martedì 20 gennaio 2015

Federico Fellini e Tonino Guerra: amicizia, sogni e fantasia

FEDERICO FELLINI
È impressa nella mente di tutti l'immagine di Federico Fellini, che proprio oggi compirebbe 95 anni, con le sue grosse sciarpe, il cappello calcato sulla testa, i grandi occhiali, l'aria un po' trasognata, quasi non si rendesse conto della forza della sua fantasia, e il suo inconfondibile accento romagnolo.
Forse non è un caso che romagnolo sia stato anche il suo più grande amico e collaboratore di quasi tutti i film: Tonino Guerra.
TONINO GUERRA
Questo grande vecchio del cinema viveva a Pennabilli, antico centro nel cuore del Montefeltro dove, intorno all'anno mille, ebbero origine i Malatesta, poi divenuti signori di Rimini e della Romagna. Chi viene a Pennabilli si accorge subito dello spirito ancora presente di Tonino Guerra, scomparso nel 2012.
In questo borgo ha dato vita a numerose installazioni artistiche, insoliti giardini-museo chiamati I luoghi dell'anima e, passeggiando tra un albero e una scultura, si avverte un'emozione antica, ci si ritrova con sé stessi e si respira la creatività e la poesia di questo personaggio.
PENNABILLI  - ORTO DEI FRUTTI DIMENTICATI
Il bosco incantato è un labirinto dell'anima formato da steli in pietra serena scolpiti coi simboli della pigna e della ghianda, «dove puoi perdere la memoria e ricordare solo il giorno più bello della tua vita», con al centro una lumaca in bronzo che invita alla riflessione.
Nel Santuario dei pensieri, all'interno dei muri perimetrali di una vecchia casa malatestiana, sono state sistemate sette enigmatiche sculture che suscitano echi nel cuore, nella mente e nell'anima.
Nell'Orto dei frutti dimenticati la Meridiana dell'incontro permette di incontrare l'immagine di Federico Fellini e Giulietta Masina quando, nel pomeriggio, l'ombra di due colombi in bronzo diventa quella dei profili dei suoi grandi amici scomparsi.
Di Fellini, Tonino Guerra parlava volentieri.
Anche Marcello Mastroianni diceva che parlare di Fellini «mette gioia», e tra un sorriso e una smorfia, lo ricordava con tenerezza, affetto ed ammirazione.
TONINO GUERRA E FEDERICO FELLINI NEGLI ANNI '50
Quando incontrai Tonino, la prima domanda che gli feci, un po' banale per la verità ma istintiva: "Cosa le manca di più di Fellini?"
"Vede, tanto si dice che manca sempre tutto, perché è una grande amicizia e poi è questa montagna di memoria, questi continui suggerimenti di vivere camminando un po' sollevati da terra, i nostri colloqui nel suo studio, dove lui amava restare, non era un amante dei viaggi, perché diceva "i viaggi li facciamo con la memoria", era stupendo sentir parlare dei suoi viaggi verso l'infanzia e dei suoi viaggi verso paesi che non aveva mai visto e che aveva l'impressione di vedere stando fermo".
Tonino Guerra parlava lentamente, come se vedesse nel frattempo una serie di immagini magiche e lontane come nel carosello finale di Otto e mezzo.
OTTO E 1/2 - LOCANDINA - 1963
Gli chiesi qual era l'idea che lui e Fellini avevano sempre seguito nella vita: la risposta è veloce, immediata.
"Quello di fare qualche cosa di poetico che possa tener compagnia alla gente".
Di sicuro ci sono riusciti, lui e Federico Fellini, che come tutti i grandi artisti erano anche, come diceva lui stesso, «maghi bambini».
Cercando di immaginare la loro vita di tutti i giorni, mi venne naturale chiedergli se il senso onirico che aleggia nei film fosse presente anche nella loro quotidianità: "Nella nostra vita - rispose - non avevamo delle cose mostruose per inventare parole o immagini. Eravamo persone che stavano pensando a un piatto di spaghetti e alla mortadella!"
Quell'amicizia aveva qualcosa di speciale, avvolta da una genialità atipica: qual era il segreto del trio perfetto Fellini-Guerra-Rota?
"Bah... è come se mi chiedesse qual è il segreto per fare una buona polenta oppure qual è la cottura giusta della pasta, che se si sbaglia di un attimo... è un odore, il segreto è che andavamo incontro a un odore".
Ironia ed emozioni, come in Amarcord, ambientato in una idealizzata cittadina romagnola.
AMARCORD - 1973
"Fellini amava qualche amico e soprattutto amava i suoi ricordi, non ha mai girato un metro di pellicola a Rimini, quindi ha vissuto a Rimini nella sua memoria e nei giorni della sua infanzia, fin quando aveva 17 anni".
E cosa amava Tonino Guerra di Pennabilli? "Il silenzio, amo ascoltare la pioggia, amo ascoltarla che batte sui vetri, è una grande musica".
Bussando alla sua sfera più intima, gli domandai cosa avrebbe detto a Federico e Giulietta se potesse mandar loro un messaggio: "Sto arrivando - no, per l'amor del Cielo! - eh beh, è cosi l'età! Direi: spero che il vostro sia quell'ottimo, lungo viaggio pieno di mistero che spesso pensavate fosse il viaggio ultimo".
FEDERICO FELLINI E GIULIETTA MASINA
Li immaginava così, ancora insieme, con un bagaglio di ricordi, legati da un grande amore durato più di 50 anni e gli domandai cosa aveva significato l'amore nella vita di Fellini e se credeva possibile vivere senza innamorarsi.
"No! L'ultima frase Fellini la disse a Enzo Biagi negli suoi ultimi giorni: stava morendo e diceva 'innamorarsi ancora una volta!
Nella vita quello che conta è diventare questa nuvola imprecisa e grandiosa che è il momento dell'amore".
Grazie Federico, grazie Tonino!

