martedì 7 aprile 2015

Vanessa Bell: un'artista, non solo la sorella di Virginia Wolf

VANESSA STEPHEN BELL
Una donna libera, intelligente, anticonformista, creativa e piena di fantasia, fulcro pulsante di un'enclave di intellettuali, per di più bella e affascinante.
Questa era Vanessa Stephen, nata a Londra il 28  maggio del 1879, in una strana famiglia segnata da lutti e strani comportamenti.
Lei e sua sorella Virginia, che diventerà celebre con il cognome del marito, Woolf,  come lei lo diventerà con il cognome di suo marito, Bell, sanno però quel che vogliono fare nella vita e il padre le lascia fare.
Lui muore e le due ragazze vanno a vivere da sole, lasciandosi alle spalle il peso di quella famiglia così numerosa con una schiera di fratellastri e sorellastre.
Vanessa fu la stella polare di un gruppo di intellettuali e artisti noto come Bloomsbury, definito spiritosamente da Georges Bernard Shaw "coppie in rapporti triangolari che vivono in quadrati" perché tutti erano amanti di tutti, uomini o donne non importava.
Il gruppo ebbe come base la casa delle due sorelle Stephen, il n° 16 di Square Garden, nel quartiere di Bloomsbury appunto.
Anticonformista, ateo e liberale, contro gli eserciti, intollerante verso la monarchia  e le discriminazioni sull'orientamento sessuale, il gruppo avrà un grande peso nell'arte, nella letteratura, nell'economia e anche nel femminismo.
VANESSA BELL -  ICELAND POPPIES - 1908
COLLEZIONE  PRIVATA
Già, l'arte.
Per Vanessa, fu la salvezza spirituale della sua vita, facendo del colore il principio dominante delle proprie composizioni.
Delicate armonie di bianco e di nero pervadono i suoi primi lavori, come Iceland puppies, e sull'onda della prima mostra post-impressionista, Vanessa cominciò a impiegare un colore non naturalistico, con minime concessioni al modello e al dettaglio rappresentato.

VANESSA BELL - 1912
VIRGINIA WOOLF AD ASHENAM
LONDRA, NATIONAL PORTRAIT GALLERY


In  Virginia Woolf ad Ashenam, colse sì la somiglianza della sorella, ma incentrò il quadro sui contrasti di tonalità, tra l'arancione acceso della poltrona e i tenui grigi e blu  degli abiti di Virginia e dello sfondo.
Se dietro all'uso del contorno  liberamente tratteggiato nelle opere eseguite tra il 1910 e il 1912, si intuisce traccia di Van Gogh, fu Matisse a ispirare le più coraggiose combinazioni di colori dei suoi quadri successivi.


VANESSA BELL - 1915
MRS. ST. JOHN HUTCHINSON
LONDRA, TATE GALLERY
Nel ritratto certamente non lusinghiero dell'amante di suo marito, Mrs. St. John Hutchinson, del 1915, il volto roseo della donna è definito da pennellate di giallo e verde, mentre il corpo è incorniciato da entrambi i lati da un motivo di strisce verticali già cubista.
La paura di non riuscire ad eguagliare i migliori pittori, fu una costante della sua vita, passata a dipingere, a curare i figli nati dal matrimonio con Bell e ai suoi amanti, fra cui Roger Fry, un critico, e al padre della sua ultima figlia, Duncan Grant, anch'esso pittore, che, omosessuale, aveva a sua volta un amante, David Garnett.
VANESSA BELL - 1912
JESSIE E FREDERICK ETCHELL CHE DIPINGONO 
LONDRA, TATE GALLERY




Vanessa era una donna curiosa.
Guarda a Picasso, a cui, dopo la guerra, fece visita a Parigi.
E si vede.
Dipinge scene di ambienti domestici, di amici in pose casuali che leggono o dipingono, che testimoniano il suo forte legame con il Bloomsbury, o una serie di ritratti 'senza volto', quasi inquietanti nella loro struggente malinconia fino a giungere a vere e proprie opere cubiste, tra cui varie nature morte.
VANESSA BELL - NATURA MORTA SUL CAMINO
LONDRA, TATE GALLERY

