venerdì 27 febbraio 2015

Caspar David Friedrich: angoscia e speranza


CASPAR DAVID FRIEDRICH - 1809
MONACO SULLA SPIAGGIA - BERLINO, STAATLICHE
Caspar David Friedrich, nato nel 1774 in Germania, è sinonimo di solitudine, di angoscia e di morte, ma anche di fede, di speranza e di un arcobaleno la cui luce, parabola netta e folgorante, rompe l’oscurità e appare come un segno divino.
Sesto di dieci fratelli, dall’Accademia di Copenaghen si trasferisce a Dresda, e intorno al 1807 comincia a interessarsi al paesaggio, anche grazie al suo avvicinarsi al movimento romantico.
CASPAR DAVID FRIEDRICH - 1818
LE BIANCHE SCOGLIERE DI RUGEN
WINTERTHUR, FONDAZIONE REINHART
Il poeta Heinrich von Kleist, guardando il Monaco sulla spiaggia, del 1809, scriveva: “E’ meraviglioso spaziare con lo sguardo su uno sconfinato deserto d’acqua, in un’infinita solitudine, sulla riva del mare, sotto un cielo fosco. Con i suoi due o tre oggetti ricchi di mistero, il dipinto è simile all’Apocalisse”.
Già, perché i  paesaggi di Friedrich evocano il sublime, il misterioso, lo sconosciuto, l’infinito.
Lui ama rappresentare con uno stile preciso, lineare ed essenziale, illimitati paesaggi, spesso ancor più dilatati dal contrasto con alcune figure in primo piano, sempre comunque piccole rispetto all’intero dipinto.
Sentire e non solo vedere: per lui la natura è il riflesso del divino.
CASPAR DAVID FRIEDRICH - 1830/35
UN UOMO E UNA DONNA DAVANTI ALLLA LUNA
BERLINO, NATIONALGALERIE
Infatti, in tutti i suoi dipinti, gli oggetti sono segni, simboli di qualcos’altro: l’abete, che neppure d’inverno ingiallisce, è il simbolo del cristiano che spera, la quercia, invece, con la sua forma bizzarra e aspra, simboleggia la concezione della vita pagana, ed è quindi un simbolo negativo.
Eppure, tutto il suo simbolismo null’altro è che la profondità di sentimenti che lo lega alla Natura.
CASPAR DAVID FRIEDRICH - 1812
TOMBE DI ANTICHI EROI - AMBURGO, KUNSTHALLE
E’ proprio la sua religiosità, nonché il suo animo malinconico, a portarlo a vivere una comunione con lei, che non viene intesa nei suoi aspetti gioiosi quanto piuttosto in quelli più crepuscolari e misteriosi.
Non è un caso che questo lo spinga ad amare i tristi e nebbiosi paesaggi del nord Europa e a non mostrare alcun interesse per la nostra bella e solare Italia.
I suoi temi preferiti sono le nebbie, i tramonti, le rovine, i chiari di luna, il mare in tempesta, il silenzio e i cimiteri.
CASPAR DAVID FRIEDRICH - 1818
VIANDANTE SUL MARE DI NEBBIA
AMBURGO, KUNSTHALLE
Mai il sole, mai un albero fiorito, mai una scena che regali gioia.
Lui stesso si chiede come mai sceglie come soggetti la morte (aveva anche disegnato il proprio funerale), la caducità, le tombe e si dà anche la risposta: “Per vivere in eterno bisogna spesso abbandonarsi alla morte”.
Nonostante questa malinconica e romantica dichiarazione, la sua vita però è costellata di tranquillità e di un ascetico lavoro quotidiano.
Nel 1818 sposa Caroline Bonner che diventerà mamma di Emma e Agnese, e di quel periodo sono i suoi due dipinti più famosi: Le bianche scogliere di Rügen e Viandante sul mare di nebbia, che si può considerare come il manifesto del Romanticismo, con l’uomo solo, con tutta la sua illimitata caducità, di fronte all’infinito, anche se non sapremo mai se quel solitario essere troverà la sua felicità e la sua pace.
CASPAR DAVID FRIEDRICH - 1818
DONNA AL TRAMONTO - ESSEN, MUSEUM FOLKWANG
Dal 1824 però la sua opera pittorica inceppa in una malattia, di cui non si è mai saputa la vera natura, che spesso gli impedisce di dipingere.
Questo non poter star dietro sempre ai suoi adorati pennelli, lo immalinconisce sempre di più.
Ma Caspar David era comunque un tipo tosto, abbattuto ma non sconfitto, e  intorno agli anni Trenta realizza alcuni straordinari dipinti come Mattino di Pasqua, Un uomo e una donna davanti alla luna, La grande riserva, che per la particolare sensibilità cromatica e l’intima armonia compositiva, segnano l’apice della sua produzione tarda.
Dal 1835 la malattia, a cui si aggiunge anche un infarto, gli impedirà di dipingere del tutto, fino alla morte, che arriva inesorabile il 7 maggio del 1840.

