lunedì 8 settembre 2014

Cari, affezionati lettori...

Miei cari e affezionati lettori,
tra poco, ma non so se è questione di ore o di giorni, il mio blog diventerà un sito.
A quel punto, chi mi avrà letto e avrà messo il mio blog tra i preferiti potrà trovarmi al nuovo indirizzo:
 
 
Grazie e continuate a seguirmi.
Alessandra


Iconografia, questa sconosciuta

Paolo Caliari detto Veronese - Il ratto d'Europa - 1580
Venezia, Palazzo Ducale
Soltanto una cinquantina di anni fa i soggetti dei dipinti o delle sculture – quel che si chiama iconografia, dalle parole greche icona e grafia, vale a dire scrittura per immagini - erano considerati poco importanti: non contavano che lo stile, la forma e il colore.
Curiosa aberrazione della critica, poiché ogni artista, sin dai tempi delle pitture rupestri, ha sempre attribuito la massima importanza ai soggetti che trattava: Fidia, Giotto, Tiziano o Michelangelo sarebbero inorriditi all’idea che potesse diffondersi una così assurda dottrina. 

Giovan Battista Tiepolo
Martirio di sant'Agata
1756 - Berlino, Gemaldegalerie

 
 
Essendo passati a miglior vita, per fortuna non lo sanno.
Negli anni ’30 del Novecento qualcosa comincia cambiare e pioniere della svolta nel modo di considerare l’arte fu un uomo dal genio originale: Aby Warburg.
Grazie alla sua influenza si formò un gruppo di studiosi, Erwin Panofsky su tutti, che riportarono alla luce, strato dopo strato, i significati insiti nei soggetti dell’arte medioevale e rinascimentale.
Ma era impresa a dir poco ardua: l’uomo comune aveva perduto la capacità di riconoscere i soggetti dell’arte antica e di comprenderne i significati.
Erano sempre meno le persone che leggevano i classici greci e poche quelle che conoscevano la Bibbia come l’avevano conosciuta i loro nonni o bisnonni.
Ancora oggi le persone di una certa età restano sgomente nel vedere quanti riferimenti mitologici o biblici siano ormai incomprensibili alle ultime generazioni.
Oltre ad altre assurdità contemporanee di altro genere, ovviamente.
Il comune turista di oggi, anche se dotato di un certo interesse per l’arte e di un minimo di curiosità, ha comunque bisogno di un testo che gli spieghi quei soggetti che dal Medioevo all’Ottocento conoscevano tutti, anche le persone analfabete.
Qui bisognerebbe entrare in un discorso più complesso, partendo dalla scuola, ma lasciamo perdere. Mi infilerei in una giungla pericolosissima con la lancia di don Chisciotte contro i mulini  a vento come unica arma. Torniamo a noi, che è meglio.
I pittori del passato prendevano sul serio i soggetti che trattavano.
E’ vero che seguivano i modelli tradizionali ma desideravano sempre che i loro fan (li avevano, eccome!) credessero che la scena da loro raffigurata avesse realmente avuto luogo e che ancora valesse la pena di ricordarla.

Sfruttavano la composizione, il disegno, il colore, la postura dei personaggi o i gesti, per rendere i loro soggetti chiari e reali. Ogni trucco era valido.
Ma perché si ingegnavano al massimo delle loro capacità?

La risposta è semplice: quando s’ignora l’iconografia di un’opera d’arte, che sia una scultura gotica o un dipinto rinascimentale, l’attenzione vaga per lo più senza meta e la possibilità di capire  si perde o, nel migliore dei casi, diventa comunque più povera.

Rimangono certo il piacere degli occhi e le emozioni, ma il piacere della conoscenza evapora. 

De Chirico: la nullità dell'essere

 
Giorgio de Chirico - Le muse inquietanti - 1917 - Monaco, Pinakothek der  Moderne
Le muse inquietanti, che Giorgio de Chirico dipinse nel 1917, è una delle opere simbolo dell’arte italiana del XX secolo e dà un contributo assolutamente originale al panorama internazionale.
Autentico manifesto della Metafisica, insieme a Ettore e Andromaca, descrive con nitida chiarezza personaggi e una situazione impossibili, in cui gli elementi della realtà appaiono combinati insieme in maniera del tutto incongrua.
Sullo sfondo appare il Castello Estense di Ferrara, la città in cui nel 1918 ebbe vita il movimento della Metafisica.
“Città del silenzio” per antonomasia, Ferrara, una antica capitale svuotata dalla corte e ridotta a involucro della memoria, diventa per Giorgio de Chirico l’ambiente ideale per accogliere l’onirica e misteriosa presenza delle muse, con la loro natura ambigua di colonna, di statua o di manichino.
I colori sono caldi e profondi, ma duri e come solidificati negli oggetti, la luce è intensa e immobile, senza vibrazione né raggio.
Le scatole di fiammiferi e l'uovo accanto alle architetture determinano un ribaltamento di tutte le scale di misure e la loro presenza volutamente insignificante, svuota di significato le forme solenni delle architetture e delle figure.
Inutile cercare significati reconditi, se non, forse, l’allusione all’uomo-automa contemporaneo: per de Chirico la pittura è speculazione sulla nullità dell’essere e, come speculazione, non può avere nessuna funzione.