Visualizzazione post con etichetta CINQUECENTO. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta CINQUECENTO. Mostra tutti i post

giovedì 30 agosto 2018

Andrea del Sarto: storia d'arte e d'amore


Andrea del Sarto - Autoritratto
1528 - affresco staccato
Firenze, Corridoio vasariano
Era sarto il suo papà, cosicché Andrea d’Agnolo, questo il suo vero cognome, nato domenica 16 luglio 1486 a Firenze, così è da tutti conosciuto.
Andrea del Sarto, nel quale uno mostrarono la natura e l’arte tutto quello che può far la pittura mediante il disegno, il colorire e l’invenzione” racconta Vasari, aggiungendo che se avesse avuto un carattere “più fiero ed ardito, siccome era d’ingegno e giudizio profondissimo in questa arte, sarebbe stato senza dubitazione alcuna senza pari”.
Andrea del Sarto
Storie di san Filippo Benizzi - 1510
Firenze
 chiesa della Santissima Annunziata
E in effetti il piccolo Andrea dimostra già le sue doti: a sette anni va a lavorare da un orefice e il pittore Gian Barile, intuendone le capacità, lo prende con sé. A dieci anni lo stesso Barile lo porta nella bottega di Piero di Cosimo, “tenuto uno dei migliori pittori che fossero in Fiorenza”, e Andrea non si smentisce, tanto che sempre Vasari racconta: “E la natura, che l’aveva fatto nascere pittore, operava tanto in lui, che nel maneggiare i colori lo faceva con tanta grazia come se avesse lavorato cinquanta anni”.
Uomo dolce e buono, Andrea inizia la sua vera carriera nel 1510 dipingendo ad affresco  le Storie di san Filippo Benizzi nell’atrio della chiesa della Santissima Annunziata di Firenze, cui seguirono il ciclo del chiostro dello Scalzo con le Storie di san Giovanni Battista del 1512 e la Madonna del sacco nel Chiostro dei Morti della Santissima Annunziata, tappe di un’abbondante attività di frescante che, oltre le radici fiorentine della sua arte, rivelano il suo progressivo aggiornarsi sui contemporanei sviluppi della cultura romana.
Andrea del Sarto
Madonna delle Arpie
1517 
 Firenze, Galleria degli Uffizi
La serie numerosa delle sue pale sacre, dal palpitante disordine della giovanile Annunciazione, ora a Palazzo Pitti a Firenze, all’aristocratica dolcezza della celeberrima Madonna delle Arpie, alla Galleria degli Uffizi, dove lo schema piramidale le conferisce un equilibrio perfetto, indica in Andrea colui che ha raccolto l’eredità della tradizione fiorentina e dei tre grandi, Leonardo, Raffaello e Michelangelo, contemporaneamente attivi a Firenze agli albori del Cinquecento, riassumendola in un classicismo sobrio e armonioso.
Di quegli anni è il Ritratto di scultore, ora a Londra alla National Gallery, un genere a cui Andrea si applicò sporadicamente, splendido dipinto nel quale la figura appare avvolta in una dolce luminosità che denota la sua abilità nella tecnica dello sfumato appresa da Leonardo.
Andrea del Sarto
Ritratto di scultore - 1518
Londra, National Gallery
Il 1517 è un anno importante per la sua vita: sposa infatti Lucrezia Del Fede. Vasari con ironia racconta la sua vita matrimoniale: “Essendosi d’una giovine innamorato, e poco appresso rimasta vedova, toltala per moglie, ebbe più che fare il rimanente della sua vita, e molto  più da travagliare per l’addietro fatto non aveva”.
La sua sposa gli creò non pochi problemi: per lei Andrea trascurò l’arte divenendone gelosissimo.
Comunque, la vita matrimoniale non gli impedì di partire per la Francia chiamato dal re Francesco I e da questi accolto come una vera e propria star: “Andrea, prima che passasse il primo giorno del suo arrivo, provò quanta fosse la liberalità e la cortesia di quel magnanimo re, ricevendo in dono danari e vestimenti ricchi ed onorati”, scrive Vasari.
Andrea del Sarto
Carità - 1518
Parigi, Museo del Louvre
Per Francesco, Andrea dipinge “il Delfino figliuolo del re nato di pochi mesi e così in fasce, e portatolo al re, n’ebbe in dono trecento scudi d’oro” e una Carità, ora al Museo del Louvre di Parigi, splendido quadro tenuto in grandissima considerazione dal re e dalla sua corte.
Ma al cuor non si comanda, recita un vecchio detto.
Così, leggendo alcune lettere della moglie, la nostalgia prese il sopravvento e Andrea chiese al re di poter partire, ma rassicurandolo che sarebbe tornato presto e giurò perfino sul Vangelo.
Francesco I gli credette, gli diede del denaro e Andrea tornò a Firenze. Qui si godette la sua bella moglie, i suoi amici e le feste nella sua città, ma sperperò il suo denaro e anche quello ricevuto da Francesco I.
Andrea del Sarto - 1522/1523
Madonna della scala
Madrid, Museo del Prado
Non ebbe più il coraggio di tornare in Francia, voleva rimanere con la moglie, che gli faceva pure da modella, tanto che le sue figure femminili, Madonne comprese, hanno tutte il suo volto, come nella Madonna della Scala, oggi al Museo del Prado di Madrid.
Il re, ovviamente, si infuriò, tanto che non volle più, per lungo tempo, pittori fiorentini alla sua corte.
La  sua vena creativa si spegne un poco alla volta e Andrea rifà dipinti rielaborandoli e lasciando molto più spazio agli allievi della sua bottega.
Firenze era sotto assedio spagnolo in quel periodo e la città si riempì di soldati, tra cui alcuni appestati. E fu per questo che Andrea si ammalò e morì venerdì 21 gennaio 1531 e Vasari scrive: “Senza poter trovare rimedio al suo male e standogli più lontana che poteva la moglie per timore della peste, si morì che quasi nessuno se n’avvide”.
Andrea fu sepolto nella chiesa dei Servi e gli fu cantato il solenne Ufficio, perché “a Dio piacesse tirarlo al suo beato regno”.

