lunedì 13 ottobre 2014

Ilaria del Carretto: un'emozione senza tempo

Palpiti di eterno sul suo giovane viso, un velo di malinconia che si irradia sulla sua dolce bellezza, ma nessun dolore visibile, nessuna rabbia traspare verso la morte.
La tranquillità del tempo veglia su di lei.
Perché Ilaria del Carretto è viva, in quel marmo così morbido che vien voglia di accarezzarla, e sembra davvero che stia  dormendo serenamente un sonno che dura da oltre seicento anni.
E’ viva, riposa su un sarcofago marmoreo ornato nei fianchi da festoni di frutta e fiori sostenuti da putti, che però non contenne mai le sue spoglie.
Si appoggia stancamente su due morbidissimi cuscini, con i riccioli che incorniciano il suo ovale levigato, perfetto e luminoso.
Il suo abito si apre su un fascio di pieghe che arrivano fino ai piedi, fino quasi a coprire il cane, lui sì con l’espressione tristissima, che la veglia e la protegge, che a lei si appoggia, in una sorta di abbraccio che parla solo di vero amore.
Forse quell’amore che per il marito - Paolo Guinigi, signore di Lucca dal 1400 al 1430 -  era solo fittizio.
Sì, perché lui, ordinò a Jacopo della Quercia il sarcofago per la moglie, sposata il 3 febbraio del 1403 e morta l’8 dicembre del 1405 a soli venticinque anni di parto, come simbolo di eterno amore, ma poi si risposò altre due volte e il suo eterno amore evidentemente si dissolse velocemente.
In ogni caso, il primo capolavoro dello scultore senese è una felicissima sintesi fra la tradizione gotica francese e il classicismo rinascimentale.
Jacopo aveva dentro di sé una poetica delle emozioni che spalma delicatamente su tutta la figura di Ilaria, avvolgendola in un’aura di sogno e di sentimenti contrastanti.
Amore e morte, Eros e Thanatos avrebbero scritto i greci.
Una morte visibile nello scheletro trovato due anni fa nella cappella funeraria dei Guinigi nella cappella di santa Lucia a Lucca, perché Ilaria fu seppellita lì, non dentro quello straordinario sarcofago. 
L’università di Pisa afferma che si tratti proprio del corpo di Ilaria.
Ossa in cui si vede lo scempio dei secoli, di una tristezza infinita, e non si capisce il senso di averle disturbato il sonno eterno e di turbare la tranquillità che emana dal suo corpo e dal suo viso, così languidamente resi eterni dallo scalpello di Jacopo.
Francamente non interessa sapere dove sono davvero i suoi resti mortali.
Chiunque sia passato o passi per il duomo di Lucca, non può e non potrà scordarla mai.
Perché lei è l’immagine della bellezza immortale che vive dentro una scultura, di una vita spezzata per far nascere un’altra vita, di una giovinezza ‘che si fugge tuttavia’ , di un’emozione senza tempo.
 
Il video su Ilaria del Carretto è sul mio canale Youtube:

giovedì 9 ottobre 2014

Il mondo medievale illustrato

MAPPAMONDO DI FRA MAURO - 1450
Mappamondi, planisferi e carte geografiche evocano fascino e mistero e riportano alla mente leggende antiche, città sconosciute, mondi lontani, viaggi e scoperte, navigatori ed esploratori.
Nei tempi moderni tutto sembra semplice, le notizie su come oceani e continenti si spartiscano lo spazio del mondo si imparano fin dai primi banchi di scuola, ma un tempo non era così.
Le informazioni erano scarse, molte terre ancora inesplorate.
Eppure già Tolomeo, astronomo e geografo alessandrino vissuto nel II secolo dopo Cristo, descrisse le parti conosciute della terra con un sistema scientifico, utilizzando longitudine e latitudine per l’identificazione dei luoghi, tanto che la sua opera rimase alla base della geografia fino alla riforma copernicana.
Proprio Tolomeo è una delle fonti a cui fece riferimento Mauro, monaco camaldolese che intorno al 1450 compose uno straordinario planisfero, dipingendo su pergamena, poi incollata su legno, con pigmenti di vario genere, un cerchio arricchito da continenti, città, montagne, mari e fiumi e da tremila iscrizioni in lingua veneta.
LEONARDO BELLINI - PARADISO TERRESTRE
Il tutto inscritto in un quadrato di quasi due metri e mezzo per lato dove in un angolo Leonardo Bellini, nipote di Jacopo, dipinse il Paradiso Terrestre, mentre negli altri tre sono rappresentate note e diagrammi di cosmologia secondo le concezioni medioevali tolemaiche.
Strano destino quello che ruota intorno a questa splendida opera conservata a Venezia nella Biblioteca Marciana dal 1811, dopo che il monastero di San Michele dove viveva Fra Mauro fu dismesso per ordine di Napoleone per creare nell’isola il cimitero cittadino.
E’ una delle opere geografiche più famose al mondo, riprodotto in qualunque testo si occupi di cartografia, eppure solo Placido Zurla nel 1806 se ne occupò scrivendo un volume.
Ma perché è così importante?
EUROPA
Perché rappresenta la sintesi particolarmente ampia, articolata e complessa del sapere geografico del tempo.
Le fonti raccontano di anni di lavoro e per completare l’opera il monaco raccolse una quantità infinita di notizie, partendo da autori classici come Tolomeo e Plinio, per giungere ad autori a lui contemporanei o quasi come Marco Polo o Nicolò de’ Conti, viaggiatore veneziano che andò in Cina alla fine del ’300, oltre a fonti orali che Mauro definiva «persone degne di fede».
Per certe parti del mondo come l’Oceano Atlantico, le informazioni gli giunsero dai portoghesi, che nel 1415 iniziarono le prime sistematiche esplorazioni.
E ancora le carte che gli passarono i religiosi e missionari etiopici che avevano accesso a documenti rari.
INDIA
Notizie dunque di diversa provenienza, che consentirono a Mauro di dialogare virtualmente con gli antichi attraverso le iscrizioni, grazie alla sua mente aperta e libera da schemi pre-costituiti dettati dalla cosmologia scolastica di impostazione cristiana.
Un’attitudine da vero umanista, che mette le fonti su un piano paritetico.
Qualche curiosità: intanto la carta è capovolta rispetto al nostro vedere comune, il nord cioè in basso e il sud in alto.
Il motivo è semplice: dall’alto viene la luce, che nella simbologia cristiana è intesa come conoscenza e ispirazione divina.
E ancora la parte che descrive Venezia è consumata, quasi bucata, a causa di tutti coloro che puntando il dito hanno detto, quasi come nelle piante della stazione o della metropolitana, «noi siamo qui».
Interessante poi il Giappone, per la prima volta descritto in una carta occidentale o le Seychelles e le Maldive, perfettamente allineate coi loro isolotti e arcipelaghi.
Da vedere le descrizioni accuratissime delle regioni scandinave o del corso del Nilo, assolutamente originale e perfettamente rispondente all’idrografia africana.
Un capolavoro da gustare nei minimi particolari, un’immagine del mondo dall’impianto medioevale ma dai contenuti assolutamente moderni e sorprendenti.


