mercoledì 21 giugno 2017

Giovanni Fattori: la pittura come poesia


Giovanni Fattori
Autoritratto
Firenze, Galleria di Arte Moderna
di Palazzo Pitti
Può darsi che anche non vivendo a Parigi o nella profumata Provenza come gli Impressionisti, bensì a Livorno, l’insofferenza all’accademismo romantico e al purismo oltre all’esigenza di un’arte in cui confluissero le pulsioni e i problemi della vita contemporanea, si percepisse ugualmente.
Prova ne è Giovanni Fattori, nato a Livorno martedì 6 settembre 1825 da una famiglia di artigiani, pittore di sicuro talento, che nelle accese discussioni al caffè Michelangelo di Firenze, tra il 1850 e il 1860, con “una classe di giovani artisti divenuti nemici dei professori accademici”, pose le basi del movimento pittorico più importante dell’Ottocento italiano, di cui divenne l’indiscusso protagonista.
Giovanni Fattori
Il buttero - 1900
Il senso della novità era data dal fatto, diceva Giovanni, che in natura esistono ‘macchie’ di colore senza contorni.
Questa fu la molla che animò i Macchiaioli, un movimento non solo pittorico ma politico, con quel caffè non solo enclave artistica ma ritrovo in un’atmosfera eroica delle stesse affinità elettive risorgimentali.
E vien da chiedersi il perché Fattori, Segantini, Lega, Mancini o Spadini non abbiano avuto lo stesso successo dei loro alter ego francesi.
Forse perché Parigi è una capitale, forse perché il mercato dell’arte è sempre stato bizzarro, forse perché loro non erano bohemienne o forse perché coinvolti politicamente non pensavano solo se persone, oggetti o paesaggi dovessero essere trattati pittoricamente allo stesso modo. 
Mistero, che prima o poi dovrà comunque essere risolto.
La vita sentimentale di Giovanni non fu meno turbolenta: si sposò il 4 giugno 1891 con Marianna Bigazzi ma lei morì nel 1903 e lui si risposò, nel 1907, con un’amica della moglie, certa Fanny Marinelli, che morì anche lei l’anno dopo.
A quel punto Giovanni non pensò più al matrimonio, ma soltanto a divertirsi con le giovani e avvenenti allieve a cui insegnava privatamente i rudimenti della pittura.
Giovanni Fattori - Carica di cavalleria - 1877 - Collezione Sacerdoti Ferrario
Comunque, proprio perché coinvolto nell’ideale risorgimentale, nell’estate del 1868 Fattori andò ad assistere alle grandi manovre di Fojano della Chiaia, le prime dell’Italia unita, dirette da Nino Bixio.
Lì trasse dal vero una numerosa serie di disegni, ma soprattutto colse gli aspetti quotidiani della vita del soldato, i suoi momenti meno eroici, l’abnegazione e il senso del dovere, la disciplina nell’obbedienza agli ordini, anche quando questo comporta fatica, sopportazione e ripetitività.
Forse Fattori vedeva nella vita di quei soldati di ronda e  nel contatto con la natura un qualcosa che li accumunava alla vita dei butteri della sua Maremma, che divennero anch’essi protagonisti di molte sue tele.
Giovanni Fattori - In vedetta - 1871 - Fondazione Progetto Marzotto
Ecco allora che nasce In vedetta, che dipinse nel 1871: un abbagliante muro bianco di cinta intorno a cui muovono i soldati.
L’ambiente è descritto in modo essenziale, quasi astratto, dominato dall’abbacinante paesaggio inondato dal sole di mezzogiorno.
Immersi in quella che appare una soffocante, caldissima giornata, tre soldati, appesantiti dalla divisa e dalla canicola, compiono la ronda del muro perimetrale di un fortino. 
I due più arretrati scrutano un orizzonte inesorabilmente piatto, oppresso da un cielo color cobalto striato da una condensa afosa.
Solo i cumuli del terriccio e lo sterco dei cavalli, insieme ai solchi delle ruote dei carri nella terra, segnano in maniera realistica la strada e accennano una prospettiva.
Giovanni Fattori - La Pattuglia - 1875
La Pattuglia del 1875 è una sorta di manifesto della sua intera opera per la luminosità e la magia del tempo sospeso che infonde in ogni pennellata.
Il colore si conforma in ombre e luci di strutture plastiche, l’intatto equilibrio di rapporti cromatici e tonali definisce prospetticamente lo spazio con una verginità espressiva che, nel muto colloquio con sé stesso, descrive l’umile malinconia di quel piccolo mondo militare, con le figure che riacquistano una loro arcaica genuinità che si converte in incontaminata poesia.
Giovanni Fattori - Buoi al carro - 1867
Nei Buoi al carro, del 1867, riesce a restituire l’atmosfera silenziosa e sospesa della campagna assolata, la solenne e concreta presenza dei due buoi aggiogati.
Giovanni Fattori - 1866
La Gramignaia
Così per i ritratti, come  la Gramignaia e Fanny Fattori, icone di un’arte antiretorica, simboli di una rustica bruschezza.
Quella di Fattori è poesia senza riserve che totalmente si esprime attraverso il colore, il segno, la sua personalissima visione della vita.
Una poesia fatta di piena adesione all’immagine e di amore, infinito e candido.
Giovanni muore a Firenze 30 agosto 1908, pianto da tutta la città.
 