Questo articolo è dedicato con affetto a
Ada e Vittorio Bovienzo


martedì 24 febbraio 2015

Francesco Paolo Michetti: la fotografia in aiuto della pittura

FRANCESCO PAOLO MICHETTI
AUTORITRATTO - 1888
Doveva tenerci davvero tanto Francesco Paolo Michetti, nato a Tocco da Casauria in Abruzzo nel 1851, a questo suo autoritratto.
E’ il 1888, a Roma, solo, senza la sua famiglia, e, aspettando di ritrarre la regina Margherita e il re Umberto I,  passa il tempo ritraendosi, a mezzo busto, con una sorta di fez nero schiacciato in testa, una camicia bianca a mezzo collo abbottonata, coperta da una giacca marrone che si confonde con lo sfondo.
Occhi neri, barba e baffi ben visibili tendenti al rosso, una posa semi rigida, nessun accenno di sorriso, anzi una velata malinconia.
E arriva la notizia che è diventato padre per la prima volta.
E’ nato infatti Giorgio Aurelio Carmelo.
E’ così felice che, con orgoglio molto paterno, scrive sul quadro la dedica al suo primogenito, che non ha ancora avuto modo di conoscere.
Decide quindi che quel quadro, con l’immagine di un padre che sa già quanto amore darà a questa sua creatura, sarà il regalo per il ventesimo compleanno di Giorgio.  
Un tipo  strano Francesco Paolo, un vero innovatore, precisissimo, sistematico, direi quasi maniacale, innamorato a dismisura della sua terra e della sua famiglia e un artista sui generis, visto che da subito vendette i suoi quadri a prezzi altissimi, senza aspettare fortune postume, come accadde a tanti suoi colleghi.
Ed è proprio della sua particolarità nella gestazione, quasi antropologica direi, dei dipinti che vi voglio parlare.

FRANCESCO PAOLO MICHETTI - LA PROCESSIONE DEL CORPUS DOMINI - 1877
Nel 1877, alle Esposizioni di Belle Arti di Napoli aveva presentato il dipinto La processione del Corpus Domini, un soggetto, che declinato in varie tipologie, lo interesserà fino al 1900.
Per realizzarlo, compie lunghe campagne fotografiche – catalogate meticolosamente nel suo immenso archivio di Francavilla – per fermare sul negativo le innumerevoli tipologie umane, dai contadini agli oranti, dai bambini alle donne, e le loro altrettanto innumerevoli espressioni, dal riso al pianto, dalla gioia alla melanconia. 
FRANCESCO PAOLO MICHETTI - FOTOGRAFIA
BAMBINA ABRUZZESE
Con queste sue ricognizioni fotografiche, riesce ad entrare nel vero sentire dei significati dei riti religiosi, dando spazio anche a quel che di pagano rimaneva da antichissime usanze.
Il suo non era solo un interesse etnografico ma quasi matematico: voleva carpire ogni segreto, sia dei movimenti di massa, sia dei singoli personaggi.
E per arrivare a un risultato perfetto, dopo aver scattato, sviluppato e catalogato le fotografie, da loro ne ricavava dei veri plastici – di cui rimangono testimonianze - scolpendo ogni singola figura, le colline o gli animali, per poi assemblarli, studiarli nuovamente proiettando il tutto per avere un’immagine tridimensionale e quindi passare al lavoro con i colori, prima con infiniti bozzetti e studi per arrivare finalmente alla tela definitiva.
FRANCESCO PAOLO MICHETTI
FOTOGRAFIA
DONNE ALL'USCITA DELLA CHIESA