sabato 17 gennaio 2015

Torcello: l'isola dell'arte e della solitudine

ISOLA DI TORCELLO
Un’isola dalla bellezza inesauribile che nei tempi paurosi e tristi dell’infuriar degli Unni e dei Longobardi accolse chi dalla terraferma fuggiva per trovare difesa.
E leggenda racconta come il grosso della popolazione, abbandonando le proprie città seguendo una voce che veniva dal cielo, si fosse rifugiata proprio qui e che, a ricordo della torre della patria perduta, l’avesse rinominata Turris, da cui Torcello.

Ed è il canto del gallo che sottolinea il sorger del sole di questo luogo incantato, una magia interrotta subito dopo dall’accensione delle radioline delle bancarelle, quasi a voler sottolineare che la mercificazione di Venezia - distante quasi un'oretta di vaporetto - non risparmia niente e nessuno.
TORCELLO - PONTE DEL DIAVOLO - XV SECOLO
Ma Torcello è   uno scrigno, pieno di straordinaria bellezza e dall'atmosfera unica.
La chiesa Santa Fosca, il Museo provinciale con il trono di Attila - in realtà mai usato dal flagello di Dio - e il ponte del Diavolo - del XV secolo senza parapetto - sono le attrattive più importanti dopo la Basilica.
TORCELLO - CHIESA DI SANTA FOSCA
SULLO SFONDO LA BASILICA DI SANTA MARIA ASSUNTA
Ha più di mille anni la Basilica di Santa Maria Assunta, una delle testimonianze più alte dell’architettura bizantina e altomedioevale, con la rarità che ha le imposte delle finestre in pietra.
Una chiesa, dall’aspetto semplice e solenne per la preziosità dei marmi e per l’oro dei mosaici - opera di artisti veneziani e bizantini dell'XI secolo - nata in occasione dell’elevazione al vescovado di Orso Orseolo, figlio del
doge Pietro Orseolo II.
TORCELLO
BASILICA DI SANTA MARIA ASSUNTA - 1008
IMPOSTE IN PIETRA
Una cattedrale che è lo spazio della vita, dove le pareti sono i suoi orizzonti, il limite tra il di-qua e il di-là, e su quel limite, come fosse uno schermo, i fatti rappresentati hanno un doppio valore, contingente ed eterno.
Un valore simbolico ispirato ai prototipi bizantini, dall’allegoria del Tempo vinto dall’attività umana all’Ozio, nella fronte principale esterna del coro, fino ai mosaici dell’arco trionfale con la Vergine, sola e augusta nello sconfinato campo d’oro del catino, sotto cui è disposta la teoria dei Dodici Apostoli.

BASILICA DI SANTA MARIA ASSUNTA
VERGINE MARIA, CATINO ABSIDALE






Ancora  mani veneziane nei mosaici dell’abside, con Cristo in trono fra gli arcangeli Gabriele e Michele, due figure fluidamente lineari, intuibili nello sciolto andamento delle ali.
La figura di Cristo riporta anche a
Santa Sofia di Costantinopoli, ma quell’ascetico volto qui si traduce in una rappresentazione più realistica, dall’impianto massiccio, dove le curve che segnano i lineamenti sono meno fluide.
Grandiosa, sopra la porta maggiore, una serie di figurazioni, dall’apoteosi di Cristo al Giudizio Universale, immensa icona con la funzione di ammonire il fedele sulla dannazione eterna riservata ai peccatori e sulla beatitudine destinata ai buoni.
Bisognerebbe valorizzare tale immenso patrimonio di arte, fede e cultura che anche in questi mosaici hanno lasciato segni ancora capaci di parlare a persone di culture diverse.

BASILICA DI SANTA MARIA ASSUNTA
GIUDIZIO UNIVERSALE
Non solo arte però.
Torcello ha un'anima magica che chiunque ha avuto la fortuna di andarci ha scoperto e annusato.
E davvero molti e diversi sono coloro che abitano o hanno abitato a Torcello, tutti appassionati di solitudine, dai dieci abitanti rimasti, a chi non c’è più, come i due fratelli Bortoluzzi, restauratori di gran livello sempre infreddoliti per la mancanza di riscaldamento e con l’umidità come coinquilina fedele, la clavicembalista Egidina Soika con il  marito anatomo patologo  o il dottor Baslini, che forse qui redasse il testo per il referendum sul divorzio.
O personaggi di alto livello  sociale o intellettuale come Hemingway che andava a caccia con il giardiniere della locanda Cipriani, Marc Chagall, Charlie Chaplin che similmente alla regina madre Elisabetta o all’incantevole Kim Novak, non hanno saputo resistere al fascino di un luogo senza tempo, dove la vita è perennemente scandita dalle maree e dall’alternarsi delle stagioni.

mercoledì 14 gennaio 2015

Lo stucco: povero ma bello, anzi, bellissimo!


