadro?
Non è certamente la vera identità della signora a essere ammirata da tutti, ma la pittura di Leonardo, la sua invenzione del paesaggio, le sue pennellate microscopiche, la sua cromia perfetta.
Tant’è.
Altri soldi pubblici, altra pubblicità a un personaggio che di arte e similari non sa nulla, altre rivelazioni eclatanti ma mai pubblicate da nessuna parte.
La provincia di Firenze nel 2012 aveva stanziato ben 140.000 euro per le ricerche della signora. Forse il perché sta qui? 
Ad ogni buon conto, la donna del ritratto più famoso del mondo, come ipotizzato dal professor Roberto Zapperi, che su questo argomento ha scritto anche un libro, potrebbe essere tal Federica Brandani, popolana di Urbino, che Giuliano de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico e fratello del futuro papa Leone X, conobbe quando fu invitato nella  corte marchigiana da Elisabetta Gonzaga.
E’ infatti documentato che il ritratto fu commissionato a Leonardo da Vinci proprio da Giuliano, uomo colto e affascinante, amante delle belle donne a cui non sapeva proprio resistere. Senza entrare nei dettagli per non violare la privacy dei due amanti, nel 1511 nasce Ippolito ma la poverina muore di parto.

RAFFAELLO
RITRATTO DI GIULIANO DE' MEDICI
Il piccolo cresce, il celebre padre a un certo punto lo riconosce, lo prende con sé e lo porta a Roma.
Ma la creatura piange e si dispera, vuol sapere che faccia aveva la sua mamma.
Così, papà Giuliano, chiede a Leonardo, anche lui a Roma in quegli anni, di fare un ritratto della defunta e lui accetta.
Un ritratto immaginario, giusto per far contento il piccolino.
Ma Giuliano muore e il quadro non è ancora finito. Leonardo, conclusa l’opera, la porta con sé ad Amboise, dove lo venderà nel 1516 a  Francesco I, re di Francia.
La Gioconda poi passerà nelle collezioni di Luigi XIV e quindi al Louvre, dove risiede stabilmente ben protetta da un vetro anti proiettile, e dove è diventata l’icona artistica dell’Italia.
Quella sana, geniale, creativa e intelligente, non quella di un imbonitore da fiera.