sabato 23 maggio 2015

La Pubertà di Munch: l'essenziale in un quadro

EDWARD MUNCH - LA PUBERTA' - 1895
OSLO, GALLERIA NAZIONALE
A chi non è mai capitato di trovarsi davanti la propria figlia adolescente, con uno sguardo che dice tutto e il contrario di tutto, che vi mette ansia e in difficoltà  con il modo cui vi guarda, come se voi genitori foste la causa di tutti i suoi insopportabili malesseri esistenziali?
Penso che queste sensazioni non avrebbe potuto meglio esprimerle Edward Munch, ne la Pubertà, che l’artista norvegese dipinse nel 1895.
C’è soltanto l’essenziale: il letto, la ragazza  e la sua ombra sulla parete.
La figura è realistica, con piedi grossi e mani un po' arrossate, gracili, come di bambina, il petto e le braccia e piene, già di donna, come la curva delle anche e del bacino.
Il volto incerto e spaurito dice il suo turbamento per il mutamento che sente compiersi nel proprio essere, cosa che succede alle adolescenti di tutto l'universo, con tutti i problemi che questo cambiamento comporta, e relative e inevitabili crisi di nervi.
Realistica, anche se ingigantita, è l’ombra, giustificata dall’illuminazione frontale, che prende forma e incombe come un fantasma, ma di quelli cattivi e pericolosi però. 
Anche il letto è realistico: si vede l’impronta, par di sentire il tepore lasciato dal corpo, eppure allude a quelli che per Munch sono i due poli dell’esistenza: l’amore e la morte.
E quel senso d’ansia sospesa della figura nello spazio vuoto è il primo segno dell’influenza nell’arte della filosofia esistenzialista.
Tutto in questo dipinto – la fluidità delle linee, la scorrevolezza del segno, i colori forti – allude alla continuità del tempo, al trascorrere della vita, all’inarrestabilità del destino.
E come non mai, fissa in un'immagine il periodo più bello ma anche più travagliato dell'esistenza di una donna, con i suoi contrasti, le sue paure, le sue speranze, i suoi sogni.
Un periodo che mai dimenticherà e che a posteriori diventerà un ricordo meraviglioso, fatto a volte anche di rimpianti, ma indelebile e dolcissimo.

E questo è il link del  mio video sulla Pubertà di Munch:
https://www.youtube.com/watch?v=I22T6MYq5KE&t=13s

venerdì 15 maggio 2015

I Giocatori di carte di Cezanne: un quadro da scoprire

PAUL CEZANNE - LES JOUEURS DE CARTES - 1890/1895 - PARIGI, MUSEO D'ORSAY
Come conciliare l’attualità con l’apparente indifferenza di Cézanne verso i problemi sociali, tipici del suo tempo?
Chiuso nel suo studio, lontano dal mondo, non pensa che alla pittura, non lo sfiora il sospetto che nel problema generale della società si possa isolare un problema sociale.
Un solo quadro, in più versioni con i personaggi che da cinque scendono fino a due, sembra sfiorare l’argomento: Les joueurs de cartes, dipinto intorno al 1890.
Il tema è chiaramente di ispirazione caravaggesca e conferisce alla partita un carattere estremamente austero.
Con accenti diversi da quelli che poteva aver il primo Van Gogh, non sfugge neppure a lui la compostezza e la serietà
dei due contadini, che portano nel gioco lo stesso impegno e la stessa ritualità del lavoro.
Benché la posizione e i gesti delle figure siano perfettamente simmetrici e nei visi non vi sia la minima ricerca di espressione psicologica, Cézanne ha comunque espresso un rapporto tra i due giocatori, l’uno intento a scegliere la carta da giocare, l’altro in attesa.
La fissità del giocatore in attesa è definita dalla forma cilindrica del cappello che si ripete nella manica, dalla retta dello schienale della seggiola, dalle note bianche della pipa e del colletto: perfino la tovaglia rossastra sulla tavola cade a piombo dalla sua parte.
L’attenzione dell’altro è resa dai colori più chiari sensibili alla luce della giacca, del cappello, del volto e dall’andamento meno rigido, più ondulato, dei tratti.

Il divario tonale determina l’espandersi e il contrarsi del colore, fino al limite dove un’altra forma colorata lo blocca.
Ma questa partita, forse, poteva essere lo specchio di quella che stava giocando con il padre.
Una partita più seria: la lotta con il padre per far sì che  riconoscesse la sua pittura come qualcosa di veramente serio e importante.
Non sappiamo come andò a finire fra i due, ma certo è che la sua pittura la partita l’ha vinta.
Alla grande. 

