sabato 14 marzo 2015

Animali: storia, nomi, simboli


ALESSANDRO MAGNO SOPRA BUCEFALO A ISSO
100 a.C. - NAPOLI, MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE
Sarebbe cambiata la storia senza gli elefanti di Annibale, l’aspide di Cleopatra o le oche starnazzanti del Campidoglio?
Alessandro Magno sarebbe stato invincibile senza il cavallo Bucefalo?
E la letteratura?
Pagine indimenticabili da Omero, con il cane Argo morto per la gioia di rivedere Ulisse tornato dopo 20 anni, alle favole di Esopo con volpi, aironi ed agnelli fino  agli animali-metafora dell’Inferno dantesco o al mastino dei Baskerville inventato da Conan Doyle, papà di Sherlock Holmes.
Senza animali, cinema e tv avrebbero perso miti senza tempo come Lassie, Rin Tin Tin, o Furia per arrivare al mangia-panini Rex.
Ma con quale criterio si è dato il nome agli animali?
VINCENT VAN GOGH - MUCCHE  - 1883 ca.
L’origine di alcuni nomi è onomatopeica: l’upupa, il cuculo e la mucca devono il nome al verso che fanno.
Altri derivano dal modo di vivere: la nottola, il picchio o il formichiere e anche il golosissimo orso non sfugge a questa regola, infatti in russo significa mangiamele.
Curiosi sono i nomi di parentela come barbagianni, vale a dire zio Giovanni.
Emergono varie curiosità: la donnola, odiata dai villici per le razzie di galline, è chiamata con nomi di femmine giovani e belle come signorina, carina... e il motivo è cercare di ingraziarsela con lusinghe per evitare ulteriori danni.
In tutti i dialetti, a particolari animali a cui si dava valore religioso, vengono appioppati nomi tipo la gallinella di Dio per la coccinella, che peraltro è chiamata con più di cento nomi diversi, addirittura femminili quali Maria o Giovanna.
MICHELANGELO BUONARROTTI
IL PECCATO ORIGINALE - 1502
CITTA' DEL VATICANO - CAPPELLA SISTINA
Esistono infinità di credenze legate ai comportamenti degli animali: in Europa si crede che se la volpe fa il bagnetto ai suoi piccoli (cioè li lecca) verrà la nebbia, oppure se in una giornata di sole il gatto si lecca e si passa la zampa dietro le orecchie, verrà a piovere.
Chi ha mai ucciso un ragno di sera sfidando la scaramanzia o attraversato la strada subito dopo che è transitato un innocuo, magari spaventatissimo ma nerissimo gatto?
Di animali, naturale compendio dell’uomo, si è sempre parlato e scritto, da Aristotele, che guardava razionalmente a questo universo, ai trattati del Medio Evo, in cui si accostava un animale ad un simbolo.
STELE SEPOLCRALE DI LICINIA AMIAS - III SECOLO
ROMA, MUSEO NAZIONALE TERME DI DIOCLEZIANO
E’ un mondo affascinante e leggendario giunto fino a noi: il serpente come simbolo del male (non fu proprio quel rettile a spingere Eva a cogliere la vietatissima mela?), il pesce-acrostico simbolo di Gesù (ixzus in greco vuol dire pesce e le iniziali greche formano "Gesù Cristo figlio di Dio Salvatore"), la scimmia simbolo del peccato (perché poi se è così simile all’uomo...?) e la fenice che risorge dalle proprie ceneri, immagine della Resurrezione di Cristo.
Si parla di animali fantastici come l’unicorno ricordato da Marco Polo e riconosciuto dall’astuto veneziano come il rinoceronte, o il centauro che incontrò perfino Sant’Antonio Abate.
VITTORE CARPACCIO - 1502 - SAN GIORGIO E IL DRAGO
 VENEZIA, SCUOLA GRANDE DI SAN GIORGIO DEGLI SCHIAVONI
L’idea di una bestia strana, misteriosa ed inquietante sopravvive anche oggi: non si contano le ricerche per scovare Nessie, il mostro di Loch Ness, lo jeti o il lupo mannaro.
Per fortuna c’è ancora spazio per la fantasia positiva: Walt Disney ha fatto sognare milioni di bambini e non solo con i suoi personaggi così umanamente veri ma rigorosamente animali, da Topolino a Paperino all’orso Baloo, o Charles Schultz che ha invaso il mondo di intelligenza e ironia con Snoopy, il più atipico tra i fedeli amici dell’uomo.
 
