mercoledì 19 novembre 2014

Kandinsky, il padre dell'astrattismo

KANDINSKY - IMPROVVISAZIONE 12 - 1910
Nel 1910 Vassili Kandinsky aveva quarantaquattro anni, era nato infatti a Mosca nel 1866, ed un bel passato come pittore figurativo.
D’un tratto dimentica il “mestiere” e si mette a scarabocchiare come un bambino di due anni a cui siano dati carta, matite e colori.
Il Primo acquerello astratto, che apre di fatto il ciclo storico dell’arte non-figurativa, è intenzionalmente uno scarabocchio, notoriamente la prima fase del disegno infantile.
Kandinsky si era infatti proposto di riprodurre sperimentalmente il primo contatto dell’essere umano con un mondo i cui non sa nulla, nemmeno se sia abitabile.
Questo processo mentale e psicologico che lo condusse a opere come le Improvvisazioni, lo descrisse in forma autobiografica in Sguardi retrospettivi, pubblicato per la prima volta nel 1918 in russo.
KANDINSKY - DONNA A MOSCA - 1912
All’astrazione mediante la rinuncia totale dell’oggetto, arrivò dopo varie esperienze, dagli studi giovanili di giurisprudenza all’Accademia di Monaco, dal gruppo Phalanx polemico nei confronti della tradizione ai dipinti con Scene russe dove mescolava il racconto favoloso, il richiamo popolare e la stilizzazione Art Nuveau.
Con la sua compagna Gabriele Münter, anch’essa pittrice, nel 1908 si ritirò in Alta Baviera a dipingere paesaggi alpini, dove gli oggetti tendono ormai a perdere la loro identità naturalistica, costruendosi per accordi cromatici a larghe zone con accesi contrasti.
KANDINSKY - PAESAGGIO
Come i pittori romantici tedeschi del XIX secolo, Vassili intende il paesaggio come visione emotiva e spirituale.
L’immagine è sublimata liberando il colore dalla sua funzione descrittiva e rivelandone l’espressività latente.
L’enfasi cromatica è sui colori primari, applicati in strato sottile su un fondo bianco, come il rosso, tinta calda, a cui attribuisce una forza espansiva che pulsa verso l’osservatore e “colpisce come uno squillo di tromba” o il blu che con gli altri colori freddi pare ritirarsi verso il fondo della tela.
I primi anni ’20 li definisce come suo “periodo freddo”: diviene infatti prevalente la presenza di forme geometriche, spesso fluttuanti davanti o dentro un vasto piano di fondo. 
KANDINSKY - COMPOSIZIONE VIII - 1923


Linee rette e curve sono contrapposte a forme più libere o irregolarmente geometriche, con la corrispondente variazione della pennellata a creare un contrasto fra zone di maggiore o minore intensità.
Nel 1929 scrisse: “Non scelgo una forma consapevolmente, è essa stessa che si sceglie dentro di me”.
Ed è facile osservare che l’immagine in un dipinto di Kandinsky appare disordinata ma non confusa, priva di logica ma non insignificante. 
KANDINSKY - BLU DI CIELO - 1940
Dal 1933 si trasferisce da Berlino a Parigi e in quell’ultimo suo periodo di attività nasce la fase dello “stile biomorfo”, ossia quel momento in cui nella pittura di Kandinsky appaiono insistentemente, spesso alternate a figurazioni geometriche, le caratteristiche forme informi, ameboidi o embrionali, che attestano il suo interesse attestato anche dagli scritti teorici per le formazioni appartenenti alla realtà microscopica delle cellule e dunque alla più profonda falda biologica.
Muore nel 1944 a Neuilly-sur-Seine, nei pressi di Parigi.
Universalmente riconosciuto il padre dell’astrattismo lirico, ruppe l’estetica tradizionale col suo linguaggio che riconosce piena autonomia ai segni e ai colori, diventando il faro di riferimento per gli artisti europei e americani del primo e secondo dopoguerra.  