sabato 9 maggio 2015

Le mani: lo specchio dell'anima

AUGUSTE RODIN - IL PENSATORE - 1902
BRONZO - PARIGI, MUSEO RODIN
Ci sono mani, piccole mani autonome che hanno vita.
Mani che si levano, irritate e rabbiose, mani le cui cinque dita sembrano abbaiare come le cinque gole di un molosso infernale.
Mani che camminano, che dormono, mani che si ridestano, mani delittuoso e che si sono accasciate in qualche angolo come animali malati e sanno che nessuno verrà loro in aiuto.
Ma le mani sono pur sempre un organismo complesso, un delta in cui molta vita confluisce da lontani origini per riversarsi nella grande corrente dell’azione.
Le mani hanno una storia, una cultura, una particolare bellezza, si concede loro il diritto di avere un proprio sviluppo, propri desideri, sentimenti, capricci e passioni”.
Così scriveva Rainer Maria Rilker (1875-1926) perchè le mani, forse ancor più degli occhi, sono lo specchio dell’anima.
Quelle appendici del nostro corpo, che siano affusolate, paffutelle o bruttine, dicono di noi e dei nostri sentimenti più di quanto si possa immaginare.
PITTURE RUPESTRI  - 40.000 ANNI FA
SPAGNA, GROTTE EL CASTILLO
Le nostre mani, e soprattutto le nostre dita, cambiano continuamente di tensione e di  posizione sia quando agiamo sia quando parliamo.
Articolazioni che riescono a generare ogni tipo di emozione o sentimento: paura, amore, ribrezzo, violenza, sottomissione, abbandono, aggressione, passione, sgomento, pace, sorpresa, desiderio, bisogno di sicurezza, disperazione.
E gli artisti ben lo sapevano, tanto che ne hanno fatto spesso il fulcro dei loro quadri, il centro visivo della scena.

L'ARRINGATORE
FINE II/INIZIO III SECOLO A.C
FIRENZE, MUSEO ARCHEOLOGICO
E’ dai tempi preistorici che le mani rappresentano quello che gli uomini hanno voluto lasciare come traccia del loro essere sulla terra.
Le pitture rupestri in Spagna di 40.000 anni fa ne sono un esempio fantastico.
Andando avanti con la storia, la scultura dell’Arringatore, ha nella mano destra, più grande dell’altra, il suo punto di forza, quel particolare da cui viene attratta l’attenzione.
L’artista anonimo l’ha voluta alzata a e aperta per intimare il silenzio e farsi ascoltare.
Quale altro gesto poteva essere così esplicito?
E in epoca bizantina, il Cristo benedicente, che sia una scultura o un dipinto poco importa, è un Cristo che per dare la benedizione lo fa con un gesto che più esplicito non si può: le due dita alzate, con un gesto forte, inequivocabile.
Per arrivare in tempi meno antichi, come non si fa a pensare al ritratto di Jacopo Strada di Tiziano? 
Lui, antiquario e collezionista, con le sue mani bene in vista tiene ben stretto il suo gioiello, una scultura antica, e lo fa con tale delicatezza che invece che marmo si ha l’impressione che la donna scolpita sia un’opera di cristallo.
TIZIANO VECELLIO - 1567
RITRATTO DI JACOPO STRADA
VIENNA, KUNSTHISTORISCHES MUSEUM
Che dire poi del florilegio delle 130 dita che appaiono nel Cenacolo di Leonardo, tutte dipinte attraverso il  gioco di sguardi dei protagonisti di quella cena che cambiò la vita del mondo?
Dopo tre giorni Gesù fu crocifisso, morì e fu avvolto in un lenzuolo, così raccontano  i Vangeli.
E sarà ancora aperta per poco la visione della Sacra Sindone a Torino: milioni di persone da tutto il mondo per vedere  quel lungo lenzuolo che, ci si creda o no, porta a tutti un’emozione indicibile nel guardare un uomo che subì tali violenze.
E le sue mani, incrociate, con i segni del sangue, esanime ed immobili, provocano una pietà struggente, forse proprio quella pietà di cui ora ci sarebbe proprio tanto bisogno.
Le mani sono loquacissime, lingue le dita, clamoroso il silenzio”.
E' quanto scriveva Aurelio Cassiodoro nel VI secolo dopo Cristo.
E come aveva ragione!
Possiamo guardare tanti dipinti, affreschi o sculture, sacre o profane non importa, ma le mani, tenere come quelle delle Madonne che stringono il bambino o folli come quelle dei dipinti di Van Gogh o Ligabue, sono sempre quel qualcosa in più che fa di un dipinto un capolavoro, o, al contrario, un opera inutile.
JACQUES-LOUIS DAVID - 1793
LA MORTE DI MARAT - PARTICOLARE
BRUXELLES, MUSEO REALE DELLE BELLE ARTI
 
E la mano esanime nella Morte di Marat dipinta da Jacques-Louis David?
Fu accoltellato da una donna, Charlotte Corday.
Ma quella mano, che ancora tiene la penna con cui scrisse la lettera tenuta nell’altra mano, ha fatto rabbrividire chiunque abbia visto il quadro, anche solo in fotografia.
E’ un quadro che raffigura la morte, in una drammatica solitudine che esplode in tutta la sua angoscia, e le mani sono le assolute protagoniste.
Nella danza balinese, attraverso la posizione delle dita, della mano e del polso, posizione che può essere keras (forte) o manis (delicato), tutto il corpo parla attraverso di loro, per esprimere sentimenti, che in qualsiasi continente siano, sempre esprimono l'idea della vita,  nel bene e nel male.

Mani che con i loro gesti fanno infuriare o intenerire, accendere di passione o di odio, illanguidire o intimorire, spaventare o tranquillizzare.
Ma mai lasciano indifferenti.
Come l'arte.