 
Nel mio canale YouTube il video su Giovanni Fattori:


giovedì 15 giugno 2017

Masaccio: il primo grande pittore del Quattrocento

Masaccio - Autoritratto
Firenze, Cappella Brancacci
Il primo grande pittore del Quattrocento appartiene alla cerchia di Donatello e di Brunelleschi, con cui era legato da profonda amicizia e di cui condivideva le ricerche nel campo della prospettiva, le istanze umanistiche e le idee innovatrici.
Si tratta di Tommaso di Ser Giovanni di Mone, universalmente noto con il nome di Masaccio, nato in San Giovanni Valdarno mercoledì 21 dicembre del 1401.
Pur vivendo pochissimo, morì a Roma,  si dice avvelenato, a soli 26 anni nell’estate del 1428, Masaccio è una pietra miliare nella storia dell’arte italiana e la sua importanza è inversamente proporzionale alla durata della sua vita. Masaccio era uno strano personaggio unicamente dedito all’arte a sentire come lo descrive Vasari: “Fu persona astrattissima e molto a caso, come quello che avendo fisso tutto l’animo e la volontà alle cose della arte sola, si curava poco di sé e manco di altrui. E perché e’ non volle pensar già mai in maniera alcuna alle cure o cose del mondo, e non che altro, al vestire stesso, non costumando riscuotere i danari da’ suoi debitori, se non quando era in bisogno estremo”.
Masaccio - Trittico di san Giovenale - 1422
Cascia di Regello, Museo Masaccio
La sua prima opera certa è il Trittico di san Giovenale, del 1422 e destinato a una chiesa di Cascia di Regello, dove le figure energicamente costruite, la prospettiva del trono e alcuni particolari come il Bambino nudo che mangia un grappolo d’uva, ritorneranno anche nelle sue opere mature.
Si sa che collaborò con Masolino nella Sant’Anna Metterza, alla Galleria degli Uffizi, dove di sua mano sono la Madonna, il Bambino e l’angelo sulla destra.
Tra il 1425 e il 1426 dipinge il Polittico di Pisa per la chiesa del Carmine ma questa grande tavola fu smembrata e le numerose parti che la componevano sono sparse per tutta l’Europa.
Masaccio - Crocefissione - 1426
Napoli, Museo di Capodimonte
Straordinariamente drammatica è la Crocefissione, ora a Napoli nelle Gallerie Nazionali di Capodimonte, opera con cui Masaccio apre trionfalmente la vicenda della pittura rinascimentale, in cui il personaggio tragico della Maddalena ai piedi della croce è stata aggiunta di getto sovrapponendola a una precedente stesura.
Importantissima testimonianza della perfetta comprensione riguardo al nuovo concetto di spazio e frutto di collaborazione con Brunelleschi per quanto riguarda le architetture, è il monumentale e strepitoso affresco della Santissima Trinità in Santa Maria Novella a Firenze.
Si può solo immaginare lo stupore dei fiorentini quando apparve l’affresco che pareva aver scavato un buco nel muro per mostrare al di là una nuova cappella, che diventa quasi protagonista della composizione che preannuncia il Cinquecento.
Masaccio - Santissima Trinità
1427/1428
Firenze, Santa Maria Novella
 