Un lavoro di intendere la pittura assolutamente innovativo, specialmente per l’aspetto riguardante la cinetica, il movimento dei corpi e il loro andamento, che, se guardato con gli occhi del futuro, appare come una sorta di film, impostato fotogramma per fotogramma, fino a diventare un’unica grande storia.
Con la fotografia “carpiva alla natura più di un segreto”, sosteneva Michetti, tanto che da questa sua ricerca iconica deriva una nuova visione dell’arte e della vita, il che sfociò in una vera e propria svolta nel suo cammino artistico.
FRANCESCO PAOLO MICHETTI
LE SERPI - PARTICOLARE
Una scelta intellettuale che andava nella direzione della fusione delle arti, senza che l’una fosse meno o più importante dell’altra.
Non solo fotografie: innumerevoli sono anche i disegni preparatori, specie dei quadri della serie delle processioni.
Disegni dal tocco veloce e sicuro, dalla pennellata impressionista ravvivati da improvvisi schizzi di bianco, su cui scriveva numeri e simboli che rimandavano all'archivio fotografico non sempre comprensibili con facilità: il numero 20 identificava le processioni, il 16 le fiere, il 23 i modelli, il 136 il cielo, mentre la lettera U definiva il dipinto Le Serpi.

FRANCESCO PAOLO MICHETTI- DISEGNO PREPARATORIO PER LE SERPI
COLLEZIONE PRIVATA
Era il 1900 quando Michetti presentò la grande tela de Gli Storpi all’Esposizione Universale di Parigi.
E' stato anche ipotizzato che, in un primo momento, Michetti finalizzasse la raccolta di tutto quel materiale per illustrare un capitolo de Il trionfo della morte del suo amico fraterno D’Annunzio dedicato per intero al pellegrinaggio degli storpi.
FRANCESCO PAOLO MICHETTI
DISEGNO PREPARATORIO PER GLI STORPI
COLLEZIONE PRIVATA
Il soggetto, di per sé drammatico, non  provoca invece nella lettura che di esso ne dà Michetti, nessuna sensazione di ribrezzo o di fastidio, quasi che la lunga elaborazione lo abbia portato ad una visione contenuta e piuttosto distaccata.
Lavorò anni per progettarle, andando di persona all’omonima processione di Casalbordino, ricavandone schizzi di varia natura, e realizzando un’imponente repertorio fotografico, fermando con lo scatto i momenti più salienti del corteo, dalle soste al desinare.
A Chieti, intanto, era nato il sodalizio con Gabriele D’Annunzio che nel 1889 gli dedicherà Il piacere, e  lì crea il cosiddetto Cenacolo di Francavilla, con un sempre crescente interesse alla fotografia intesa come un’analisi scientifica della realtà.
Nel 1895 la prima edizione della Biennale di Venezia gli aveva conferito un premio di 10.000 lire per La figlia di Jorio, facendo rimanere proprio male Giovanni Boldini, che arrivò solo secondo.
Per l'omonima tragedia di D'Annunzio, Michetti fece anche i costumi e le scenografie.

FRANCESCO PAOLO MICHETTI - LA FIGLIA DI JORIO
PESCARA, PALAZZO DELLA PROVINCIA

L’attenzione che Michetti riservò alla spiritualità del mondo contadino resterà sempre patrimonio etnografico prezioso.
Amava questo mondo lontano in qualche modo dalla civiltà che negli anni in cui visse andò a una velocità prima inimmaginabile, quasi volesse fermare sulle tele quel qualcosa e quei qualcuno che un domani, forse, sarebbero spariti per sempre.


 Questo articolo è dedicato con simpatia a
Barbara Silvestri e Francesco Atticciati
 
Per chi volesse visitare i luoghi abruzzesi così cari a Michetti, consiglio questo sito:http://www.easyholidays.it/salinello-tortoreto/

martedì 17 febbraio 2015

Patrimonio artistico: se non ci fossero i privati...

