lunedì 17 luglio 2017

Quarto Stato: il manifesto politico di Pellizza da Volpedo


Giuseppe Pellizza da Volpedo - Quarto Stato - 1901
Milano, Museo del Novecento
E' il manifesto dell'orgoglio proletario e della sua avanzata verso un futuro migliore, verso il progresso, divenuto una vera icona per la classe operaia e non solo.
L'idea di lanciare completamente la sua arte in favore dei lavoratori, gli venne dopo aver visto uno sciopero nelle sue terre. Una presa di posizione a lungo ponderata e studiata sui libri che avevano come argomento la Rivoluzione Francese, che iniziavano a trovarsi anche in edizione economica, e che lui letteralmente divorò.
Ci vollero parecchi anni prima che Giuseppe Pellizza da Volpedo, nato il 28 luglio 1868 nato nel paese  in provincia di Alessandria da cui prese il nome, arrivasse a questo risultato.
Giuseppe Pellizza da Volpedo - Ambasciatori della fame - 1891
Collezione privata   
Una decina di anni prima, aveva dipinto un bozzetto, Ambasciatori della fame: è l'embrione di quel che sarà il suo capolavoro.
La scena è questa: una schiera di braccianti che avanza all'apparenza frontalmente, guidata in primo piano da tre persone a grandezza naturale. L'uomo al centro è affiancato, in posizione leggermente arretrata, da un secondo lavoratore più anziano e da una donna con un bimbo in braccio.
Il tutto si svolge su una piazza illuminata dal sole chiusa sul fondo da macchie di vegetazione e da una porzione di cielo bluastro.
La posizione dei personaggi, tutti reali e con nome e cognome, fu lungamente studiata da Giuseppe e lo si può sapere dai tantissimi -  e bellissimi - disegni preparatori.
Ho scritto poc'anzi 'all'apparenza frontalmente': già, perché né i tre in primo piano, né la schiera dei braccianti dietro, sono su un'unica linea, bensì hanno una impostazione leggermente a cuneo e  questo effetto è ben evidenziato dalle loro ombre.
Perché li ha voluti così?
Per evitare che fossero una massa statica e pesante e a suggerire, nel contempo, il fatto che fossero davvero in marcia.
 
Una marcia implacabile.
Un dipinto pacato che ha una forza fenomenale e indistruttibile, una forza interna che lascia senza fiato, con lo stomaco aggrovigliato, con il cuore impazzito, con il groppo in gola.
E lo si vede da un particolare: il passo, deciso e sicuro dell'uomo in primo piano con il gilet rosso, il colore più acceso in mezzo ai toni del marrone e del verde. Ed è un passo colmo di dignità, di quella dignità che si raggiunge solo ed esclusivamente con il lavoro. 
Quarto Stato è un dipinto che emoziona, che non ci si stanca di guardare, che si ammira in quella prima stanza del museo milanese che sembra essere una sorta di santuario laico del lavoro, dell'abbruttimento della  fatica, del sudore, della miseria ma soprattutto del riscatto.
Lo si sente e lo si percepisce come una spinta per migliorarsi, per avere successo, per non sentirsi una pedina nel bel mezzo dei giochi di potere.
Giuseppe Pellizza da Volpedo ci ha regalato la consapevolezza del nostro valore, della propria forza, qualunque lavoro si faccia, che sia manuale o intellettuale.
Questa massa unita che cammina verso il domani, vale assai di più di qualsiasi discorso sindacalista o politico, anche se urlato in piazza in mezzo allo sventolio di bandiere, perché è un quadro 'vero' ed ha una modernità assoluta.
Dovrebbe essere anche un 'santino' da tenere in tasca per chi cerca lavoro, per dare più forza al proprio impegno, per chi lo ha ma è cosciente che basta un nonnulla per perdere i diritti, anche quelli più vitali e indispensabili, per chi è frustrato da scarsa soddisfazione economica e umana.                           
Ma deve essere anche di monito a chi il lavoro lo tratta male.
Un severissimo monito a persone che hanno il senso di responsabilità e lealtà sotto le scarpe, ma si prendono beffa di un simile tesoro. Le tante notizie di cronaca raccontano di assenteismo, menefreghismo o incuria e questo - ahimè - succede ogni giorno.
Perché sappiamo che è faticoso, che ci fa arrabbiare, che qualche volta o spesso ci pesa, ma sappiamo anche che il lavoro è vita.  
La storia ci racconta che Giuseppe si impiccò nel suo studio il 14 giugno del 1907, preso dalla disperazione per la morte della moglie, Teresa Bidone, una contadina sposata nel 1892.                                                                                 
 
Giuseppe Pellizza da Volpedo - Quarto stato - Particolare
 


lunedì 10 luglio 2017

Il mio nuovo video su Paul Camille Guigou


Il mio nuovo video, con tante immagini bellissime dei suoi quadri, su Paul Camille Guigou, il cantore della Provenza, terra profumata e incantevole.
Sul mio canale YouTube:

