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domenica 21 dicembre 2014

L'altrove di Venezia

ITALICO BRASS  1910
IL PONTE DEI PUGNI DA RIO SAN BARNABA
L’ultimo collezionista di Venezia, con pigli di dannunzianesimo, fu Italico Brass, che concluse una fase variegata e controversa nella storia culturale della città.
Prima di lui però furono innumerevoli coloro che amavano contornarsi di sculture, dipinti, mobili, medaglie e oggetti da wunderkammer.
Un patrimonio immenso di arte e storia che in parte è confluito nei musei cittadini e in buona parte è volato via spalmandosi in giro per il mondo come bottino di guerra, leggi Napoleone, o venduto a re, principi, nobili o nouveaux riches di altre città o nazioni.
Venezia e il suo altrove, dunque.
PAOLO VERONESE - LE NOZZE DI CANA - 1563
PARIGI, LOUVRE, ACQUISITO NEL 1797 DA NAPOLEONE
Della diaspora di capolavori più o meno celebri si sono sempre occupati vari studiosi, vagabondando su temi e testi di sofisticata piluccatura e di alta curiosità.
Un altrove che porta alle curiosità di dieci secoli di rapporti tra Venezia e Costantinopoli spesso fecondi ma anche difficili e contrastati: Venezia scopre nel Turco uno dei propri altrove e appunto altrove esporta una parte di sé stessa, non solo le merci ma anche le guerre, le speranze, i costumi e le costumanze.
TIZIANO - APOLLO E MARSIA - 1576
KROMERIZ, MUSEO NAZIONALE
 
Un’altalena mercantile e bellica in luoghi altri, momenti di fulgore e tragedie, come lo scuoiamento di Marcantonio Bragadin a Famagosta nel 1571, una delle onte da riscattare nella battaglia di Lepanto, che avvicina all'Apollo e Marsia, che subì lo stesso poco simpatico trattamento, di Tiziano, anche lui altrove, in quel di Kromeriz nella Repubblica Ceca.
O ancora la IV Crociata del 1204, dei saccheggi e delle devastazioni dove la pietas cristiana in quei giorni era anche lei altrove, se è stato scritto che «el sangue se coreva per la tera come el fose stà piovesto».
PIETRO LONGHI - IL CAFFE' - 1760

Ma le relazioni tra i due non si interrompono, anzi continuano, al di là dei morti e della diplomazia.
Seguiranno secoli di commerci, di ricchezza, di storie di uomini e di quel fare arte passato dagli infedeli ai serenissimi e viceversa, fino a due grandi conquiste.
Venezia a Costantinopoli scopre il caffè e il primo a nominare la vitale bevanda è Gian Francesco Morosini, bailo (governatore in Turchia) nel 1585.
Da quel giorno felice nascerà una tradizione da vendersi a caro prezzo in Piazza San Marco e da esportare con Goldoni che lo rende protagonista di una delle sue commedie.
I Turchi invece conquistano un inno scritto da Giuseppe Donizetti, fratello maggiore di Gaetano, maestro di banda nell’esercito sabaudo che nel 1818 arriva a Costantinopoli perché il gran sultano Mahmud II vuole riorganizzare la vita musicale di corte.

GIAMBATTISTA TIEPOLO - IL TRIONFO DI MARIO - 1729
NEW YORK, METROPOLITAN MUSEUM OF ART
I due si piacciono: Donizetti diventa pascià e il suo inno durerà fino al 1921.
Ma l’altrove di Venezia è dappertutto, comprese New York, Vienna e San Pietroburgo, ossia le fortunate città che posseggono le dieci  importanti tele di soggetto storico di Giambattista Tiepolo nati per Ca’ Dolfin, passati nel 1854 in eredità ai Querini Stampalia, e quindi emigrati.
Una storia intricata, fatta di eredità, di dissesti finanziari, di vendite per pagare le altissime tasse di successione, di passaggi di mano in mano, fino addirittura a rettificare i profili irregolari di tali capolavori per venderli più facilmente facendoli diventare dei meno impegnativi rettangoli.
E così le dieci tele passano nel 1871 per 16.520 lire a Michelangelo Guggenheim, antiquario e commerciante, quello che gli fa il lifting, poi al barone Eugenio Miller von Aichoz di Vienna per 46.000 franchi che cerca di venderli a Parigi in due gruppi, uno va al russo Polovtzeff, che lo dona al Museo di San Pietroburgo, l’altro rimane invenduto.
Il barone muore e tutto il suo patrimonio lo compra Camillo Castiglioni, intraprendente conte italiano, che dopo qualche dissesto ne vende due al Kunsthistoriches di Vienna, i più grandi li spedisce in pegno a Zurigo a tale Stefan Mendl, che ne diventa proprietario nel 1935.
Poi più nulla fino al 1965, quando l’esecutore testamentario di Mendl li propone al Metropolitan Museum di New York che li compera.
E un altro pezzo di Venezia è, appunto, altrove.