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domenica 28 settembre 2014

Picasso, il pittore rivoluzionario


I DUE SALTIMBANCHI - 1901
Pablo Picasso, primogenito di don José Ruiz Blasco e di doña Maria Picasso y Lopez, nasce alle 23.15 del 25 ottobre 1881 a Malaga.
Enfant prodige, Barcellona lo vede diciottenne in una vita da bohémien a dipingere mendicanti, reietti, vagabondi e artisti di circo equestre.
Nel 1901 a Parigi, in una baracca di Montmartre,  inizia il suo periodo blu.
Già allora era attratto dai problemi della forma sintetizzata e dal ribaltamento di piani e superfici e tanto in queste opere quanto in quelle del successivo periodo rosa (1905/6), sono contenute le premesse dei successivi sviluppi della sua arte. 
LE DEMOISELLES D'AVIGNON - 1907
Questa fase si chiude con un netto e brusco ritorno ai problemi del volume, che si concluse ne Les demoiselles d’Avignon del 1907, un quadro che fece scalpore per le cinque prostitute ritratte in un bordello di calle d'Avignon a Barcellona.
Distende il colore in larghe zone piatte per farle diventare piani solidi a spigoli vivi che assumono una consistenza volumetrica, con il fondo che si avvicina, si incastra a forza tra le figure, si spezza in tanti piani appuntiti come schegge di vetro: lo spazio si deforma e si scompone come le figure.
ARLECCHINO SEDUTO - 1923
È, nella storia dell’arte moderna, la prima azione di rottura, il gesto di rivolta con cui si apre il processo rivoluzionario del Cubismo.
È il 1909 quando attua una completa riduzione del colore e scomponendo l’oggetto in sfaccettature.
La ripresa e lo sviluppo del cubismo, dopo un breve ritorno alla figuratività di cui l’Arlecchino seduto del 1923 è uno splendido esempio, lo portano a esiti vicini al surrealismo, come in Figure in riva al mare.

FIGURE IN RIVA AL MARE
Nel 1927 inizia una convivenza con Marie-Thérése Walter che gli diede una figlia, che sperò per tutta la vita di sposarlo, cosa che mai avvenne.
Si suicidò nel 1977. 
Nell’aprile del 1937 bombardieri tedeschi attaccano l’antica città di Guernica, facendo una strage e seminando il terrore. Di colpo Picasso decide che il suo dipinto, per il padiglione spagnolo all’Esposizione Internazionale di Parigi, sarà la risposta alla viltà di quell’eccidio.
Nasce così Guernica, l’unico quadro storico del nostro secolo, non perché rappresenta un fatto storico, ma perché è un fatto storico.
È il primo, deciso, intervento dell’arte nella lotta politica.
GUERNICA  - 1937
In Guernica non c’è colore, solo nero, bianco, grigio. Non c’è rilievo, è andato via.
C'è, invece, la morte.
Un dipinto che ha lo scheletro classico: c’è simmetria - l’asse mediano del muro bianco -, prospettiva - i caduti in primo piano -, gradazione di valori, l’alternarsi dei piani, ritmo crescente di accenti, dall’accento nobilmente oratorio del caduto che stringe in pugno la spada spezzata al nitrito lacerante del cavallo ferito a morte.
Anni dopo, durante l’occupazione di Parigi, ad alcuni tedeschi che gli chiesero se avesse fatto lui quell'orrore, Picasso risponderà amaramente: “non l’ho fatta io, l’avete fatto voi”.
COLOMBA DELLA PACE
Dal 1945 Picasso sente il bisogno di allontanarsi dalle immagini di morte, di liberarsi dalle angosce e dagli orrori della guerra e manifestare con l’arte la gioia per la pace ritrovata.
E il suo impegno politico si manifestò con la partecipazione ai congressi mondiali per la pace per i quali disegnò la famosa Colomba.
L’amore per la giovanissima Françoise Gillot, da cui ebbe Paloma e Claude, diffonde un riverbero di serenità nella sua vita.
La celebra con immagini mitiche e idealizzate, vere metafore poetiche, ma lei lo lascerà, stanca di essere continuamente tradita.
Nel 1961 sposa Jacqueline Roque  e si trasferisce a Maugins, in Provenza, dove muore l’8 aprile 1973 per infarto.
L'eredità che Picasso lascia alla storia dell'arte moderna è grandiosa.
E anche se non è tra i miei artisti preferiti, devo dire che è tra quelli che più ammiro, perché ha fatto un percorso artistico importante, partendo con uno stile per poi giungere ad altro modo di dipingere e di pensare.
E' la continua ricerca che fanno pittori, scultori o architetti che lascia una traccia di sé nella storia ed è questo che li rende davvero immortali. E Picasso è fra questi.

