lunedì 15 settembre 2014

Cezanne: una biografia senza eventi

AUTORITRATTO
Un solitario. Solitario senza volerlo, solitario suo malgrado.
La biografia senza eventi di Paul Cézanne aiuta a capire la sua pittura, che conclude la parabola dell’Impressionismo e forma il ceppo da cui nasceranno le grandi correnti artistiche della prima metà del Novecento.
Rinunciò ad avere una vita propria per fare la sua opera o, piuttosto, ha fatto dell’opera la sua vita.
Abbastanza ricco da vivere del suo, era figlio di un banchiere, si isolò nella sua casa di Aix-en-Provence, dove era nato nel 1839 e dove morì nel 1906, e rinunciò anche ai saltuari soggiorni a Parigi, non mantenendo che rari contatti con gli amici Monet, Pissarro e Renoir.
Anche a questi tuttavia non permetteva di interferire col suo lavoro e lavorava infaticabilmente, sempre insoddisfatto di quel che faceva.
Se talvolta desiderava il successo che gli era stato negato ai Salons des Refusès e alle mostre degli impressionisti, non poneva il minimo impegno per ottenerlo. 
MONTAGNE SAINT-VICTORIE
Concepì la pittura come pura, disinteressata ricerca della verità, simile a quella dello scienziato o del filosofo benché diversa nel metodo.
Si era formato senza maestri, cercando di cogliere il nucleo espressivo e la struttura profonda delle opere degli antichi, da Tintoretto a Zurbaran, e dei moderni, da Delacroix a Daumier.
Fin dal 1878 mostra il suo desiderio di “fare dell’impressionismo qualcosa di solido come l’arte dei musei” ed evolve verso un’espressione sempre più lirica, inventando un nuovo modo di tradurre lo spazio mediante il colore e dando in questo modo alle sue tele una straordinaria coesione. 
JOUEURS DE CARTES
Studiando i paesaggi vedeva lo slancio creatore della Natura, di cui percepiva le forze. Considerava il mondo in fieri: “Voglio dipingere la verginità del mondo, dunque intreccio queste mie mani erranti, prendo a destra, a sinistra, qui e lì, dappertutto, i suoi colori, le sue sfumature, li fisso, li accosto fra loro, e formano linee, diventano oggetti, rocce, alberi, senza che io ci pensi”.
E in una delle ultime opere, una delle tante immagini della Montagne Saint-Victoire, le sue “mani erranti” fanno sì che gli azzurri e i grigi del cielo invadano il monte e la pianura come il verde degli alberi colora le nuvole, con la frequenza delle pennellate larghe e trasparenti che scompongono l’immagine in una continua sfaccettatura di prismi rifrangenti. 
Tra il 1890 e il 1895 dipinge opere fondamentali: nei Joueurs de cartes tratta la figura umana come un motivo qualsiasi, alla stessa stregua della natura morta, uno dei suoi soggetti preferiti e in Pommes et oranges sconvolge le leggi tradizionali della prospettiva, riunendo gli oggetti per il loro valore plastico e cromatico, come se si trattasse di una composizione astratta. 
POMMES ET ORANGES
ONCLE DOMINIQUE
Dipinse poi una serie, i ritratti dell’Oncle Dominique, dove risolse il problema del volume con lo spessore della materia steso con la spatola.
La femme a la cafetiére annuncia le figure dipinte da Picasso e Braque tra il 1910 e il 1914 e Cèzanne appare qui come il “primitivo di un’arte nuova”.
 
LA FEMME A LA CAFETIERE

Alla morte di Cèzanne, Picasso aveva già cominciato a dipingere Les mademoiselles d’Avignon.
La ricerca cubista deve molto al provenzale, il primo ad asserire per la pittura una nuova funzione, quella di costruire una realtà propria, indipendentemente dal dato naturale o emotivo: principio che è alla base di tutti gli sviluppi della pittura moderna.




sabato 13 settembre 2014

Tiziano e la morte


Tiziano - Autoritratto - 1562
Berlino, Staatliche Museum
Era nella materia bruta del colore e in tutte le sue sfumature più incredibili che Tiziano aveva annegato il pensiero della morte, che negli ultimi anni della sua vita aveva incontrato tante, troppe, volte per la perdita di persone a lui carissime.
E queste perdite si erano trasmutate in un nuovo modo di dipingere, come se le sue emozioni si tramutassero in colore, prima ancora che in pensieri.
Il colore era la sua passione e la sua ossessione. Palma il Giovane, suo allievo, diceva che su ogni quadro Tiziano «gettava macchie di colore, per poi metterci le mani per plasmarlo e ottenere quei risultati spettacolosi».
Palma conosceva bene la tecnica del pittore cadorino, lavorò con lui e, alla sua morte, finì lui stesso la Pietà, che avrebbe voluto sopra la sua tomba nella basilica dei Frari, ora all’Accademia, il testamento spirituale del maestro. 
Ma in quel quadro, l’orrore per la morte diventa qualcosa di visibilissimo e agghiacciante. 
Tiziano - La Pietà, particolare - 1576
Venezia, Gallerie dell'Accademia
Sotto il basamento di una colonna con la testa di un leone scolpita in pietra, aveva dipinto un particolare che mette i brividi: un piccolo ex voto con lui e Orazio inginocchiati a mani giunte davanti alla Madonna.
Era forse una supplica angosciata per preservare lui e il figlio in quei giorni bui e terribili?
La peste stava sconvolgendo Venezia e il suo Cadore dall’aria pulita, cristallina e sana era troppo lontano, quasi un miraggio.