Dedicato a tutti i miei amici di Google+ che amano gli animali

sabato 7 marzo 2015

Gino Rossi: la figura leggendaria del pittore folle

GINO ROSSI - PAESAGGIO AD ASOLO - 1912
Colto, raffinato, portato per gli studi letterari, nato a Venezia nel 1884 da una famiglia originariamente ricca, Gino Rossi, per completare la sua cultura lascia la laguna e, nel 1907, parte per Parigi.
I colori e le forme delle opere di Paul Gauguin lo stordiscono.
Decide di andare in Bretagna, seguendo così le orme di quel che poi sarà il pittore di Tahiti.
Tornato a Venezia, oltre a tante idee ed emozioni, porta con sé anche la sifilide, cosa non rara in quei tempi, che con il passare degli anni gli causerà epilessia, disturbi visivi e grande sofferenza psicologica.
Il suo primo successo lo deve alla mostra di
Ca’ Pesaro, il museo di arte moderna della città lagunare: è il 1910 e dall’anno successivo andrà a vivere nell’isola di Burano, quasi una sorta di esilio volontario, forse per il suo carattere schivo e taciturno, per il suo spirito polemico e aristocratico.
GINO ROSSI - PRIMAVERA IN BRETAGNA, L'ALBERO
TREVISO, MUSEI CIVICI
E di quel periodo sono i quadri più belli - paesaggi di Burano, della Bretagna, di Asolo, del Montello -  dall’esuberanza innata, con colori luminosi capaci di ricreare il fascino di luoghi visti attraverso occhi diversi.
Semplificò le immagini senza insistere sui particolari, ma con l’albero, che ritornerà anche in molti altri dipinti, che sembra nascondere un’anima.
Nel 1909 dipinge la Fanciulla del fiore, che lui considera la sua “poesia più bella”.
GINO ROSSI - 1909
FANCIULLA DEL FIORE
E’ il suo capolavoro: una ragazza imbronciata, con le mani grandi, un’immagine austera, impenetrabile, con la bellezza dei due vasi di fiori, messi lì, proprio all’altezza del viso, esaltati dal blu, ripensando a Gauguin, alle sue campiture piatte e alle sue forme sigillate.
E’ il periodo in cui matura la sua poetica delle figure senza paesaggi e dei paesaggi senza figure, come la Testa di pescatore o Descrizione asolana.
Nel 1912 torna a Parigi, espone insieme a Modigliani, ma al suo ritorno una delusione d’amore terribile: la moglie, Bice Levi Minzi, anch’essa pittrice, lo abbandona per lo scultore Oreste Licudis.
Nel 1916 parte per la guerra, ne vede gli orrori e la violenza, va a finire in un campo di prigionia.

Quando torna, è sconvolto.
La sua anima, troppo sensibile, non regge il peso dell’infelicità: “Ho perduto tutto … dovrò curare la mia salute. Ho sofferto tanta fame … tutte le sofferenze morali” scrive in una lettera nel 1918.