giovedì 25 settembre 2014

La pittura dorata di Gustav Klimt


IL BACIO - PARTICOLARE - 1908
Enfant prodige della pittura accademica di tardo Ottocento, leader indiscusso di un movimento di radicale ammodernamento, la Secessione Viennese che fonda nel 1897, Gustav Klimt, nasce nella capitale austriaca nel 1862 dove muore nel 1918 per infarto.
Artista estremamente colto e sensibile, timido e schivo, raffinato fino alla morbosità, pittore erotico di rara intensità, polemico e provocatorio, è legato ad una sua formula decorativa piena di implicazioni simboliche.
Figlio di un orafo, studiò alla scuola di arti e mestieri di Vienna, partecipando da giovanissimo a lavori decorativi.
Emblematico del suo stile d’oro è il Fregio di Beethoven del 1902.

FREGIO DI BEETHOVEN - 1902
Come molti del suo tempo, anche Klimt non si sottraeva alla grande passione viennese per la musica: 24 metri di pittura che mostrano un fiero cavaliere che attraverso la poesia guida l’umanità verso il superamento del dolore della vita e raggiunge la felicità nell’abbraccio amoroso.
Torna nel 1909 al soggetto già trattato in Giuditta I, complicandone la versione, ampliandone la dimensione e arricchendone l’ideazione.
In Giuditta II, nuova è l’iconografia, dove emerge una donna moderna, sensuale e tragica, abbigliata nel gusto Secessione con arabeschi e innesti geometrici.

GIUDITTA II - 1909
Nella Vienna di Freud era inevitabile che un artista si cimentasse con la complessità di un mito: ecco allora Giuditta trattenere spasmodicamente fra le dita la testa mozzata di Oloferne.
Così seduce doppiamente, con la straordinaria efficacia di una decorazione che è già astratta e con l’allusione a un erotismo indissolubilmente legato alla trasgressione. 
E Giuditta diviene emblema del potere di seduzione della donna.
La morte e la vita, ritoccata sostituendo l’oro dello sfondo con un blu intenso, un’ulteriore evoluzione nella sua arte che ora sfrutta anche le qualità espressive del colore che volteggia in un mondo onirico.
Disegnatore instancabile e di straordinaria finezza, Klimt fu autore di affascinanti ritratti come quello di Adele Bloch-Bauer e di opere paesaggistiche, nelle quali la ricchezza lussureggiante della vegetazione riempie l’intero spazio della tela. 
LA MORTE E LA VITA - 1911
Consapevole della lenta e ineluttabile morte del vecchio impero austro-ungarico, che ormai conserva solo il ricordo dell’originario splendore, sente profondamente il fascino di questo tramonto storico e associa l’idea dell’arte del bello a quella della decadenza, del dissolvimento del tutto, del precario sopravvivere della forma alla fine della sostanza.
Tocca, quasi senza volerlo, il punto nevralgico di una situazione ben più vasta, europea: l’arte è il prodotto di una civiltà ormai estinta e nella nuova civiltà industriale non può sopravvivere che come ricordo di sé stessa.

RITRATTO DI ADELE BLOCH-BAUER - 1907
Il suo pensiero va all’arte bizantina, splendida ed esangue, in cui si riflette un analogo processo storico, il declino di un impero e la sopravvivenza della forma estetica alla morte storica. In una propensione di ornati simbolici, del cui significato si è perduta anche la memoria, sviluppa i ritmi melodici di un linearismo che finisce sempre per ritornare al punto di partenza e richiudersi su sé stesso e li accompagna con le delicate, melanconiche armonie dei colori spenti, cinerei, perlacei, con morenti bagliori d’oro, d’argento, di smalti.

martedì 23 settembre 2014

Modigliani, l'artista maledetto

Amedeo Modigliani
AUTORITRATTO - 1919
Nell’assonanza fonetica con il soprannome francese di Modì, Amedeo Modigliani incarna la figura dell’artista maudit, maledetto, costantemente alla ricerca di una irraggiungibile forma espressiva soddisfacente. 
Amedeo Modigliani
TESTA DI DONNA
Figlio di un toscano di origini ebree e di una francese, nacque a Livorno il 12 luglio 1884 e dopo una formazione nelle accademie di Firenze e Venezia, avvolto dai fumi di droghe e alcol, nel 1906 si trasferisce a Montparnasse a Parigi.
Lì capisce subito che tutta l’arte moderna nasce da Cézanne, ma nei suoi confronti ha un limite idealistico: per Modì alla chiara intelligenza della verità non si giunge con l’intelletto ma con il sentimento. 
Uno dei suoi primi amici, lo scultore rumeno Brancusi, gli ispira il culto della forma pura e chiusa in cui la linea, da sola, plasma e definisce il volume.
Lo inizia alla scultura africana, un’esperienza che Modì trasporterà poi nella pittura, assumendo il colore non più come complemento ma come materia intrinseca della forma.