SANREMO - SANTUARIO MADONNA DELLA COSTA
Pochi lo pensano e ancor meno  lo fanno, ma personalmente mi sento in dovere di portare maggior conoscenza e doverosa rivalutazione dell'arte dello stucco – un impasto di calce spenta e polvere di marmo con un’armatura metallica o in legno - considerata a torto un'arte minore essenzialmente artigianale perché per lo più frutto di artisti di cui non si sa neppure il nome, ma senza la quale la maggior parte dei monumenti, civili e religiosi, sarebbero spoglie anonime ed incolori, tristissime e bruttissime.
Basta fare un giro per le migliaia di chiese, chiesine e palazzi che si trovano in ogni dove, anche nei centri più sperduti e periferici per rendersene conto.
L'Italia ha un patrimonio straordinario e non lo sa, anzi, non vuole saperlo.
POMPEI, TERME STABIANE - DECORAZIONE A STUCCO
Non per nulla, per gli straordinari risultati che regalava, l’arte dello stucco, codificata da Vitruvio, era molto in voga già nell’arte romana.
Nel Quattrocento si ripresero dall'antichità grottesche, capitelli, festoni e figure interamente modellate.
Si studia tutto quel che proviene dall'antica Roma, compresi i resti delle domus romane, specialmente dal punto di vista costruttivo: quasi una gara fra artisti a chi recuperava le migliori ricette antiche - sì, proprio come quelle dei migliori chef - che con le loro alchimie riuscivano a ritrovare la robustezza ed il candore o i colori del marmo.
GIACOMO SERPOTTA - COLONNA
Qualche nome, giusto per far capire che non si scherza: Donatello, Lorenzo Ghiberti, Jacopo della Quercia.
Nel Cinquecento l’arte dello stucco riesce a dar vita ludica e teatrale a cornucopie, festoni, elementi floreali ed architettonici, a putti, cariatidi, satiri in pose ed atteggiamenti arditi e mai visti.
In architettura abbellisce fregi, frontoni ed essendo un materiale economico e dalle infinite possibilità di impiego, ha una vastità di impiego inimmaginabile.
Il Barocco, che è il periodo del vero tripudio dell’arte stucchiva, nella sua enfatica ricchezza lo accolse perciò con il massimo favore.
FRANCESCO BORROMINI -1634/1644 
ROMA, CHIESA DI SAN CARLO ALLE QUATTRO FONTANE
Grandissimi  artisti - Gian Lorenzo Bernini, Francesco Borromini e Pietro da Cortona, giusto per citare  i  più  famosi   -  lavorarono sì nelle maggiori chiese, ma non solo.
Fecero volare la loro stupefacente fantasia in infinità di  palazzi e ville, dove la decorazione a stucco, spesso anche policroma, è l'elemento immancabile degli arredi interni e rende ancor più preziosi gli ambienti, sbizzarrendosi sulle cappe dei camini, sui contorni delle porte, sui fregi di soffitti e di pareti.
In Europa, il più grande, eccelso, inimitabile artista fu Giacomo Serpotta (Palermo 1656 – Palermo 1732) che trasformerà, decorando una trentina fra chiese ed oratori,  la sua città rendendola più bella, più felice dal punto di vista estetico e ineguagliabile come ricchezza di decori. 
GIACOMO SERPOTTA - 1685/1690 - PUTTI
PALERMO, ORATORIO DI SANTA CITA
Divenne il Magister Stuccator più ricercato, anche perché inventò la allustratura, uno strato finale di grassello e polvere di marmo che dava più lucentezza e nitore alle sue sculture.
I suoi putti, veri e propri bambini – che si trovano un po’ dappertutto – giocano e si divertono, occupando interamente gli spazi in un tripudio di acrobatici sollazzi che evidenziano, in tutte le pose immaginabili ed inimmaginabili, la loro paffuta anatomia.
GIACOMO SERPOTTA - 1685/1690 - PALERMO, ORATORIO DI SANTA CITA
Serpotta poi realizza intere ‘macchine’ e facciate, plasma forme che riportano alla bellezza pura ed astratta della grecità, ma anche alla drammaticità barocca, con tutto l’apparato scenografico caratteristico della teatralità di cui si investe il racconto.
Serpotta ci regala così l’unione tra linearità classica  e bizzarria barocca, consegnandoci la summa di quanto può uno stuccatore.
E se il buon Giacomo non fosse esistito e come lui tutti gli altri stuccatori, anonimi o famosi fa lo stesso, noi oggi non potremmo essere così gelosamente orgogliosi delle loro opere, povere ma belle, anzi, bellissime.