sabato 10 gennaio 2015

Venezia e San Pietroburgo: un'incredibile storia di altri tempi


RITRATTO DI PIETRO IL GRANDE
PAUL DELAROCHE - 1838
È la notte tra il 28 e il 29 luglio del 1698 e un misterioso personaggio vestito alla schiavona, con un gruppetto di accompagnatori al seguito, si aggira per le calli veneziane.
Di lui sappiamo il nome, Alekseevič Michajlov.
E da quel viaggio notturno, quasi per magia, una città prenderà forma.
Una forma particolare, del tutto simile a Venezia, tanto che guardandone la pianta rovesciata la similitudine è così evidente che lascia senza fiato.
PIANTA DI VENEZIA


PIANTA DI SAN PIETROBURGO

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Sveliamo il mistero: quel russo altri non era che lo zar Pietro I il Grande che viaggiava in assoluto incognito, con un gruzzolo di oltre 500 monete d'oro, e la città è San Pietroburgo, la creatura urbanistica  nata per  volere dello zar di tutte le Russie, geniale e spietato, romantico e sanguinario ma che amava Venezia così tanto da volerla riprodurre e immortalarla con il suo nome.
E il viaggio misterioso di Pietro non è l'unica novità nei rapporti fra le due città: il violinista che fa la spola tra San Marco e il Palazzo d'Inverno, che ora è l'Ermitage, trafficando in opere d'arte e riempiendo i palazzi russi di capolavori veneziani, Giacomo Casanova che tornando dalla città dello zar, in una via diventata ormai frenetica, incontra e abbraccia più volte Baldassare Galuppi alla frontiera, che là anche lui andava con tanto di virtuosa al seguito.
                        SAN PIETROBURGO - ERMITAGE
                                  SALA DEL PADIGLIONE
O ancora Francesco Algarotti che si imbatte in uno degli ultimi maestri d'ascia che lo zar fece venire nel 1697 dalla laguna per costruire la propria flotta di 130 galee, una enormità se si pensa che solo pochi anni prima la Russia non aveva neanche una scialuppa sul Baltico.
Gli zar di San Pietroburgo avevano un interesse antico per l'arte veneziana: il soffitto dell'Ermitage fu affrescato da Francesco Fontebasso, chiamato dall'imperatrice Elisabetta al posto di Giambattista Tiepolo che voleva per quel lavoro 5.000 zecchini, evidentemente troppo anche per la zarina.
GIORGIONE - 1504
GIUDITTA CON LA TESTA DI OLOFERNE
SAN PIETROBURGO, ERMITAGE
 
 
E ancora scultori e architetti, come quel Domenico Quarenghi la cui moglie partorì durante il viaggio, che progetta il teatro dell'Ermitage o per i soffitti della dimora che diverrà la dacia personale di Caterina II si scelgono quelli dipinti dai veneti Guarana, Diziani, Pittoni e Maggiotto, oltre quello realizzato da Tiepolo, irrimediabilmente perduto durante la seconda guerra mondiale e noto solo per i disegni del figlio Giandomenico.
Non solo soffitti e affreschi.
Sono centinaia i dipinti veneziani che fan bella mostra sulle pareti del museo della città russa, arrivati lì da ogni dove, direttamente commissionati agli artisti o comprati attraverso mediatori, qualche volta con un bel colpo di fortuna.
Come successe con il prezioso carico che arrivò a San Pietroburgo il 6 novembre del 1772.
Eccolo l'altrove di Venezia, una montagna di dipinti dalle firme a cui non servono commenti: Giorgione, Tiziano, Veronese e Tintoretto, Lorenzo Lotto e i Bassano.
A loro, giusto per non scendere di tono, si affiancano Raffaello e Rembrandt, Bernardo Strozzi, i Carracci e Rubens, Van Dick e Boucher.
A godere di tanta bellezza la zarina Caterina II, malata di collezionismo tanto da dettare regole ferree per chi andava con lei a visitare «l'Eremitaggio»: depositare all'ingresso spade e cappelli, ma «anche gradi, ambizioni e faziosità», non discutere con toni irati ma parlare con moderazione e a voce bassa «per non creare emicranie», non sospirare o sbadigliare e badare ai fatti propri.
LORENZO LOTTO - 1530 - RITRATTO DI GENTILUOMO
SAN PIETROBURGO, ERMITAGE
Punizioni severe per chi sgarrava, però ne valeva a pena.Il nucleo fondante del più importante museo russo era proprio quello, comprato dagli eredi del ricchissimo finanziere francese Pierre Crozat, morto nel 1740.
Fu proprio la zarina a vincere le difficili trattative per quell'acquisto così importante, con un contratto che per 460.000 livres assicurava alla Russia quadri straordinari, irripetibili e molto, molto veneziani. 

martedì 6 gennaio 2015

Rubens, il trionfo del Barocco


PIETER PAUL RUBENS - 1623
AUTORITRATTO
WINDSOR CASTLE, ROYAL COLLECTION
Quella di Pieter Paul Rubens è stata una vita intensissima che ha dato frutti immensi.        
Metodico e preciso quasi come  Kant sulle cui abitudini ci si poteva quasi regolare l’orologio, molto laborioso, diplomatico, marito e padre affettuosissimo, imprenditore di sé stesso, fu lui a far esplodere il Barocco.
Pieter Paul nasce a Siegen, in Germania, il 28 giugno del 1577, esule dalla sua Anversa, terra fiamminga  travagliata e semi distrutta dalla guerre di religione.
Vicissitudini  familiari che paiono un romanzo d'appendice lo riportano a casa, dove decide di rimanere per dare il suo contributo alla restaurazione della sua città, che appariva in quegli anni come un grande deserto, semidistrutta dopo le guerre di religione.
Il ragazzo ha talento: impara cinque lingue, poesia, letteratura e arte.
Va a bottega da un modesto pittore poi fa il tanto agognato viaggio in Italia, per aprire nuovi orizzonti e trovare una carriera folgorante.
E così è stato. Ma non solo.
PIETER PAUL RUBENS - 1623
DEPOSIZIONE DALLA CROCE
ANVERSA, CATTEDRALE
Con lui il barocco trionfa, i colori e le carni esplodono, l'enfasi dei personaggi, la ricchezza delle forme, l'opulenza delle sue donne formose, i ritratti più vivi che mai e la ridondanza delle scene sono l'unica strada da seguire.
Diventa pittore di corte dei Gonzaga a Mantova.
Il primo importante passo è stato fatto.
Da lì in avanti saranno solo successi.
Il suo stile, molto caratteristico, è basato sull’ampio dilatarsi delle figure nello spazio e nella ricchezza del colore.
Il trittico della Deposizione dalla croce, una delle opere più emozionanti della pittura sacra barocca, è il riassunto di tutte le esperienze giovanili ma anche l’avvio di una carriera rapidissima.
Il successo non lo ha cambiato: rimane generoso, affabile, saggio, buono e con una forte dose di diplomazia.
Nel 1618 dipinge un vero capolavoro: il Ratto delle figlie di Leucippo.
PIETER PAUL RUBENS - 1618
IL RATTO DELLE FIGLIE DI LEUCIPPO
 MONACO, ALTE PINAKOTEK
Tutto ruota, ma in perfetto equilibrio, come fosse un colossale meccanismo.
E’ uno dei vertici assoluti della pittura mitologica, declinata come ondata sensuale di forme e di colori: i nudi prosperosi delle ragazze accolgono la luce diffusa del sole e Rubens gioca con i suoi riflessi, mentre i cavalli aggiungono un brivido animalesco, un fremito bestiale.
Ma il destino è sempre in mezzo e il 20 giugno del 1626 muore l’amatissima moglie Isabella.
Sembra un colpo duro da sopportare, ma nel dicembre del 1630 sposa la diciassettenne Elena Fourment, dando adito a mille e più pettegolezzi, visto che lui ha già 53 anni.

PIETER PAUL RUBENS - 1639/1640
RITRATTO DI ELENA FOURMENT
L'AJA, MAURITSHUIS









Però per lui è un’esperienza travolgente e la bellezza carnale della bionda Elena sarà presente in molti suoi quadri.
Oramai famosissimo, il pittore più richiesto d’Europa da molte teste coronate, letteralmente sommerso dagli impegni, Rubens riesce a soddisfare tutte le richieste grazie ad un atelier organizzatissimo e grandioso.
Nella sua casa di Anversa, luminosa e ampia, oltre alla sua enorme collezione di quadri e sculture, lavoravano molti artisti, che si suppone fossero almeno un centinaio, ed è la più grande fucina del barocco, da dove passarono tutti i più importanti pittori fiamminghi.
Certo  è che la sua officina sfornava opere di continuo, pagate molto ma molto bene, e  lui, onesto, ammetteva i molti interventi della bottega.


PIETER PAUL RUBENS - 1606
RITRATTO DI GIOVANNI CARLO DORIA
GENOVA
 GALLERIA NAZIONALE PALAZZO SPINOLA
Non avrebbe potuto fare altrimenti: la sua fama è dovuta a opere di dimensioni  notevolissime, a grandi cicli pittorici e migliaia di dipinti.Da solo non ce l'avrebbe mai fatta, neanche fosse vissuto trecento anni.
C’era chi si occupava dei paesaggi, delle nature morte, delle architetture, di dipingere quel che lui con il suo genio abbozzava.
Rubens muore il 30 maggio del 1640 e lascia alla moglie e ai figli la sua collezione di 314 quadri tra cui Tiziano, Tintoretto, Bruegel, Van Dick, che, messa all’asta, frutterà l’eccezionale somma di 70.00 fiorini, oltre ai 400.000 fiorini degli altri beni.
L’eredità più cospicua però l’ha lasciata a noi: la sua pittura barocca, con buona pace degli aiuti, lascia senza fiato.

venerdì 2 gennaio 2015

Michelangelo: genio solitario e scorbutico

MICHELANGELO - LA PIETA' - 1498
CITTA' DEL VATICANO, BASILICA DI SAN PIETRO
Quattro ore prima dell'alba di lunedì 6 marzo 1475, a Caprese nei pressi di Arezzo, nacque Michelangelo Buonarroti, destinato a esercitare con il suo genio un influsso di inestimabile portata. 
Vuole a tutti i costi fare lo scultore: per lui l’immagine si trova già allo stato potenziale dentro il blocco di marmo grezzo e lo scultore deve solo liberarla asportando la materia superflua.
Il suo destino era evidentemente già segnato su qualche fulgida stella: va a balia da una famiglia di scalpellini, di cui si ricorderà per sempre.
Asseriva infatti di aver succhiato con il latte di lei "gli scalpelli e il mazzuolo".
E la sua strada, solitaria ma colma di gloria può iniziare.
MICHELANGELO
DAVID - 1501
FIRENZE
PIAZZA DELLA SIGNORIA
Come tutti a quell'epoca, si trova un protettore, nella fattispecie Lorenzo il Magnifico e a diciassette anni è già famoso.
Ma lui, spirito geniale ma intuitivo, capisce che la situazione fiorentina va verso la decadenza e lascia la città: comincia la vita errante da vero artista rinascimentale.
Alla fine del secolo da Firenze va a Roma dove nasce il primo dei suoi capolavori: ha ventitré anni quando scolpisce, o meglio, tira fuori la Pietà dal marmo, opera esemplarmente cristiana che riprende audacemente il tema gotico e nordico della salma del Cristo adagiata in grembo alla Madonna come fosse un bambino che dorme, e lei è giovane, come quando Cristo era bambino, e sembra quasi che voglia sussurrargli una ninna nanna.
Del 1501 è di nuovo a Firenze e nasce il David, dove riesce a rendere vivo il  movente morale del ragazzo, la tensione interiore che precede lo scatto del gesto e non l'azione vera e propria.
Difficile operazione, considerato che il pezzo di marmo era già stato abbozzato da altri, ma lui riesce comunque a tirargli fuori quel che voleva.
Torna a Roma per servire il papa in persona, Giulio II Della Rovere, vecchio e formidabile pontefice dall’anima guerriera, di cui si diceva avesse gettato nel Tevere le chiavi di San Pietro per tenere solo la spada di San Paolo.
MICHELANGELO - 1513/15 MOSE' - PARTICOLARE
ROMA, TOMBA DI GIULIIO II
 BASILICA DI SAN PIETRO IN VINCOLI
Gli affida il proprio monumento funebre e Michelangelo va di persona a scegliere i marmi a Carrara.
Ma questo monumento da cui attende la gloria, sarà invece la tragedia della sua vita, perché tra modifiche, rinvii e discussioni con il papa, andò avanti 40 anni per poi concludersi con una soluzione di ripiego.
Fece il Mosè, grandiosa scultura di uomo forte e vigoroso, un soggetto a lui molto caro.
Mai fece donne esageratamente femminili - se si esclude la Madonna nella Pietà, dolcissima figura di madre che lui non aveva quasi conosciuto - preferiva ritrarre uomini giovani e virili, potenti nella loro immobilità, da qui anche le chiacchiere sulla sua presunta omosessualità.
Ma Michelangelo era più forte delle chiacchiere, il suo genio se ne faceva un baffo degli stolti che sparlavano di lui. 
Il pontefice guerriero gli affida quindi la decorazione della volta della Cappella Sistina, un lavoro titanico, 40 x 13 metri a 20 di altezza, che inizia nel 1508: “Io sto qua in grande affanno e con grandissima fatica di corpo e non ho amici e non ne voglio”.
MICHELANGELO - VOLTA DELLA CAPPELLA SISTINA - LA NASCITA DI ADAMO - 1508/1512
E' l'opera che più di tutte lo rappresenta: un immenso affresco in cui immettere le balenanti visioni bibliche savonaroliane, la sua percezione della Fede, dei Profeti e della creazione dell'uomo con Dio inserito in quel che pare la sezione di un cervello.
La verità è che accettò l’incarico contro voglia, ma non solo.
Sostituì lo schema già deciso dal papa con il suo, ben più complesso, il che volle dire litigate furiose con Giulio II.
E' la sua straordinaria rivoluzione, di portata epocale.
MICHELANGELO
VOLTA DELLA CAPPELLA SISTINA
IGNUDO, PARTICOLARE
Per la prima volta la concezione dottrinale è dell’artista e l’architettura dipinta non è solo cornice ma parte integrante dell’opera.
Il collerico Giulio II lo fa impazzire: sale sui ponteggi e lo minaccia col suo bastone infuriandosi per un lavoro che non aveva mai fine.
Ma il 31 ottobre 1512 la volta terminata svela agli occhi di tutti le sue terribili storie bibliche e le figure di Sibille e Profeti affacciati sull’abisso del futuro con colori forti, decisi, come sculture dipinte.

MICHELANGELO - 1559ca
PIETA' RONDANINI
PARTICOLARE
MILANO, CASTELLO SFORZESCO






Polemiche a non finire, ma vinse lui, a dispetto di chi diceva che non era capace a dipingere ad affresco, delle invidie degli altri artisti e malgrado il suo temperamento tempestoso e tormentato.
È il 1520 e nella tecnica del "non-finito" immette in maniera drammatica l’angoscia dell'artista per la condizione umana, l’ossessione del peccato, della morte, la speranza della salvezza e della liberazione, tutte le sue angosce, le sue ansie e le sue pulsioni, trovando il culmine nella struggente Pietà Rondanini, il suo testamento spirituale a cui era ancora la lavoro nei giorni precedenti la morte.
Le ultime opere monumentali, il Giudizio Universale, la cupola di San Pietro e Piazza Campidoglio, iniziano nel 1534 ma lui ha quasi sessant’anni, è stanco e ossessionato da pensieri di morte.
Dopo una vita intera passata senza un vero amore, chiuso nel suo essere scorbutico e sdegnoso, il terribile vecchio incontra, nel 1537, la donna della sua vita, Vittoria Colonna, l’unica capace di spezzare il cerchio della sua solitudine spirituale non con un vero amore, di cui però ne ha tutta la dolcezza, ma con una profonda amicizia.
Lei morirà dieci anni più tardi, provocandogli un enorme dolore e lasciandolo nuovamente solo a combattere contro i fantasmi della solitudine. 
Michelangelo muore a Roma il 18 febbraio 1564 a 89 anni e il nipote di nascosto trasportò a Firenze il suo corpo, dove gli fecero solenni funerali di stato.
Il suo corpo è sepolto a Firenze a Santa Croce  ma il suo spirito è vivo più che mai e rinasce ogni volta che qualche piccolo, insignificante umano muove lo sguardo verso una delle tante incredibili meraviglie nate dal suo cuore, dalla sua mente e dalle sue mani.