GINO ROSSI  - 1924
NATURA MORTA CON BROCCA
Come era cambiato lui, così era cambiata la sua pittura, che vira verso il cubismo, guardando alla lucida lezione di Cezanne, con il colore fantastico che vuole trascendere la realtà invece di raffigurarla.
Ecco allora Fanciulla che legge, Testa di ragazza o Natura morta con brocca, dove l’idea cubista viene declinata mettendo gli oggetti poggiati sul tavolo – pipa, bicchiere, brocca, portafrutta, busta, bottiglia – nell’omogenea atmosfera tonale del blu.
GINO ROSSI - 1926
IL CORTILE DEL MANICOMIO

Ma la vita di Gino è ormai in discesa: viene ricoverato nel manicomio di sant’Artemio a Treviso.
E’ il 1926 quando dipinge il suo ultimo, drammatico, solitario, quadro: Il cortile del manicomio.
Un'opera dai colori scuri, tristi, freddi, lontana anni luce dai primi paesaggi solari e allegri della Bretagna.
In quel cortile, visto dalla finestra di una camera immaginiamo orribile, Gino lancia il suo grido contorto e disperato di dolore.
Passerà ancora più di vent’anni girovagando da un manicomio all’altro, senza più toccare pennello e colori.
Morirà il 16 dicembre del 1947.
E come per tanti artisti sfortunati in vita - e il parallelo con Vincent Van Gogh viene spontaneo - la critica capirà, post mortem, la sua grandezza e il suo  straordinario contributo al rinnovamento dell’arte italiana.


Sul mio canale YouTube trovate anche il video con molte altre immagini:

lunedì 2 marzo 2015

Carpaccio e le mirabilanti storie di sant'Orsola

VITTORE CARPACCIO - 1490/95
ARRIVO DEI PELLEGRINI A COLONIA
VENEZIA, GALLERIE DELL'ACCADEMIA
Le storie che Vittore Carpaccio, nato a Venezia nel 1475 e morto nel 1525, raccontava con il pennello, non sono inventate, sono scritte nei libri, sono leggende, o meglio legenda, storie da leggere, di grande raffinatezza e autonomia, declinate in un’originalissima visione.
E’ anche straordinario che il ciclo con le Storie di sant’Orsola, commissionatogli dall’omonima Scuola e dipinte tra il 1490 e il 1495, su cui mi soffermerò, sia sopravvissuto integro nella sua città, alle Gallerie dell’Accademia, così come il ciclo di San Giorgio, dipinto tra il 1502 e il 1507, è ancora interamente nel suo sito originario, la Scuola di San Giorgio degli Schiavoni, sempre a Venezia.
Per Scuole, si intendono le confraternite laiche, ovvero associazioni di lavoratori, che avevano un santo patrono, da san Marco in giù, foraggiate dalle famiglie veneziane più importanti.
In breve i fatti, tanto per capire meglio anche come Carpaccio li ha raccontati.
VITTORE CARPACCIO - 149071495
LA PARTENZA DEGLI AMBASCIATORI
VENEZIA, GALLERIE DELL'ACCADEMIA
Orsola, una vergine principessa occidentale, sogna un angelo che la informa del suo prossimo sacrificio.
Invece di convolare a giuste nozze con il figlio pagano del re d’Inghilterra, raduna undicimila compagne come dame  di compagnia, va a Roma in pellegrinaggio dal Papa, ma, arrivata a Colonia, lei e le altre fanciulle furono sterminate da un esercito di Unni che assediavano la città.
Quindi, riceve la palma gloriosa del martirio.
Sono storie mirabolanti, improbabili e fantasiose, di santi e vergini, gli eroi eccellenti dell’epica cristiana.
Sono mito, racconto favoloso, proprio come le pitture che le descrivono, le interpretano, le illustrano.
Storie da guardare senza fretta, percorrendole avanti e indietro, soffermandosi sulle singole figure, sui dettagli, sui costumi, sui gesti, sulle scene.
I nove grandi teleri delle Storie di sant’Orsola, originariamente collocati intorno alle pareti della sala consiliare della Scuola, mostrano l’interesse che Carpaccio aveva per la pittura fiamminga, la cui contaminatio artistica con Venezia è evidente.

