sabato 13 settembre 2014

Tiziano e la morte


Tiziano - Autoritratto - 1562
Berlino, Staatliche Museum
Era nella materia bruta del colore e in tutte le sue sfumature più incredibili che Tiziano aveva annegato il pensiero della morte, che negli ultimi anni della sua vita aveva incontrato tante, troppe, volte per la perdita di persone a lui carissime.
E queste perdite si erano trasmutate in un nuovo modo di dipingere, come se le sue emozioni si tramutassero in colore, prima ancora che in pensieri.
Il colore era la sua passione e la sua ossessione. Palma il Giovane, suo allievo, diceva che su ogni quadro Tiziano «gettava macchie di colore, per poi metterci le mani per plasmarlo e ottenere quei risultati spettacolosi».
Palma conosceva bene la tecnica del pittore cadorino, lavorò con lui e, alla sua morte, finì lui stesso la Pietà, che avrebbe voluto sopra la sua tomba nella basilica dei Frari, ora all’Accademia, il testamento spirituale del maestro. 
Ma in quel quadro, l’orrore per la morte diventa qualcosa di visibilissimo e agghiacciante. 
Tiziano - La Pietà, particolare - 1576
Venezia, Gallerie dell'Accademia
Sotto il basamento di una colonna con la testa di un leone scolpita in pietra, aveva dipinto un particolare che mette i brividi: un piccolo ex voto con lui e Orazio inginocchiati a mani giunte davanti alla Madonna.
Era forse una supplica angosciata per preservare lui e il figlio in quei giorni bui e terribili?
La peste stava sconvolgendo Venezia e il suo Cadore dall’aria pulita, cristallina e sana era troppo lontano, quasi un miraggio.

Chi sa quante volte aveva pensato di ritornare a casa, lui, che amava firmarsi “Titianus cadorinus”.
Ma quel viaggio salvifico non lo intraprese mai.
Neanche la pittura lo avrebbe salvato da quell’appuntamento ineludibile, da quel viaggio sconosciuto.
Tiziano - La Pietà - 1576
Venezia, Gallerie dell'Accademia
E nemmeno la gloria immensa che lo aveva accompagnato per tutta la sua lunghissima esistenza gli sarebbe servita a qualcosa.
Quella stessa gloria che aveva fatto inchinare un imperatore, Carlo V, per raccogliergli un pennello mentre gli stava facendo un ritratto.
E non avrebbe nemmeno risparmiato l’adorato figlio Orazio, che lavorava con lui.
No, la peste era maledetta, non guardava in faccia a nessuno.
Ma in quel maledetto agosto del 1576, i conti con la signora in nero, doveva proprio farli.
Non riuscì neanche a finirla la Pietà.

Morì il giorno 28, con il pennello in mano.
Si racconta che fu la peste a portarlo via dal mondo terreno, ma forse, fu il dolore, lancinante, a prenderlo per mano e portarlo con sé nei meandri invisibili dell’aldilà.

venerdì 12 settembre 2014

Toulouse-Lautrec e il suo mondo favoloso

Henry de Toulouse Lautrec
Autoritratto - 1882
Albi, Musèe Toulouse Lautrec
Toulouse-Lautrec.
Il solo nome evoca personaggi divenuti favolosi grazie a lui: cantanti di cabaret, ballerine del Moulin Rouge, ospiti di case chiuse, clown e acrobati.
Mimi, ballerine, prostitute: sono loro i corifèi della comèdie humaine.
Eccoli i temi prediletti di Henry, nemico del paesaggio nel quale vedeva solo un accessorio. “Il paesaggio – diceva – deve servire solo a far conoscere meglio il carattere del personaggio”. 
La vita di Henry de Toulouse-Lautrec, sempre in bilico fra angoscia e furore di vivere, inizia nel 1864 ad Albi, dove nasce da famiglia di antica aristocrazia.
Amante della vita all’aria aperta e dell’equitazione, destinato a condurre una tranquilla esistenza da signore di campagna, è condannato, per due cadute da cavallo che gli spezzarono le gambe impedendone il successivo sviluppo, a rimanere deturpato fin dall’adolescenza.
Henry de Toulouse Lautrec - Ballo al Molin Rouge - 1889
Filadelfia, Museum of Art
Generoso e insieme feroce osservatore dell’umanità, si getterà nel mondo dei caffé-concerto, delle sale da ballo e della prostituzione, dove un lusso fittizio nasconde le miserie intime, le degradazioni inconfessate, dove si sentirà meno infelice, meno anormale che nell’ambiente della sua famiglia, attaccata a rigidi pregiudizi di classe.
Nei suoi effimeri personaggi, Lautrec dà prova di una grande efficacia evocativa: se la caratterizzazione è spesso cruda, la freschezza dell’immagine riesce sempre a riscattarne la volgarità, come nei ritratti di Jane Avril, ballerina ammirata per la sua abilità, che ritrasse più volte, o di Yvette Guilbert, cantante celebrata da letterati e artisti che, dopo essere stata commessa e indossatrice, divenne una delle massime vedettes della bellè epoque parigina. 
Henry de Toulouse Lautrec
Yvette Guilbert
A Lautrec scrisse: “Per l’amor del cielo, non fatemi così atrocemente brutta!”
Anche le case chiuse, che frequentava assiduamente, sono descritte con acutezza, con quella ricchezza e quel lusso di facciata che nasconde la povera umanità delle ragazze in attesa e l’intima miseria dei frequentatori.
Molti hanno scritto del legame con Degas e dell’esplorare questo mondo di fatiscenti incantesimi, entrambi appartenenti a un’alta classe sociale, entrambi attirati dalle luci della ribalta, dai volti carichi di trucco, dalla trasandatezza dietro le quinte.
Henry de Toulouse Lautrec
Ballerina seduta - 1890
Collezione privata
Ma Degas non si lascia commuovere dal modello, Lautrec invece osserva intensamente l’espressione di uno sguardo, la personalità crudele, spiritosa o bestiale di un profilo.
Alle anonime ballerine di Degas, Henry oppone la patetica individualità degli esseri umani.
La scoperta poi delle stampe giapponesi avrà un’influenza notevolissima, suggerendogli il gusto della semplificazione e lo spazio bidimensionale definito dalla linea continua e dalle stesure piatte di colore.
È stato il primo a intuire l’importanza di quel nuovo genere artistico, tipicamente cittadino, che è la pubblicità: disegnare una affiche o la copertina di un programma costituiva un impegno non meno serio che fare un quadro.
Henry de Toulouse Lautrec - 1891
Moulin Rouge a a La Goule
 Il primo, Moulin Rouge e La Goule, lo esegue nel 1891, con protagonista la ballerina di can can o Divan Japonais, realizzato nel 1893 per pubblicizzare l’apertura del locale.
È nella definitiva rinuncia all’arte-contemplazione per l’arte-comunicazione la ragione della sua straordinaria attualità, di cui Picasso si accorse per primo.
Henry de Toulouse-Lautrec muore nel 1901 a 37 anni, logorato dalla sua esistenza febbrile e dalla sua frenesia di vita.