mercoledì 8 ottobre 2014

Klimt inaspettato

 
CASE A UNTERACH SULL'ATTERSEE - 1916
Da lui non te lo aspetti.
Da lui ti aspetti donne sensuali e scandalosamente erotiche, sempre più forti, indipendenti e libere in un mondo troppo maschile.
Ti aspetti la luce spezzettata in mille colori o i bagliori d’oro e d’argento.
Ma la Natura, no, quella non te la aspetti proprio.
Un altro Klimt, quasi inaspettato, che dipinge paesaggi rigorosamente quadrati, come volesse dire che non vanno in nessuna direzione particolare e che sono chiusi in una forma perfetta, dove nessun lato prevarica l’altro.
Oppure, con un aura più pessimista, la sua visione quadrata della natura può portare a pensare che in quel non andare in nessuna direzione ci fosse la consapevolezza del non vedere alcuna via d’uscita, al pari di Van Gogh, alla soluzione del significato della vita o all’insopportabile pesantezza dell’essere.
CAMPO DI PAPAVERI - 1907
Paesaggi con una vegetazione lussureggiante che ispirano a prima vista pace e serenità, con nulla e nessuno che disturba quel momento interiore, nessun gesto, nessun movimento visibile e più che altro con nessuna figura umana.
Quella sì, rovinerebbe l’attimo perfetto.
La natura che si erge a dea, forse intesa come dea madre creatrice dell’intero universo, all’apparenza lontana anni luce dai suoi dipinti più famosi diventati icona dell’Art Nouveau.
Il bisogno di un sogno, forte più della realtà che ci stritola come un boa, come solo un pensiero onirico può essere.
Ed eccolo Klimt, negli ultimi anni della sua vita: pare di vederlo, quando era in vacanza sull’Attersee, che solitario usciva di casa, faceva schizzi en plein air, come gli impressionisti, e poi, quando tornava, completava quel che aveva disegnato in studio, magari aiutandosi con le fotografie, come tanti suoi colleghi dell’epoca.
ORTO CON POLLI - 1916
Ma era in un altro mondo rispetto al passato, direi in un’altra dimensione spazio/temporale: nei suoi dipinti pieni zeppi di simboli il paesaggio non aveva posto, non svolgeva nessun ruolo, neanche di contorno, perché gli sfondi di quei dipinti erano mosaici lavorati con colori, oro e argento che diventavano soggetto e non erano più solo mero ornamento.
Ora invece, una nuova linfa interiore, un bisogno di calma lontano dagli affanni tutti umani, fa sì che laghi, monti e paesi diventino i protagonisti.
Un bisogno di tranquillità che solo la Natura può regalare, come fa una mamma, senza volere nulla in cambio.
Una tranquillità tangibile nell’assenza di tempo, nell’assenza di spazio, nella non energia che emanano, nella fissità dell’immagine che pare un particolare ripreso con un tele-obbiettivo: una visione troppo lontana per essere vissuta realmente.
IL MELO II - 1916
Paesaggi raffinati ma, ça va sans dire, simbolici.
Non poteva essere altrimenti.
Gli alberi solitari, pacifici e sottili, metafora della solitudine cosmica e aristocratica dell’uomo, eppure così diversi dagli olivi o dai cipressi di Van Gogh, contorti e disperati, immersi in una natura impazzita di colori e di segni.
Un'altra visione della vita, anzi, forse della solitudine.