venerdì 14 novembre 2014

Giorgione, il vero rivoluzionario

GIORGIONE
MADONNA, BAMBINO E SANTI
Era davvero l’enfant prodige della pittura cinquecentesca e, non so perché, ma lo immagino giovane e bello, come lo era l’eroe della Locomotiva di Guccini.
Forse perché morì a 33 anni, forse perché la sua vita e le sue pochissime opere sono ancora un mistero ancora tutto da scoprire, alimentato da leggende che spalmano su di lui un alone di mistero ancor più affascinante.
Di Giorgio da Castelfranco detto Giorgione, si sa che nacque intorno al 1477 e ben poco dalle Vite di Giorgio Vasari e dalla biografia che scrisse Carlo Ridolfi nel 1648, spesso, come succedeva all’epoca, piuttosto inattendibile seppur con un fondo di verità. 
in ogni caso entrambi raccontano che il giovanotto amasse le belle donne, l’amore, la vita, la musica e che frequentasse la società patrizia veneziana raffinata e per nulla bigotta.
Inizia la sua carriera nel 1504 con una pala d’altare di impostazione ancora belliniana per la sua cittadina ma subito la svolta, improvvisa e violenta, tale che lasciò una traccia potentissima nella pittura dei secoli a venire.
Chiave della sua arte è il rapporto tra pittura e natura con la resa della luce e dell’atmosfera. 
GIORGIONE - CONCERTO CAMPESTRE
Per raggiungere questo effetto, riduce l’importanza del disegno di contorno, esaltando così i passaggi cromatici di tono.
Pochissime sono le tele che dipinse sicuramente il giovane talento veneto fra cui la Venere dormiente, la Tempesta e I tre filosofi.
Altre due tele, il Concerto campestre e il Concerto, sono contese, da sempre fra la mano di Giorgione e quella di Tiziano, suo allievo.
Comunque, io propendo per attribuirle entrambe a Giorgione, perché l'impostazione non può che essere che sua. 
Nella Venere dormiente, di cui ho già scritto un articolo, il primo nudo femminile dell’arte moderna, la dea non è comunque la protagonista per il suo fondersi con il paesaggio, che segue le forme e le sembianze del corpo.
Ancora più rivoluzionario il rapporto tra Natura e figura umana nella Tempesta: nell’ampia veduta in profondità, illuminata dal bagliore di un lampo, si inseriscono due figure, un giovane con una lancia e una donna che allatta il bambino.
GIORGIONE - LA TEMPESTA
Non importa sapere che i due sono Adrasto e Ipsipila, due personaggi di un poema di Stazio.
Sono immersi in una sfera fantastica e poetica: tra la natura in tempesta, la donna e l’uomo si instaura un feeling di sensazioni evasive, indecifrabili, che sono la vera essenza di questo capolavoro.
Tecnicamente, l’indefinitezza pittorica che riassorbe i contorni del colore usato nelle sue infinite possibilità risponde all’indefinitezza del soggetto e suggerisce una nuova visione della natura.
Il dettaglio degli alberi consente di apprezzare in pieno la pazientissima e fine tessitura luministica che regala al dipinto una straordinaria e inedita suggestione.
L’ultimo capolavoro giorgionesco è I tre filosofi, su cui storici, filosofi, iconografi e semiotici si sono letteralmente spaccati il cervello.
GIORGIONE - I TRE FILOSOFI
Un enigma, di quelli che di sicuro piacevano al ragazzo di Castelfranco, forse fatto apposta per far impazzire la gente.
Forse raffigura le tre età dell’uomo, forse.
L’importante è che ancora una volta il suggestivo scorcio di paesaggio animato dalla luce dorata e le tre figure pensose e monumentali sono un tutt’uno che diventa messaggio poetico e profondo.
Giorgione muore nel 1510, lasciando dietro di sé il mistero della sua vita e delle sue opere e, davanti, una nuova, straordinaria, strada per la pittura.