martedì 4 luglio 2017

Il Rosso Fiorentino: un italiano a Parigi

Giorgio Vasari - Ritratto di Rosso Fiorentino - 1548 - affresco
Arezzo, casa di Giorgio Vasari
Era dotato di bellissima presenza; il modo del parlar suo era molto garbato e grave; era bonissimo musico et aveva ottimi termini di filosofia, e quel che più importava più che l’altre sue bonissime qualità, fu che egli del continuo nelle composizioni delle figure sue era molto poetico, e nel disegno fiero e fondato, con leggiadra maniera e terribilità di cose stravaganti, et un bellissimo compositore di figure. Nella architettura fu garbatissimo e straordinario, e sempre per povero ch’egli fosse, fu ricco d’animo e di grandezza”: eccolo il superlativo giudizio che dà il Vasari di Giovan Battista di Jacopo di Gasparre, detto il Rosso Fiorentino per via del colore dei suoi capelli, nato a Firenze domenica 8 marzo 1485.
Del giugno del 1514 è il saldo dovuto per la sua prima opera certa: l’Assunzione della Vergine nel Chiostrino dei Voti della Santissima Annunziata, opera che fece per intercessione del suo maestro, Andrea del Sarto, con un cielo di angeli nudi che ballano intorno alla Vergine.
Rosso Fiorentino - 1518
Pala dello Spedalingo
Firenze, Galleria degli Uffizi
 La Pala dello Spedalingo, ossia il termine del committente Leonardo Buonafede derivante dal ruolo, vale a dire il rettore dell’Ospedale di Santa Maria Novella, è un dipinto del 1518, in origine destinato alla chiesa di Ognissanti e ora alla galleria degli Uffizi. Questa pala ha una storia bizzarra: Buonafede non la volle, tanto che fu poi messa in una chiesetta sperduta, perché, come racconta Vasari, il Rosso aveva dipinto i personaggi con “arie crudeli e disperate”, anche se “nel finirle poi addolciva l’aria e riducevale al buono”.
Nel 1518 una vicenda giudiziaria gli turba il sonno: un creditore voleva essere pagato e non potendolo saldare, viene condannato all’esilio, così va a Piombino ospite di Jacopo V Appiani, per il quale dipinge un “bellissimo” Cristo morto, quindi parte per Volterra, dove realizza una formidabile Deposizione, ora nel Museo Civico locale, ovvero della cittadina patria della lavorazione dell'alabastro, considerata da tutta la critica il suo capolavoro.
Rosso Fiorentino - Deposizione - 1518
Volterra, Museo Civico

E' un quadro che lascia senza fiato, come un pugno nello stomaco, di cui ci si ricorderà per sempre per le emozioni forti che regala.
Senza dubbio uno dei dipinti più sconvolgenti del XVI secolo, frutto di una complessa e forzata struttura compositiva e investito di un’intensità emotiva quasi insostenibile, con personaggi pietrificati in atteggiamenti drammatici e colori innaturali stesi in maniera compatta. Impressionante è anche il cielo, un’autentica cappa di piombo che grava incombente sulla scena, mentre le tre scale sono puri espedienti scenografici.
Intorno al 1521 però torna a Firenze, dove lavora alle ultime opere nella sua città: lo Sposalizio della Vergine e Mosè difende le figlie di Jetro, che poi donerà al re Francesco I di Francia.
L’anno dopo, complice anche la peste che si era ancora una volta abbattuta sulla sua città, parte per Roma, dove papa era Clemente VII, un esponente della famiglia Medici.
Al Museum of Fine Arts di Boston si conserva un Cristo morto sorretto da quattro angeli che il Rosso dipinse nel suo soggiorno romano, dove evidente è il richiamo alle figure scultoree di Michelangelo.
Rosso Fiorentino - 1521 - Putto che suona
Firenze, Galleria degli Uffizi
E’ il 1527, l’anno del Sacco di Roma da parte dei Lanzichenecchi, che lo catturano, lo derubano, lo umiliano, “scalzo e senza nulla in testa, gli fecero portare addosso pesi, e sgombrare quasi tutta la bottega di un pizzicagnolo” per poi lasciarlo libero. Il Rosso va via dalla città eterna così come fecero quasi tutti i suoi colleghi, che riempirono l’Europa di talenti italiani. 
Va a Perugia e da lì a Sansepolcro, ospite del suo coetaneo Leonardo Tornabuoni, vescovo, con cui era amico, dove dipinge la Deposizione per la locale chiesa di San Lorenzo: “cosa molto rara  e bella, per avere osservato ne’ colori un certo che tenebroso per le eclisse che fu la morte di Cristo, per essere stata lavorata con grandissima diligenza”.
Inizia un periodo tormentato per l’artista, che girovaga un po’, da Sansepolcro va a Città di Castello da dove ritorna a Sansepolcro per poi ripartire e andare a Pesaro prima e a Venezia poi, finché nell’autunno del 1530 è a Parigi.
Rosso Fiorentino - Pietà - 1540 circa - Parigi, Museo del Louvre
Nella capitale francese, è accolto con onori dal re Francesco I che, oltre allo stipendio come pittore, gli concede anche una casa. Qui dipinge la Pietà, oggi al Museo del Louvre.
Ma più che a Parigi, il nostro passa tutto il suo tempo nella reggia di Fontainebleau, dove le sue opere purtroppo sono poco leggibili perché deteriorate. Ma qui fa di tutto: Vasari racconta che disegna “saliere, casi, conche et altre bizzarrie, abbigliamenti di cavalli, di mascherate, di trionfi e di tutte l’altre cose che si possono immaginare, e con sì strane bizzarre fantasie che non è possibile far meglio”.
La sua morte sembra ancora un mistero: Vasari dice che si suicidò con il veleno domenica 14 novembre 1540, fatto che scosse assai il re.
Le opere da lui commissionate al Rosso, vennero poi terminate dal Primaticcio, che diede origine alla scuola di Fontainebleau, paradiso del Manierismo.