L'arte di Vanessa, attraverso il Workshop Omega dell'amante Fry, esce quasi per magia dalle tele dei quadri per abbracciare tutto il quotidiano, dalle tazze per la colazione mattutina ai vasi per i fiori, dalle stoffe per rivestire i divani alle copertine e alle illustrazioni per i libri della sorella.
Vanessa morì il 7 aprile del 1961 per un tumore al seno, dopo un'esistenza passata in mezzo non solo all'arte ma anche al turbine della gelosia della sorella - che però la ritrasse in alcuni suoi romanzi - alla paura del mondo, alla depressione, all'amore sconfinato per i suoi figli.
Di lei rimane la luce di una creatura sfuggente, pioniera dell'arte contemporanea inglese, che ha fatto della sperimentazione totale una modernissima visione di vita.


giovedì 2 aprile 2015

Buona Pasqua!

JACOPO ROBUSTI detto TINTORETTO
RESURREZIONE DI CRISTO - 1559/1571
VENEZIA, SCUOLA GRANDE DI SAN ROCCO
Cari lettori,
ho deciso di prendere qualche giorno di riposo, penso meritato.
Ci rivedremo dopo le feste, con altri articoli e qualche novità.
Vi auguro una Pasqua serena e felice.
Alessandra
 
 


venerdì 27 marzo 2015

La follia e il bello: una discussione infinita

VINCENT VAN GOGH - AUTORITRATTO - 1887 -
AMSTERDAM, RIJKSMUSEUM
"Follie! Follie!" cantava Violetta in un'aria tra le più belle della Traviata verdiana.
E non è azzardato accostare la follia al «bello» dell'arte.
Esempi?
Vincent Van Gogh passò cinque anni in un manicomio dove peraltro dipinse i suoi autoritratti più eclatanti, dai colori incredibili per la percezione deviata che di essi ne hanno gli schizofrenici, ed era matto sul serio se giunse perfino a tagliarsi un orecchio, ma rimane pur sempre uno dei più grandi artisti della storia dell'arte.
Filippo De Pisis era affetto da sifilide terziaria, malattia senile che provoca dissociazioni, e in quel periodo dipinse veri capolavori.
E come scordare Modigliani?
I suoi ritratti dipinti sotto l’effetto dell’assenzio tolgono il fiato.
FILIPPO DE PISIS
BASILICA DI SAN MARCO - 1940
C'è un bello dentro il brutto e un brutto dentro il bello.
Dichiarazione valida anche per l'espressionismo che nasce da un mondo in distruzione, fatiscente, che si rompe, come l'equilibrio mentale di tanti artisti che ne fecero parte: «L'arte è l'espressione più alta della mente umana, anche se ci sono cervelli rotti».
E pensare che il mondo intero cerca con tutti i mezzi di essere il più normale possibile, senza riuscire a guardare oltre la barriera criptata della bellezza della follia.
GIORGIONE - VENERE DORMIENTE - 1510
DRESDA, GEMALDEGALERIE
Già, la bellezza.
Un'idea di bello che sia accettata da tutti ancora non esiste, è un tema assolutamente aperto da sempre del quale hanno discusso infiniti critici e docenti di estetica e su cui sono stati versati oceani d'inchiostro.
E la verità, si sa, è ardua da trovare.
Forse la ragione alla fine sta nella massima popolare indice di grande saggezza atavica, per cui «non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace».
E allora potrebbero diventare belle anche certe espressioni di arte contemporanea, perché da quando gli impressionisti smisero di impressionare, l'arte moderna ha scelto il brutto, allontanandosi dal concetto di bellezza e di sublime della cultura classica, afferma più di un critico.
A questo punto un'altra domanda sorge spontanea.
GIOVANNI BELLINI
CROCEFISSO - 1505
PRATO, PALAZZO ALBERTI
Dov'è finito allora il classico concetto di kalòs venerato dai greci e di  pulchrum tanto amato dai latini?
Mistero.
Anche l'arte cristiana per molti se ne allontana, se considera bello il crocefisso.
Ma  bisogna distinguere la forma dal contenuto, quindi il crocefisso non è l'immagine di un cadavere appeso a un palo di legno, ma un simbolo.
Quindi un artista certamente sì, può quindi permettersi il lusso della follia ma non i filosofi o altre categorie, così come sarebbe meglio non mettere una città nelle mani di un architetto schizofrenico.
Follia dunque compatibile con l'arte ma non con le altre attività umane.
Conclusione: l'essere fuori di testa può essere utile per realizzare opere d'arte, per governare uno stato molto meno.