REALE TENUTA DI CARDITELLO - SAN TAMMARO - CASERTA 
Diciamo la verità.
Le istituzioni che dovrebbero tutelare e valorizzare il nostro straordinario, irripetibile, unico e meravigliosamente variegato patrimonio artistico, fanno poco o niente, i ministri parlano, parlano, parlano, ma non agiscono mai.
Non capiscono che l'arte è la nostra ricchezza, ne abbiamo a bizzeffe e dappertutto, e potrebbe essere fonte di lavoro infinito.
Non capiscono neanche, però, che bisogna accudirla come si fa con un bambino.
Loro parlano e riparlano. E basta.
URNA DI ARNTH VELIMNA - II SECOLO A.C.
IPOGEO DEI VOLUMNI - PERUGIA
E i risultati purtroppo si vedono con un chiarezza allucinante: Pompei cade melanconicamente e costantemente a pezzi, la Real tenuta di Carditello, in provincia di Caserta, è un gioiello abbandonato e sepolto dai rifiuti, l’Ipogeo dei Volumni, stupendo sito etrusco funerario, vicinissimo a Perugia (vale un viaggio!) è praticamente introvabile: mancano le indicazioni per arrivarci.
L'elenco completo delle opere, dei siti archeologici e dei monumenti in degrado o a rischio distruzione, è lunghissimo nonché tristissimo come un elenco telefonico.
NUOVO CROLLO A POMPEI
Quindi lo Stato chiede, elemosinando senza ritegno in maniera vergognosa, aiuto alle varie e benemerite associazioni, per fortuna molte, come il Fai o Italia Nostra, a qualche rarissimo imprenditore-mecenate e ai privati cittadini.
Su uno di questi, voglio raccontarvi una storia di qualche anno fa, a lieto fine come le favole, con protagonisti una secolare istituzione religiosa, il capolavoro di una grande artista e un signore straordinariamente colto ma dannatamente e simpaticamente cocciuto.
Era un torrido mercoledì di giugno quando il signore di cui sopra si trova a Milano e, terminati i suoi impegni, si fionda alla Pinacoteca Ambrosiana.
CARAVAGGIO - CANESTRO DI FRUTTA - 1559
MILANO, PINACOTECA  AMBROSIANA
Scendendo lo scalone pensa bene di alzare la testa e riguardare Il riposo durante la fuga in Egitto che Jacopo Bassano dipinse nel 1548 e fu poi acquistata nel 1612 dall’allora parroco del Duomo di Milano, che ne fece dono al cardinal Federico Borromeo, che la inserì nella collezione della nascente Pinacoteca Ambrosiana.
Un quadro meraviglioso in una posizione davvero sfigata.
Già, perché il poverino è in mezzo al triangolo del sublime: il Ritratto di musico di Leonardo, il cartone della Scuola di Atene di Raffaello e il Canestro di frutta di Caravaggio.
Il signore di cui sopra - l’antiquario Pietro Scarpa di Venezia - lo scruta e ha un colpo al cuore: la tela è accartocciata, il colore si stacca, le vernici ottocentesche lo immiseriscono.
RAFFAELLO - CARTONE DELLA SCUOLA DI ATENE - 1509
MILANO, PINACOTECA  AMBROSIANA
Il buon Pietro si offre per restaurare il quadro a sue spese.
Dopo sei mesi il dipinto è al laboratorio di restauro di Serafino Volpin ad Arre di Padova.
Fino a qui sarebbe una bella storia di mecenatismo e amore per l’arte e basta.
Invece no, la favola, continua.

JACOPO BASSANO - IL RIPOSO DURANTE LA FUGA IN EGITTO - 1548
MILANO, PINACOTECA AMBROSIANA

Il piccolo Gesù gioca come un bimbo qualsiasi con il velo straordinariamente trasparente della mamma, con a fianco un Giuseppe esausto che lo guarda senza più neanche fiato per dirgli una parola affettuosa.
Con il restauro, si possono di nuovo  vedere le pennellate sfrangiate, la cromia originale, i lampi di luce, i pastori, l’asino, i cani e la Madonna di una bellezza incredibile visibile grazie alla pulitura che ha eliminato antichi interventi, sporco, polveri e vernici, e all’integrazione di lacune - molte ma di piccola entità - dovute al distacco della materia pittorica.
Il riposo durante la fuga in Egitto è stato esposto alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia, proseguendo così la pluridecennale collaborazione con gli Scarpa.
Ed è questo l’aspetto straordinario: l’Ambrosiana, per il suo statuto secolare, non ha mai concesso a nessuna opera di uscire dalle sue mura, nemmeno per mostre importantissime curate dai massimi storici dell'arte.
Pietro Scarpa ci è riuscito.
E non solo.
E' riuscito a salvare un quadro nato nella sua terra e farlo rimanere patrimonio dell'Italia intera.
Morale della favola: amare l’arte crea emozione, riuscire a farla sopravvivere scalda l’anima.