Amedeo Modigliani - 1917
DONNA CON CRAVATTA NERA
Nel 1917 incontra Jeanne, studentessa diciannovenne che per lui abbandona la famiglia. Per due anni si trasferiscono a Nizza per curare le sue crisi polmonari e lì nasce la loro bimba.
Tornano a Parigi e vivono nella miseria più nera, aiutati da qualche amico e dal ricavato di qualche quadro venduto a pochi franchi.
Nei suoi molti ritratti e nudi di donna, i contorni fortemente segnati saldano, in una sola superficie compatta, piani a profondità diverse, le varie parti della figura e i vari piani del fondo.
La linea talvolta è pesante come un solco nero scavato nella massa del colore, talvolta sottile, filiforme e il colore è ora denso, ora magro, ora modulato in tonalità tenui, ora intenso.
In lui non c’è la stesura cromatica dei Fauves, ma la scomposizione cubista, eppure perché non arriva alle estreme conseguenze, rimanendo nel tipo tradizionale del ritratto?
Perché per lui la pittura non deve essere analitica ma poesia: il linearismo è sottilmente intellettuale e intensamente espressivo, il colore è rigorosamente plastico.

Amedeo Modigliani - NUDO ROSSO - 1918
È la sua poesia raffinatissima ma appassionata, velata solo da una desolata malinconia.
L’inconfondibile allungamento delle figure – i suoi colli lunghi sono diventati proverbiali – esalta l’eleganza leggera e solitaria dei personaggi. 

Amedeo Modigliani
RITRATTO DI JEANNE 1918
Segue i contorni dei corpi femminili con l’ineguagliabile finezza del disegno di quattrocentesca matrice toscana, lasciando emergere una sensualità vera e palpitante.
Modì non ammette nei suoi ritratti sguardi che non siano assenti, introspettivi, il più possibile chiari e dolci. 
Dal ritratto di Elvira del 1916 a quello di Jeanne del 1918 fino al famoso Nudo rosso e all’Autoritratto del 1919, una delle sue ultime immagini corroso dalla salute malferma e dagli abusi di assenzio e altro, è sempre il medesimo atteggiamento di abbandono, il medesimo sguardo sperduto.
Nei personaggi di Modì l’aplombe non è perfetto: pencolano un po’ a destra o un po’ a sinistra, eppure la loro caratterizzazione è viva, inequivocabile.
Portato per natura a non legarsi a correnti o avanguardie, non fa scuola: resterà sempre un grande isolato.
Muore il 24 gennaio 1920, a soli trentasei anni.
Il giorno dopo la moglie Jeanne, disperata, si lancia dal terzo piano di casa.
Sono sepolti l'uno accanto all'altra nel cimitero del Père Lachaise di Parigi.

lunedì 8 settembre 2014

De Chirico: la nullità dell'essere

 
Giorgio de Chirico - Le muse inquietanti - 1917 - Monaco, Pinakothek der  Moderne
Le muse inquietanti, che Giorgio de Chirico dipinse nel 1917, è una delle opere simbolo dell’arte italiana del XX secolo e dà un contributo assolutamente originale al panorama internazionale.
Autentico manifesto della Metafisica, insieme a Ettore e Andromaca, descrive con nitida chiarezza personaggi e una situazione impossibili, in cui gli elementi della realtà appaiono combinati insieme in maniera del tutto incongrua.
Sullo sfondo appare il Castello Estense di Ferrara, la città in cui nel 1918 ebbe vita il movimento della Metafisica.
“Città del silenzio” per antonomasia, Ferrara, una antica capitale svuotata dalla corte e ridotta a involucro della memoria, diventa per Giorgio de Chirico l’ambiente ideale per accogliere l’onirica e misteriosa presenza delle muse, con la loro natura ambigua di colonna, di statua o di manichino.
I colori sono caldi e profondi, ma duri e come solidificati negli oggetti, la luce è intensa e immobile, senza vibrazione né raggio.
Le scatole di fiammiferi e l'uovo accanto alle architetture determinano un ribaltamento di tutte le scale di misure e la loro presenza volutamente insignificante, svuota di significato le forme solenni delle architetture e delle figure.
Inutile cercare significati reconditi, se non, forse, l’allusione all’uomo-automa contemporaneo: per de Chirico la pittura è speculazione sulla nullità dell’essere e, come speculazione, non può avere nessuna funzione.