martedì 4 luglio 2017

Il Rosso Fiorentino: un italiano a Parigi

Giorgio Vasari - Ritratto di Rosso Fiorentino - 1548 - affresco
Arezzo, casa di Giorgio Vasari
Era dotato di bellissima presenza; il modo del parlar suo era molto garbato e grave; era bonissimo musico et aveva ottimi termini di filosofia, e quel che più importava più che l’altre sue bonissime qualità, fu che egli del continuo nelle composizioni delle figure sue era molto poetico, e nel disegno fiero e fondato, con leggiadra maniera e terribilità di cose stravaganti, et un bellissimo compositore di figure. Nella architettura fu garbatissimo e straordinario, e sempre per povero ch’egli fosse, fu ricco d’animo e di grandezza”: eccolo il superlativo giudizio che dà il Vasari di Giovan Battista di Jacopo di Gasparre, detto il Rosso Fiorentino per via del colore dei suoi capelli, nato a Firenze domenica 8 marzo 1485.
Del giugno del 1514 è il saldo dovuto per la sua prima opera certa: l’Assunzione della Vergine nel Chiostrino dei Voti della Santissima Annunziata, opera che fece per intercessione del suo maestro, Andrea del Sarto, con un cielo di angeli nudi che ballano intorno alla Vergine.
Rosso Fiorentino - 1518
Pala dello Spedalingo
Firenze, Galleria degli Uffizi
 La Pala dello Spedalingo, ossia il termine del committente Leonardo Buonafede derivante dal ruolo, vale a dire il rettore dell’Ospedale di Santa Maria Novella, è un dipinto del 1518, in origine destinato alla chiesa di Ognissanti e ora alla galleria degli Uffizi. Questa pala ha una storia bizzarra: Buonafede non la volle, tanto che fu poi messa in una chiesetta sperduta, perché, come racconta Vasari, il Rosso aveva dipinto i personaggi con “arie crudeli e disperate”, anche se “nel finirle poi addolciva l’aria e riducevale al buono”.
Nel 1518 una vicenda giudiziaria gli turba il sonno: un creditore voleva essere pagato e non potendolo saldare, viene condannato all’esilio, così va a Piombino ospite di Jacopo V Appiani, per il quale dipinge un “bellissimo” Cristo morto, quindi parte per Volterra, dove realizza una formidabile Deposizione, ora nel Museo Civico locale, ovvero della cittadina patria della lavorazione dell'alabastro, considerata da tutta la critica il suo capolavoro.
Rosso Fiorentino - Deposizione - 1518
Volterra, Museo Civico

E' un quadro che lascia senza fiato, come un pugno nello stomaco, di cui ci si ricorderà per sempre per le emozioni forti che regala.
Senza dubbio uno dei dipinti più sconvolgenti del XVI secolo, frutto di una complessa e forzata struttura compositiva e investito di un’intensità emotiva quasi insostenibile, con personaggi pietrificati in atteggiamenti drammatici e colori innaturali stesi in maniera compatta. Impressionante è anche il cielo, un’autentica cappa di piombo che grava incombente sulla scena, mentre le tre scale sono puri espedienti scenografici.
Intorno al 1521 però torna a Firenze, dove lavora alle ultime opere nella sua città: lo Sposalizio della Vergine e Mosè difende le figlie di Jetro, che poi donerà al re Francesco I di Francia.
L’anno dopo, complice anche la peste che si era ancora una volta abbattuta sulla sua città, parte per Roma, dove papa era Clemente VII, un esponente della famiglia Medici.
Al Museum of Fine Arts di Boston si conserva un Cristo morto sorretto da quattro angeli che il Rosso dipinse nel suo soggiorno romano, dove evidente è il richiamo alle figure scultoree di Michelangelo.
Rosso Fiorentino - 1521 - Putto che suona
Firenze, Galleria degli Uffizi
E’ il 1527, l’anno del Sacco di Roma da parte dei Lanzichenecchi, che lo catturano, lo derubano, lo umiliano, “scalzo e senza nulla in testa, gli fecero portare addosso pesi, e sgombrare quasi tutta la bottega di un pizzicagnolo” per poi lasciarlo libero. Il Rosso va via dalla città eterna così come fecero quasi tutti i suoi colleghi, che riempirono l’Europa di talenti italiani. 
Va a Perugia e da lì a Sansepolcro, ospite del suo coetaneo Leonardo Tornabuoni, vescovo, con cui era amico, dove dipinge la Deposizione per la locale chiesa di San Lorenzo: “cosa molto rara  e bella, per avere osservato ne’ colori un certo che tenebroso per le eclisse che fu la morte di Cristo, per essere stata lavorata con grandissima diligenza”.
Inizia un periodo tormentato per l’artista, che girovaga un po’, da Sansepolcro va a Città di Castello da dove ritorna a Sansepolcro per poi ripartire e andare a Pesaro prima e a Venezia poi, finché nell’autunno del 1530 è a Parigi.
Rosso Fiorentino - Pietà - 1540 circa - Parigi, Museo del Louvre
Nella capitale francese, è accolto con onori dal re Francesco I che, oltre allo stipendio come pittore, gli concede anche una casa. Qui dipinge la Pietà, oggi al Museo del Louvre.
Ma più che a Parigi, il nostro passa tutto il suo tempo nella reggia di Fontainebleau, dove le sue opere purtroppo sono poco leggibili perché deteriorate. Ma qui fa di tutto: Vasari racconta che disegna “saliere, casi, conche et altre bizzarrie, abbigliamenti di cavalli, di mascherate, di trionfi e di tutte l’altre cose che si possono immaginare, e con sì strane bizzarre fantasie che non è possibile far meglio”.
La sua morte sembra ancora un mistero: Vasari dice che si suicidò con il veleno domenica 14 novembre 1540, fatto che scosse assai il re.
Le opere da lui commissionate al Rosso, vennero poi terminate dal Primaticcio, che diede origine alla scuola di Fontainebleau, paradiso del Manierismo.

sabato 10 giugno 2017

Giudizio Universale: l'apoteosi del genio di Michelangelo

Michelangelo Buonarroti - Giudizio Universale - 1536/1541
Città del Vaticano, Cappella Sistina
Con il Giudizio Universale, Michelangelo era intervenuto con l’autorità del genio nel problema più scottante del tempo, sostenendo la tesi cattolica della responsabilità contro quella protestante della predestinazione.
Michelangelo Buonarroti
Cristo Giudice
Particolare Giudizio Universale
Iniziato nel 1536 e terminato nel 1541 nella parete di fondo della Cappella Sistina per volere di Papa Paolo III, il dies Irae che evoca, rompendo con la tradizione iconografica, è ben lontano dai Giudizi dei maestri del passato con le loro schiere di Santi ordinate intorno a Cristo con a debita distanza i dannati che discendono alla loro destinazione infernale.
Dio giudice, nudo, atletico, senza alcuno degli attributi tradizionali di Cristo, è l’immagine della suprema giustizia, che neppure la pietà e la misericordia, rappresentata dalla Madonna implorante, può temperare.
Michelangelo concepisce la composizione come una massa di figure rotanti intorno a Cristo che emerge isolato in un nimbo di luce.
Michelangelo Buonarroti
Il giudizio dei dannati
Particolare Giudizio Universale
Santi e Martiri sono in alto, alcuni dannati invece lottano invano per sfuggire alla stretta dei diavoli, altri si pigiano sulla barca di Caronte, altri ancora si gettano sgomenti nel gorgo e sulla sponda li attende Minosse.
In alto, nelle lunette, angeli recano i simboli della Passione, quasi invocando vendetta.
Lo sgomento invade anche i beati: la giustizia divina è diversa da quella umana, solo Dio ne conosce i motivi e ne è arbitro, come nella grazia.
Michelangelo Buonarroti
San Bartolomeo
Particolare
Giudizio Universale
C'è spazio anche per l'ego dell'autore, che si ritrae in tutta la sua tragedia nella pelle scuoiata di san Bartolomeo .
Un’opera meravigliosa, che rivela tutta la maestria michelangiolesca nel disegno del corpo umano colto da qualsiasi punto e angolatura, giovani atleti dai muscoli mirabili che si snodano e si piegano nelle più svariate direzioni.
E non vi è dubbio che molte idee  avrebbe potuto esprimerle nel marmo di Carrara, anzi forse è così che le vedeva mentre si affollavano nella sua mente intanto che dipingeva.
Poi sopravvenne il clima della Controriforma e la preoccupazione delle gerarchie vaticane di allontanare da Roma le accuse di paganesimo.
Fu così che Daniele da Volterrra, un discepolo di Michelangelo, poco dopo la morte del maestro, nel gennaio del 1564 fu incaricato di coprire con panneggi dipinti a tempera le nudità più vistose: su dieci figure gli indumenti già esistenti furono ampliati, su altri venticinque furono dipinti di sana pianta.
E il povero Daniele ci guadagnò il soprannome di Braghettone.

mercoledì 7 settembre 2016

Giorgio Vasari, il primo storico dell'arte

Giorgio Vasari
Autoritratto
Firenze, Galleria degli Uffizi
Il primo, il più importante e più celebre storico dell’arte italiana nacque ad Arezzo il 30 luglio del 1511 e fin da ragazzo frequentò la bottega di Guillaume de Pierre de Marcillat, artista francese che dal 1519 era a d Arezzo per la realizzazione di vetrate e a affreschi della cattedrale.
Nella sua città conobbe il pittore detto Rosso Fiorentino.
Poi andò a Firenze, dove conobbe Michelangelo che influenzò tutta la sua vita, e da lui fu introdotto nella corte medicea. Giorgio fa vari viaggi a Roma e inizia la sua vera carriera artistica: decora l’abbazia di Camaldoli nel 1537 e il refettorio di San Michele in Bosco a Bologna nel 1539/40 dove le sue pitture risentono fortemente dell’influsso del Parmigianino.
Nel 1542 inizia la ristrutturazione della sua casa di Arezzo, quindi parte per Napoli dove lavora nel monastero degli Olivetani.
Giorgio Vasari - 1548
Sala del trionfo delle virtù
Arezzo, casa Vasari
E’ Giorgio Vasari stesso che scrive della casa da lui acquistata nel 1541 “principiata in Arezzo, con un sito per fare orti bellissimi nel borgo di San Vito, nella migliore aria della città”.
E la casa è risultata poi essere un vero gioiello, da lui affrescata in tutte le stanze e successivamente dotata di ulteriori quadri, oltre a quelli che lui collezionò per tutta la vita, per rendere meglio l’idea del contesto artistico e culturale in cui visse.
Sono dipinti cinquecenteschi di artisti toscani, fra cui anche molti dei suoi collaboratori, che rende la dimora vasariana un piccolo scrigno dell’arte manierista.
Quella del Vasari è una di quelle dimore dove si sente in ogni stanza lo spirito dell’uomo e dell’artista, dove ti immagini davvero di incontrarlo mentre sbuca da una porta o esce da una stanza.
E’ il miracolo dell’arte.
Le stanze sono perfettamente conservate e gli affreschi che Giorgio progettò liberamente e realizzò senza l’ingerenza di nessuno per quel che riguardava i soggetti e come dipingerli, fanno capire quanto grande fosse la sua cultura umanistica. Statue classiche, panneggi, figure mitologiche, angeli e demoni, ghirlande e grottesche, allegorie, scene sacre e finte architetture rivestono interamente le pareti della casa, in un susseguirsi di simboli più o meno criptati che non è facile intendere al primo sguardo.
Giorgio Vasari - 1546
Tributo delle nazioni a Paolo III
Roma, Palazzo dell'antica cancelleria
Torna a Roma, dove entra a far parte della corte del cardinal Farnese, per cui decorò la sala della Cancelleria nel 1546. Furono questi gli anni in cui i suoi rapporti con Michelangelo divennero più stretti, la cui influenze è ben visibile nella decorazione che Vasari fece nella cappella Del Monte in San Pietro in Montorio a Roma tra il 1550 e il 1552, un complesso intreccio di architettura, scultura e pittura.
Il 1547 è un anno particolare per Giorgio: inizia una relazione con tal Maddalena Bacci, di cui si innamora e da cui avrà due figli illegittimi ma, per evitare uno scandalo - Maddalena infatti va a nozze con un altro - ne sposa la sorella undicenne, Niccolosa.
Giorgio Vasari - 1560 - Corridoio Vasariano - Firenze, Palazzo degli Uffizi
Negli anni successivi lavora per la corte di Cosimo I de’ Medici a Firenze, dove si dimostra anche un grande architetto, a lui infatti si deve l’inizio della fabbrica degli Uffizi nel 1560, all’epoca non museo ma sede degli uffici della magistratura, ideato come raccordo tra Piazza della Signoria e il fiume e scandito da una tripartizione orizzontale.
Giorgio Vasari -  1568 - Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architetti - edizione Giunti
Ma l’opera più importante della sua esistenza è certamente la pubblicazione del suo capolavoro letterario: Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architetti, opera fondamentale della storiografia artistica e la cui prima edizione fu stampata dall’editore Torrentini nel 1550 e che ebbe uno straordinario successo, tanto che ampliò il testo e lo ripubblicò nel 1568 con l’editore Giunti.
Giorgio Vasari
Pagina su Jacopo Palma il Giovane
Con le sue Vite Vasari inventa la storia dell’arte e i suoi volumi sono ancora oggi  l’unica fonte attendibile per le notizie biografiche dei vari artisti, che lui, meticoloso fino all’eccesso, affronta con dovizia di particolari e il suo giudizio è stato sempre tenuto in grande considerazione dagli storici dell’arte moderni, anche dai più grandi e importanti.
Vasari divide la storia dell’arte in tre periodi, passando per i vari pittori da Cimabue a Michelangelo, dall’abbandono del Medioevo all’ingresso nell’età moderna tramite il recupero dell’antico sino ad arrivare alla piena maturità dell’arte con Michelangelo, da lui considerato un vertice insuperabile, tanto che dopo di lui, afferma Vasari, non si potrà creare nulla di veramente nuovo.
Giorgio vasari morì il 27 giugno del 1574 a Firenze e fu seppellito nella chiesa di Santa Maria della Pieve ad Arezzo, come lui stesso aveva voluto lasciandolo scritto nel testamento e in varie lettere, tra cui una anche al Granduca di Toscana.
Attualmente non si sa dove siano esattamente i suoi resti, ma si suppone che siano in un’urna insieme a quelli della giovane moglie in una tomba sotto il pavimento.

venerdì 2 gennaio 2015

Michelangelo: genio solitario e scorbutico

MICHELANGELO - LA PIETA' - 1498
CITTA' DEL VATICANO, BASILICA DI SAN PIETRO
Quattro ore prima dell'alba di lunedì 6 marzo 1475, a Caprese nei pressi di Arezzo, nacque Michelangelo Buonarroti, destinato a esercitare con il suo genio un influsso di inestimabile portata. 
Vuole a tutti i costi fare lo scultore: per lui l’immagine si trova già allo stato potenziale dentro il blocco di marmo grezzo e lo scultore deve solo liberarla asportando la materia superflua.
Il suo destino era evidentemente già segnato su qualche fulgida stella: va a balia da una famiglia di scalpellini, di cui si ricorderà per sempre.
Asseriva infatti di aver succhiato con il latte di lei "gli scalpelli e il mazzuolo".
E la sua strada, solitaria ma colma di gloria può iniziare.
MICHELANGELO
DAVID - 1501
FIRENZE
PIAZZA DELLA SIGNORIA
Come tutti a quell'epoca, si trova un protettore, nella fattispecie Lorenzo il Magnifico e a diciassette anni è già famoso.
Ma lui, spirito geniale ma intuitivo, capisce che la situazione fiorentina va verso la decadenza e lascia la città: comincia la vita errante da vero artista rinascimentale.
Alla fine del secolo da Firenze va a Roma dove nasce il primo dei suoi capolavori: ha ventitré anni quando scolpisce, o meglio, tira fuori la Pietà dal marmo, opera esemplarmente cristiana che riprende audacemente il tema gotico e nordico della salma del Cristo adagiata in grembo alla Madonna come fosse un bambino che dorme, e lei è giovane, come quando Cristo era bambino, e sembra quasi che voglia sussurrargli una ninna nanna.
Del 1501 è di nuovo a Firenze e nasce il David, dove riesce a rendere vivo il  movente morale del ragazzo, la tensione interiore che precede lo scatto del gesto e non l'azione vera e propria.
Difficile operazione, considerato che il pezzo di marmo era già stato abbozzato da altri, ma lui riesce comunque a tirargli fuori quel che voleva.
Torna a Roma per servire il papa in persona, Giulio II Della Rovere, vecchio e formidabile pontefice dall’anima guerriera, di cui si diceva avesse gettato nel Tevere le chiavi di San Pietro per tenere solo la spada di San Paolo.
MICHELANGELO - 1513/15 MOSE' - PARTICOLARE
ROMA, TOMBA DI GIULIIO II
 BASILICA DI SAN PIETRO IN VINCOLI
Gli affida il proprio monumento funebre e Michelangelo va di persona a scegliere i marmi a Carrara.
Ma questo monumento da cui attende la gloria, sarà invece la tragedia della sua vita, perché tra modifiche, rinvii e discussioni con il papa, andò avanti 40 anni per poi concludersi con una soluzione di ripiego.
Fece il Mosè, grandiosa scultura di uomo forte e vigoroso, un soggetto a lui molto caro.
Mai fece donne esageratamente femminili - se si esclude la Madonna nella Pietà, dolcissima figura di madre che lui non aveva quasi conosciuto - preferiva ritrarre uomini giovani e virili, potenti nella loro immobilità, da qui anche le chiacchiere sulla sua presunta omosessualità.
Ma Michelangelo era più forte delle chiacchiere, il suo genio se ne faceva un baffo degli stolti che sparlavano di lui. 
Il pontefice guerriero gli affida quindi la decorazione della volta della Cappella Sistina, un lavoro titanico, 40 x 13 metri a 20 di altezza, che inizia nel 1508: “Io sto qua in grande affanno e con grandissima fatica di corpo e non ho amici e non ne voglio”.
MICHELANGELO - VOLTA DELLA CAPPELLA SISTINA - LA NASCITA DI ADAMO - 1508/1512
E' l'opera che più di tutte lo rappresenta: un immenso affresco in cui immettere le balenanti visioni bibliche savonaroliane, la sua percezione della Fede, dei Profeti e della creazione dell'uomo con Dio inserito in quel che pare la sezione di un cervello.
La verità è che accettò l’incarico contro voglia, ma non solo.
Sostituì lo schema già deciso dal papa con il suo, ben più complesso, il che volle dire litigate furiose con Giulio II.
E' la sua straordinaria rivoluzione, di portata epocale.
MICHELANGELO
VOLTA DELLA CAPPELLA SISTINA
IGNUDO, PARTICOLARE
Per la prima volta la concezione dottrinale è dell’artista e l’architettura dipinta non è solo cornice ma parte integrante dell’opera.
Il collerico Giulio II lo fa impazzire: sale sui ponteggi e lo minaccia col suo bastone infuriandosi per un lavoro che non aveva mai fine.
Ma il 31 ottobre 1512 la volta terminata svela agli occhi di tutti le sue terribili storie bibliche e le figure di Sibille e Profeti affacciati sull’abisso del futuro con colori forti, decisi, come sculture dipinte.