mercoledì 12 novembre 2014

Eduard Manet, il quotidiano straordinario

 
MANET - LA FAMIGLIA MANET IN GIARDINO - 1874
NEW YORK, METROPOLITAN MUSEUM
Quando si cominciò a parlare di lui a Parigi, Éduard Manet non aveva ancora trent’anni.
Brillante conversatore, amante della musica, amico di letterati pur non essendo quello che comunemente si definisce un intellettuale, il sorridente arguto e mondano personaggio dalla barba bionda, era nato il 23 gennaio 1832 al n. 5 di rue des Petits-Augustins, proprio di fronte al Louvre.
Già al collegio Rollin dove studiò, Éduard si distingue per la disposizione al disegno e per la sua abilità nello schizzare i ritratti dei compagni.
Nell’atelier dell’accademico Thomas Couture, dove rimane dal 1850 al 1855, si compie la sua vera educazione artistica, nonostante violentissimi scontri col maestro. 
MANET - MUSICA ALLE TUILERIES - 1860
LONDRA, NATIONAL GALLERY
Il problema spaziale, posto tradizionalmente in termini di chiaroscuro e di prospettiva, lo risolve con il riferimento all’arte giapponese, basata sulle forme bidimensionali definite dal contorno.
La scelta del soggetto di vita quotidiana delle prime opere trattate con vera sicurezza, gli fu ispirata dall’amico Charles Baudelaire, come Musica alle Tuileries del 1860, dove sotto gli alberi ritrae una folla colorata e festosa.
È il primo interessante tentativo di rendere con vivacità e immediatezza il clima della vita contemporanea in un ambiente all’aria aperta e per dare animazione e movimento alla scena, non esita a sacrificare il particolare a favore della totalità dell’impressione. 
MANET - LOLA DI VALENZA - 1862
PARIGI, MUSEO D'ORSAY
Dopo un primo successo al Salon del 1861 con Chitarrista spagnolo, la pittura di Manet suscita negli anni seguenti un continuo scandalo negli ambienti ufficiali, divenendo oggetto per la critica benpensante di polemiche astiose che lo amareggiarono moltissimo.
Dopo i quadri ispirati da una compagnia di ballerini spagnoli, tra cui Lola di Valenza, definita da Baudelaire un “gioiello rosa e nero”, nel 1863, oltre a sposare Susanne Leenhoff, realizzò le due grandi opere da cui è solito far iniziare la pittura moderna: Le dèjeuner sur l’herbe e Olympia, quadri di cui ho scritto in un altro articolo del sito.
Negli anni seguenti compose nature morte che testimoniano della sua delicatezza nel dosare gli accordi cromatici, della maestria con cui sapeva armonizzare i neri, i grigi, i bianchi, riducendo al minimo il chiaroscuro così da ottenere un colore intenso e un sorprendente risalto delle immagini.
MANET - LA FERROVIA - 1873
WADHINGTON, NATIONAL GALLERY
L’evoluzione in senso impressionista si compì dopo il 1873, ma l’interesse di Manet restò sempre legato alla figura.
Di quell’anno è La ferrovia, novità di cui era entusiasta e considerava un magnifico spettacolo.  
Si dimostrò però quanto mai discreto in questa tela che la celebra: attraverso la nuvola di vapore, le rotaie e i segnali che si intravedono appena, la presenza del treno è intuibile solo dall’immobilità sognante della bambina che guarda attraverso la cancellata, limpida e delicata figuretta sul cui abito la luce crea seriche trasparenze.
Sugli innumerevoli schizzi e abbozzi tratti dalle osservazioni quotidiane nascono capolavori come Nanà, Cameriera di birreria, Il bar delle Folies-Bergère. 
MANET - IL BAR DELLE FOLIES-BERGERE - 1882
LONDRA, COURTAULD GALLERY
Manet eseguì molti ritratti di amici o conoscenti occasionali, a olio o a pastello,  cogliendo sempre i modelli con immediatezza e con rara prenotazione psicologica, come Émile Zola e Stèphane Mallarmè.
Éduard muore a Parigi nel 1883 e ai suoi funerali parteciparono pittori, scrittori, rappresentanti del governo e perfino un picchetto d’onore dell’esercito.
Era più grande di quanto pensassimo” commentò Degas al cimitero di Passy.