Ma la grande opera di Masaccio è la continuazione degli affreschi che iniziò Masolino nella Cappella Brancacci in Santa Maria del Carmine a Firenze, a cui il giovane artista lavora tra il 1425 e il 1427 e, che alla sua morte, verranno terminati da Filippino Lippi oltre cinquant’anni dopo.
I suoi personaggi sono esempi di un’umanità del tutto nuova: avvolti in ampi mantelli le cui pieghe ricadono senza rigidezza, sostanziano e qualificano lo spazio in modo tale che la presenza di architetture negli sfondi non appare essenziale ai fini dell’organizzazione spaziale delle scene e la rappresentazione del reale, del miracolo inteso come momento significativo della storia, si arricchisce di un profondo contenuto etico in queste essenziali ‘prospettive figurate’.
Masaccio - Il pagamento del Tributo - 1425
Napoli, Museo di Capodimonte
Nel Pagamento del Tributo, una delle scene più famose di tutto il ciclo, il gruppo di apostoli si dispone intorno a Cristo secondo un modello circolare: tutta la scena appare intessuta di una tenue seppur eloquente trama di gesti e di sguardi tra le figure di statuario vigore, che sottolinea i diversi momenti dell’azione.
Masaccio - Resurrezione del figlio di Teofilo 
1425/1427
Firenze, Santa Maria del Carmine
 Cappella Brancacci
Nella Storia di Tabita, fa da sfondo una perfetta veduta cittadina con caseggiati quattrocenteschi, di una potenza evocativa di cui solo lui era capace.
Nel San Pietro che guarisce con l’ombra, nella Distribuzione dei beni, nella Resurrezione del figlio di Teofilo, la tecnica pittorica, basata sull’accordo dei toni e sul tenue svariare delle luci, raggiunge valori che anticipano i  pittori veneziani cinquecenteschi.
Masaccio 
La cacciata di Adamo ed Eva
dal Paradiso Terrestre
Firenze, chiesa del Carmine
Cappella Brancacci
L’opera di Masaccio influenzò e in certo senso determinò l’arte pittorica a lui successiva, dall’Angelico al Lippi, da Leonardo a Michelangelo, mentre le future generazioni di artisti la considerano fondamentale.
Tale modernità è ancora valida: le celeberrime figure ignude di Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso terrestre mantengono intatta la loro fenomenale efficacia.
Il contenuto etico e morale della pittura di Masaccio, che costruisce immagini grandiose di uomini degne dell’antichità storica, direttamente si innesta su una ricerca formale tesa non più alla gradevolezza della linea o del colore, ma al raggiungimento di strutture compositive e prospettiche di essenziale efficacia.
Noi abbiamo fatto in Masaccio una grandissima perdita”, dirà Filippo Brunelleschi alla notizia della dipartita del giovane e rivoluzionario pittore, indicando con quel ‘noi’ tutta la Firenze artistica del tempo.
Il lungimirante architetto comprendeva che molti anni sarebbero passati prima che sulla scena della pittura italiana apparisse un uomo capace di raccoglierne l’eredità.

domenica 11 giugno 2017

Il mio nuovo video su Gino Rossi


Gino Rossi è un pittore che amo moltissimo, sarà per la sua vita costellata di tragedie, sarà per la pietas che suscita la sua mente malata, sarà per i colori che usava, le linee morbide prima e poi via via sempre più tagliate con l'accetta.
Così ho fatto un video anche su di lui, con molte immagini, che trovate nel mio canale di YouTube a questo link: