mercoledì 10 dicembre 2014

Andy Warhol, la banalità di un mito

ANDY WARHOL
SIX SELF PORTRAITS - 1986
Andy Warhol, il guru della Pop Art, nato il 6 agosto del 1928 da due immigrati slovacchi, non mi è mai piaciuto.
In ogni caso “vale”, permettetemi le virgolette, milioni di dollari.
Dopo gli anni Cinquanta, in cui lavorò come grafico pubblicitario, intorno al 1960 inizia a riprodurre la realtà americana in maniera seriale e ripetitiva: dai personaggi dei fumetti alle zuppe Campbell’ in scatole, dai dollari ai volti delle icone del suo tempo come Marilyn Monroe o Elvis Presley ripresi dalle loro fotografie più famose.
ANDY WARHOL - CAMPBELL'S
I critici dell’arte contemporanea (dotati di molta fantasia ma cosa altra rispetto agli storici dell’arte) dissero che Warhol prendeva le distanze da individualismi e interiorizzazioni e dall’idea romantica dell’artista demiurgo.
Tant’è.
ANDY WARHOL - COCA COLA
Inizia a serigrafare su tela immagini preesistenti, per lo più fotografie estrapolate dai mass-media.
Ritraeva ciò che si vede ogni giorno e, soprattutto, quello che diventava oggetto di devozione collettiva,  perché per lui l’arte era da consumarsi come qualsiasi prodotto, che fosse una bottiglietta di Coca Cola, una salsa di pomodoro o un fustino di detersivo.
La ragione per cui dipingo in questo modo è che voglio essere una macchina. Tutto quello che faccio lo faccio come una macchina, ed è quello che voglio fare. Questa è probabilmente una delle ragioni per cui lavoro su una serigrafia: penso che chiunque dovrebbe essere in grado di dipingere ogni mio quadro al posto mio. Non sono mai stato capace di riprodurre un’immagine in modo chiaro e semplice e di farla identica alla precedente”.
E ha ben due schemi compositivi per realizzare i suoi ‘capolavori’: con il primo, isola e dilata l’immagine, stampandola al centro della tela; con il secondo, ripete serialmente il soggetto, allineato sul dipinto in sequenze ordinate e sovrapposte.
ANDY WARHOL - BLUE MARILYN - 1962
Esempio del primo schema: Blue Marilyn con l’immagine tratta dal poster del film Niagara.
Il dolce viso della sfortunata attrice si presenta frontale, ingrandito e isolato su un fondo azzurro in rigide campiture di colore: il rosa della pelle, il celeste degli occhi, il biondo oro dei capelli, il rosso della bocca.
Warhol non colorava solo gigantografie di personaggi famosi.
Si è anche buttato sulla pittura.
Ma forse non tutti sanno che dipingeva in un modo che definire strano è un eufemismo.
Preparava una tela, sempre di grandi dimensioni, con uno strato di vernice fresca a base di rame, poi ci urinava sopra, invitando amici e collaboratori a fare lo stesso.
La vernice a quel punto a contatto con l’urina si ossidava, creando schizzi di verde e arancione.
ANDY WARHOL - OXIDATION PAINTING - 1978
E ‘quadri’ così  - chiamati Oxidation  painting - valgono due milioni di dollari, anche se non c’è ricerca, non c’è forma, non ci sono pulsioni dell’anima, non c’è neanche astrattismo almeno nel significato più alto del termine ,non ci sono emozioni e  non c’è estetica.
Per me la storia dell'arte è una cosa seria, che prima di tutto deve essere fonte di gioia e bellezza, che ha le sue ragioni storiche e culturali.
E' mescolanza di cuore  e intelletto, di sentimento e tecnica, di novità e tradizione, di passione e genialità
Warhol invece andava fiero del suo rifiutare in toto la storia dell’arte, con tutti i relativi significati e implicazioni.
Andy Warhol muore il 22 febbraio 1987 per i postumi di un intervento alla cistifellea.