Chi sa quante volte aveva pensato di ritornare a casa, lui, che amava firmarsi “Titianus cadorinus”.
Ma quel viaggio salvifico non lo intraprese mai.
Neanche la pittura lo avrebbe salvato da quell’appuntamento ineludibile, da quel viaggio sconosciuto.
Tiziano - La Pietà - 1576
Venezia, Gallerie dell'Accademia
E nemmeno la gloria immensa che lo aveva accompagnato per tutta la sua lunghissima esistenza gli sarebbe servita a qualcosa.
Quella stessa gloria che aveva fatto inchinare un imperatore, Carlo V, per raccogliergli un pennello mentre gli stava facendo un ritratto.
E non avrebbe nemmeno risparmiato l’adorato figlio Orazio, che lavorava con lui.
No, la peste era maledetta, non guardava in faccia a nessuno.
Ma in quel maledetto agosto del 1576, i conti con la signora in nero, doveva proprio farli.
Non riuscì neanche a finirla la Pietà.

Morì il giorno 28, con il pennello in mano.
Si racconta che fu la peste a portarlo via dal mondo terreno, ma forse, fu il dolore, lancinante, a prenderlo per mano e portarlo con sé nei meandri invisibili dell’aldilà.

venerdì 12 settembre 2014

Toulouse-Lautrec e il suo mondo favoloso

Henry de Toulouse Lautrec
Autoritratto - 1882
Albi, Musèe Toulouse Lautrec
Toulouse-Lautrec.
Il solo nome evoca personaggi divenuti favolosi grazie a lui: cantanti di cabaret, ballerine del Moulin Rouge, ospiti di case chiuse, clown e acrobati.
Mimi, ballerine, prostitute: sono loro i corifèi della comèdie humaine.
Eccoli i temi prediletti di Henry, nemico del paesaggio nel quale vedeva solo un accessorio. “Il paesaggio – diceva – deve servire solo a far conoscere meglio il carattere del personaggio”. 
La vita di Henry de Toulouse-Lautrec, sempre in bilico fra angoscia e furore di vivere, inizia nel 1864 ad Albi, dove nasce da famiglia di antica aristocrazia.
Amante della vita all’aria aperta e dell’equitazione, destinato a condurre una tranquilla esistenza da signore di campagna, è condannato, per due cadute da cavallo che gli spezzarono le gambe impedendone il successivo sviluppo, a rimanere deturpato fin dall’adolescenza.
Henry de Toulouse Lautrec - Ballo al Molin Rouge - 1889
Filadelfia, Museum of Art
Generoso e insieme feroce osservatore dell’umanità, si getterà nel mondo dei caffé-concerto, delle sale da ballo e della prostituzione, dove un lusso fittizio nasconde le miserie intime, le degradazioni inconfessate, dove si sentirà meno infelice, meno anormale che nell’ambiente della sua famiglia, attaccata a rigidi pregiudizi di classe.
Nei suoi effimeri personaggi, Lautrec dà prova di una grande efficacia evocativa: se la caratterizzazione è spesso cruda, la freschezza dell’immagine riesce sempre a riscattarne la volgarità, come nei ritratti di Jane Avril, ballerina ammirata per la sua abilità, che ritrasse più volte, o di Yvette Guilbert, cantante celebrata da letterati e artisti che, dopo essere stata commessa e indossatrice, divenne una delle massime vedettes della bellè epoque parigina. 
Henry de Toulouse Lautrec
Yvette Guilbert
A Lautrec scrisse: “Per l’amor del cielo, non fatemi così atrocemente brutta!”
Anche le case chiuse, che frequentava assiduamente, sono descritte con acutezza, con quella ricchezza e quel lusso di facciata che nasconde la povera umanità delle ragazze in attesa e l’intima miseria dei frequentatori.
Molti hanno scritto del legame con Degas e dell’esplorare questo mondo di fatiscenti incantesimi, entrambi appartenenti a un’alta classe sociale, entrambi attirati dalle luci della ribalta, dai volti carichi di trucco, dalla trasandatezza dietro le quinte.
Henry de Toulouse Lautrec
Ballerina seduta - 1890
Collezione privata
Ma Degas non si lascia commuovere dal modello, Lautrec invece osserva intensamente l’espressione di uno sguardo, la personalità crudele, spiritosa o bestiale di un profilo.
Alle anonime ballerine di Degas, Henry oppone la patetica individualità degli esseri umani.
La scoperta poi delle stampe giapponesi avrà un’influenza notevolissima, suggerendogli il gusto della semplificazione e lo spazio bidimensionale definito dalla linea continua e dalle stesure piatte di colore.
È stato il primo a intuire l’importanza di quel nuovo genere artistico, tipicamente cittadino, che è la pubblicità: disegnare una affiche o la copertina di un programma costituiva un impegno non meno serio che fare un quadro.
Henry de Toulouse Lautrec - 1891
Moulin Rouge a a La Goule
 Il primo, Moulin Rouge e La Goule, lo esegue nel 1891, con protagonista la ballerina di can can o Divan Japonais, realizzato nel 1893 per pubblicizzare l’apertura del locale.
È nella definitiva rinuncia all’arte-contemplazione per l’arte-comunicazione la ragione della sua straordinaria attualità, di cui Picasso si accorse per primo.
Henry de Toulouse-Lautrec muore nel 1901 a 37 anni, logorato dalla sua esistenza febbrile e dalla sua frenesia di vita.


Henry de Toulouse Lautrec - Al Moulin Rouge - 1892  - Chicago, Art Institute

Nel mio canale YouTube il video su Henry de Toulouse Lautrec:
https://www.youtube.com/watch?v=Wfo0_qCmPiI