VITTORE CARPACCIO - 1490/1495 - IL COMMIATO DI SANT'ORSOLA
VENEZIA, GALLERIE DELL'ACCADEMIA
L’attenzione con cui il nostro cura i particolari è impressionante: dai libri nell’armadio aperto  ai vasi di fiori sul davanzale del Sogno di sant’Orsola, dagli intarsi in marmo a rilievo sulle pareti alle ghirlande vegetali che scendono dall’arco ne La partenza degli ambasciatori, dai tappeti persiani stesi lungo il percorso fatto da Orsola ne Il commiato di sant'Orsola fino ai bassorilievi marmorei sul palazzo di sfondo ne Il ritorno degli ambasciatori in Inghilterra
Non solo particolari però.
La pittura di Carpaccio è elegantemente sociale: le sue storie sembrano quasi delle fiabe in cui si riflette la vita veneziana dell'epoca.
Rappresentò una serie di arrivi e partenze in diverse forme rituali.
Si vedono ambasciatori andare e venire: arrivano presso una corte, poi se ne ripartono con gesti di deferenza per giungere a un’altra.
I personaggi sono creature pubbliche e molti di questi personaggi sono i ritratti della famiglia Loredan, che contribuì in modo determinante al finanziamento dell'opera.
E pubbliche sono pure le undicimila vergini – future martiri - al seguito di Orsola.
Il ciclo di sant’Orsola è anche una sorta di manuale per come rendere la folla.
VITTORE CARPACCIO - 1490/95 - IL RITORNO DEGLI AMBASCIATORI IN INGHILTERRA
VENEZIA, GALLERIE DELL'ACCADEMIA
Nel Ritorno degli ambasciatori in Inghilterra il pubblico è vasto, riunito a sinistra del tempietto, mentre altre figure affollano balconi e ponti, che, soffermandosi a guardare, rispecchiano una società ordinata, fiera del suo essere padrona del Mediterraneo, ricca (basta osservare i velluti degli abiti e il florilegio di marmi sparsi qua e là dappertutto), culturalmente elevata.
Non ultimo, era una società che teneva in grande considerazione le donne, che da altre parti, in quel periodo e anche dopo, non avevano certo l'importanza che avevano invece a Venezia, città da cui gli uomini si imbarcavano per mesi interi e le signore tenevano in mano, ben salde e in modo indipendente, le redini di affari e relazioni.
VITTORE CARPACCIO - 1490/95
IL SOGNO DI SANT'ORSOLA
VENEZIA, GALLERIE DELL'ACCADEMIA
Dettagli apparentemente insignificanti, come il cagnolino ai piedi del letto di sant'Orsola nella tela del Sogno o il bambino all’estrema sinistra che suona uno strumento a corde, nel Ritorno degli ambasciatori in Inghilterra, regalano animazione e spontaneità.
Sempre in questa tela, nelle piccole oasi di ‘non partecipanti’, vicino ai gradini del tempietto, è seduta soltanto una scimmietta mascherata e una faraona, simboli di stoltezza che rimarcano la cecità pagana del monarca e dei suoi sudditi.
E qui si potrebbe aprire un lungo discorso sugli animali simbolici, sulle metafore, sul contesto, sull’iconologia, sulle fonti, sulla committenza.
Un argomento che affronterò in un altro articolo: troppo lungo sarebbe farlo qui e ora.
Carpaccio, che John Ruskin, nel 1901, definiva “una specie di specchio magico, che riflette istantaneamente qualunque ordine di bellezza”, è uno scrigno magico, ancora da svelare completamente.
Ma i suoi misteri, meravigliosi e onirici, si possono guardare per ore e ogni attimo ci riservano una sorpresa memorabile ed inaspettata. 
 
Questo articolo, in forma più ridotta, 
è stato pubblicato anche sul sito Wall Street International