venerdì 5 dicembre 2014

Raffaello e il suo unico grande amore

JEAN-AUGUSTE DOMINIQUE INGRES
RAFFAELLO E LA FORNARINA - 1813
Raffaello quando si innamorò era al culmine della sua fama, aveva il gusto del lusso e della raffinatezza e vestiva abiti splendidi di sete e velluti che mettevano in risalto la sua bellezza un po’ languida.
E Michelangelo, uomo serio, tormentato e tutto d’un pezzo, lo guardava con aperta avversione…
Il  giovane pittore di Urbino, dove nacque nel 1483, aveva ormai imparato ogni segreto della pittura, sapeva maneggiare pennelli e colori con una tecnica fantastica, sì che riusciva a rendere il bello in ogni cosa che dipingeva.
RAFFAELLO SANZIO - LA VELATA - 1516
FIRENZE, PALAZZO PITTI
La bellezza fu una condizione necessaria per l’arte di Raffaello, perché egli desiderò di evadere dai mali del tempo” scriveva lo storico Lionello Venturi nel 1947.
Raffaello cercò la bellezza anche nella sua vita privata, che poi, inevitabilmente, si fuse con quella artistica.
Aveva una modella, una popolana, Margherita Luti, figlia di un fornaio di Trastevere, detta perciò la Fornarina.
Margherita era una ragazza bruna, affascinante, dal temperamento vivace, dalle forme opulente, con un viso perfetto illuminato da due occhi immensi.
Si incontrarono per caso, mentre lei si bagnava i piedi nel Tevere, e fu subito amore.
RAFFAELLO SANZIO 
 MADONNA DELLA SEGGIOLA
1514 - FIRENZE, PALAZZO PITTI
Lui viveva totalmente soggiogato da lei, non si stancava di ritrarla ed era così voglioso delle sue carezze che a volte, mentre lavorava era capace di abbandonare tutto per correre a trovarla.
Una passione violenta, fino alla nevrosi.
Tanto che, racconta il Vasari, nel 1514 pretende che gliela portino nella villa di Agostino Chigi alla Lungara dove sta dipingendo, altrimenti butterà all’aria tavolozza e pennelli, lasciando a metà l’affresco della Galatea, per il quale il banchiere senese gli ha imposto come modella la cortigiana Imperia.
E i matrimoni “bene” che i parenti e i suoi protettori gli sottoponevano, venivano regolarmente declinati con una scusa, perché, diceva lui, “doveva innanzitutto dedicarsi all’arte”.
Aveva anche una pseudo fidanzata, certa Maria, nipote del cardinal Bernardo Dovizi, brava figliola, con dote proporzionata alla fama di lui, ma il giovanotto rimandava indefinitamente le nozze a causa del suo amore struggente e tempestoso con la figlia del fornaio.
La fanciulla era davvero bellissima, lo si vede dai ritratti che il suo amante pittore le fece.
Quello più famoso è a Roma, nella Galleria di Palazzo Barberini
Lo realizzò intorno al 1518/1519 e alla sua morte era ancora lì, nel suo studio.
RAFFAELLO SANZIO
LA FORNARINA - 1518/1519
ROMA, GALLERIA DI PALAZZO BARBERINI
Lo dipinse di getto, senza disegno preparatorio.
Lei, sullo sfondo di un cespuglio di mirto, la pianta dedicata a Venere, è misteriosa e incantevole, dalla bellezza idealizzata e sublimata, assoluta ed enigmatica, con lo sguardo penetrante, perfetta, discreta quasi, ma che sa farsi puro erotismo nella sua discinta seminudità.
La sua pelle è chiara, quasi lattea, che vien voglia di accarezzare da quanto appare morbida, le sue mani sono appoggiate al seno e al ventre in una posa più che simbolica, il turbante di seta a righe verdi e dorate le copre in parte i capelli, il bracciale sul braccio con la firma di Raffaello, immersa in una luce che la fa schizzare fuori dallo sfondo scuro.
E’ ancora e sempre lei nella Velata di Palazzo Pitti a Firenze, con la sua grazia quasi sdegnosa declinata nei toni del bianco, del bruno e dell'oro, nella Madonna della Seggiola, nella Madonna di Foligno e della Santa Cecilia della Pinacoteca di Bologna.
E’ il 6 aprile del1520.