Henry de Toulouse Lautrec - Al Moulin Rouge - 1892  - Chicago, Art Institute

Nel mio canale YouTube il video su Henry de Toulouse Lautrec:
https://www.youtube.com/watch?v=Wfo0_qCmPiI


 

giovedì 11 settembre 2014

Ingres e l'amore per la moda femminile

DOMINIQUE INGRES
PRINCESSE DE BROGLIE
Dominique Ingres, il maggiore pittore neo classico, amava Raffaello più di ogni altro pittore, perchè  per lui era il faro da seguire ma nei dipinti di storia, i dipinti classici per eccellenza, non eccelleva poi un granché.
Avrebbe forse dovuto fare il couturier, se avesse avuto un’altra vita a disposizione, perché la sua sensibilità era frusciante come la seta, morbida come il velluto e ricca come un damasco.
Avrebbe avuto un successo straordinario, pari a quello avuto come pittore, vivendo in due città come Parigi e Roma che in quel periodo, la prima metà dell’Ottocento, vivevano di bellezza, di moda e di seduzione nei salotti buoni, all’opera, a teatro e nei locali alla moda.
DOMINIQUE INGRES
BARONESSA DE ROTSCHILD
Si racconta che fosse insopportabile con le signore, tutte ricchissime o nobili, che decidevano di farsi effigiare da lui.
Si sa di infinite lettere con discussioni se mettere o no le rose o il velo nei capelli, su quali gioielli indossare, se tenere a fianco la figlioletta, che non ne voleva ovviamente sapere di stare immobile per ore, fino a levarla di mezzo e ritrarre alla fine solo la madre.
Perfino Baudelaire se ne era accorto: “Ingres adora il colore come un mercante di moda”.
Ingres amava la moda femminile, non solo il colore.
Quindi amava anche gli accessori: ventagli vezzosi tenuti in mano con garbo o scialli gettati con nonchalance sui cuscini che avvolge la figura e crea un ambiente ancor più sofisticato.
  
DOMINIQUE INGRES
MADAME DE SENNONES
Adorava, evidentemente, anche i pizzi, simbolo di sensualità per la loro trasparenza che faceva intuire ma non vedere le forme magari abbondanti delle signore.
E li amava perché li rendeva perfetti in ogni loro dettaglio, come avrebbe fatto un pittore fiammingo in una di quelle nature morte che parevano vere.
Adorava i panneggi ed era straordinariamente abile nel rendere i riflessi del taffetà, al punto che si riesce, guardando attentamente, a percepire il leggero crepitio che fa quando lo si tocca. 
Rendeva al meglio la consistenza del velluto, la sua morbidezza così pesante ma elegante tanto che sembra di sentire le sue parole quando diceva che bisogna “fare della pittura scultorea”.
E anche se le pose sono tutte ugualmente languide, le signore tutte sedute che guardano verso destra, che quasi mai sorridono, che pare addirittura che si somiglino, i ritratti femminili di Ingres hanno ognuno un carattere differente proprio per le stoffe scelte, come neanche il migliore dei costumisti o scenografi della Hollywood dei tempi d’oro avrebbe saputo fare.
E le signore ringraziano.