ROMA, PANTHEON
TOMBA DI RAFFAELLO
 
A 37 anni - alla stessa età di Parmigianino, Van Gogh e Toulouse-Lautrec - Raffaello muore, non perché sfinito dalle prodezze amatorie come vuole la leggenda, ma di pleurite.
Riesce a fare testamento: lasciò alla sua bella una somma tale da farla vivere decorosamente.
La poverina fu allontanata da casa durante l’agonia di lui, ma al momento del funerale, riapparve tra la folla e si gettò disperata e piangente sulla bara.
E per il dolore si ritirò a vita nel convento delle suore di santa Apollonia.
Ma è ancora lei e sempre lei nella Madonna del Sasso del Lorenzetto, voluta dallo stesso Raffaello a vegliare sulla sua tomba al Pantheon.
E il loro amore continua, speriamo, in eterno.

martedì 2 dicembre 2014

Breviario Grimani: il must dell'arte libraria


BREVIARIO GRIMANI

BREVIARIO GRIMANI
UNA PAGINA MINIATA
Sembra a volte che anche gli abbiano un’anima: i casi sono rarissimi ma se capita di imbattersi in uno di questi fortunati, allora l’emozione è davvero sublime. Il Breviario Grimani è in questa raffinata élite e lo sa benissimo, conscio com’è che il suo colto proprietario, il cardinal Domenico, aveva scritto nel suo testamento di mostrarlo solo a personaggi di riguardo e in occasioni particolari: se ambasciatori o principi volevano ammirarlo ma erano degli zotici ignoranti, avrebbero ricevuto comunque un grazioso ma inesorabile diniego.
D’altronde lui, dall’alto del suo mezzo millennio di vita, sa di essere perfetto in ogni minimo particolare, sa di avere 835 carte, ovvero 1670 pagine, 120 miniature a tutta pagina, una quantità impressionante di decori e capilettera impreziositi dall’uso sapiente dell’oro, una scrittura chiara ed elegante, una copertina in velluto cremisi con bronzi dorati e la medaglia con il profilo del suo mecenate, con una varietà dei temi e di soggetti inimmaginabile.
E sa di essere, perciò, un capolavoro assoluto.
Un capolavoro famoso nel mondo eppure quasi sconosciuto.

BREVIARIO GRIMANI - MESE DI FEBBRAIO
Un oggetto cult comprato dal cardinal Domenico nel 1520 per l’astronomica somma di 500 ducati d’oro, la stessa necessaria per armare una galea carica di merci e marinai pronta per salpare per l’Oriente.
Il patrizio si portò a casa un manoscritto nato tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, un vero capolavoro, per poi donarlo alla Serenissima Repubblica di Venezia che lo custodì nel Tesoro di san Marco fino a quando nell’Ottocento passò alla Biblioteca Marciana.

BREVIARIO GRIMANI - MESE DI MAGGIO
Considerato a ragione un monumento dell’arte della miniatura fiamminga del Rinascimento, il breviario, di cui non si conosce l’esatta committenza originaria, offre una panoramica dell’iconografia e della capacità analitica dei seguaci di maestri del calibro di Van der Goes, Gerard David, Metsys e Jan Gossaert.
La parte più conosciuta del Breviario è il calendario iniziale: nelle scene a piena pagina collocate di fronte alle pagine del calendario di ciascun mese incorniciate con piccole scene di vita, esplode una sequenza di quadri sulla vita contemporanea di corte, della borghesia e del mondo contadino, come voleva la nuova stratificazione della società.

BREVIARIO GRIMANI
MESE DI AGOSTO
Furono soprattutto quelle scene (la magia della neve a gennaio, la tavola del banchetto del Signore, la scena di caccia, la luce notturna) a destare la meraviglia degli ambasciatori o dei reali in visita che poterono accedere al Tesoro di san Marco.
Sa di essere bello, di quella bellezza che Grimani considerava, da uomo di Chiesa, come l’ombra di Dio sulla terra, sa di essere la rappresentazione sublime della soluzione data dagli artisti delle Fiandre al problema della rappresentazione del visibile.
Il Breviario sa di essere stato una pietra miliare in quella straordinaria liason tra l'arte fiamminga e quella veneta che fece nascere capolavori a quattro mani, frutto di una contaminatio intellettuale senza precedenti.

Lui non è consultabile, e per ovvie ragioni di tutela vive nel suo  rifugio sicuro e solitario.

BREVIARIO GRIMANI - MESE DI MARZO

Ne esistono copie in fac-simile, anche straordinariamente perfette nonché costosissime, altre parziali e insufficienti, altre più decorose ma tutte ugualmente sterili di sensazioni.
Invece la sua anima emana bellezza, arte e cultura, e si percepisce alla prima occhiata di chi ha avuto, come me, la fortuna e il privilegio di guardarlo.

E questa percezione regala felicità.