MICHELANGELO - 1559ca
PIETA' RONDANINI
PARTICOLARE
MILANO, CASTELLO SFORZESCO






Polemiche a non finire, ma vinse lui, a dispetto di chi diceva che non era capace a dipingere ad affresco, delle invidie degli altri artisti e malgrado il suo temperamento tempestoso e tormentato.
È il 1520 e nella tecnica del "non-finito" immette in maniera drammatica l’angoscia dell'artista per la condizione umana, l’ossessione del peccato, della morte, la speranza della salvezza e della liberazione, tutte le sue angosce, le sue ansie e le sue pulsioni, trovando il culmine nella struggente Pietà Rondanini, il suo testamento spirituale a cui era ancora la lavoro nei giorni precedenti la morte.
Le ultime opere monumentali, il Giudizio Universale, la cupola di San Pietro e Piazza Campidoglio, iniziano nel 1534 ma lui ha quasi sessant’anni, è stanco e ossessionato da pensieri di morte.
Dopo una vita intera passata senza un vero amore, chiuso nel suo essere scorbutico e sdegnoso, il terribile vecchio incontra, nel 1537, la donna della sua vita, Vittoria Colonna, l’unica capace di spezzare il cerchio della sua solitudine spirituale non con un vero amore, di cui però ne ha tutta la dolcezza, ma con una profonda amicizia.
Lei morirà dieci anni più tardi, provocandogli un enorme dolore e lasciandolo nuovamente solo a combattere contro i fantasmi della solitudine. 
Michelangelo muore a Roma il 18 febbraio 1564 a 89 anni e il nipote di nascosto trasportò a Firenze il suo corpo, dove gli fecero solenni funerali di stato.
Il suo corpo è sepolto a Firenze a Santa Croce  ma il suo spirito è vivo più che mai e rinasce ogni volta che qualche piccolo, insignificante umano muove lo sguardo verso una delle tante incredibili meraviglie nate dal suo cuore, dalla sua mente e dalle sue mani.                    

venerdì 12 dicembre 2014

Paolo Veronese processato dall'Inquisizione


PAOLO VERONESE
AUTORITRATTO GIOVANILE - 1560
MASER (TV) - VILLA BARBARO
Bisogna imparare a guardare.
Molto spesso, e comunque più di quanto non si creda, l’immagine che vediamo ne rappresenta un’altra, di solito con un significato completamente diverso.
E’ il 1571 e a Paolo Veronese viene affidata dai frati domenicani del veneziano convento di San Giovanni e Paolo la commissione per una Ultima cena, dipinto grandioso, alto quasi 13 metri e largo più di 5, da mettere nel refettorio,  in sostituzione del dipinto di ugual soggetto di Tiziano, distrutto da un'incendio, ora alle  Gallerie dell’Accademia di Venezia.
Veronese era uomo di intelligenza fortissima, un vero genio, e la sua arte era di una forza totalmente creativa e scenografica, resa con sbalorditiva rifinitezza.
Il 20 aprile 1573 Paolo completa l’opera, pagata di tasca sua da padre Andrea Buono, che dalla sua eredità familiare prende i 400 ducati  d'oro necessari
Il giorno dell'Ascensione, quando il refettorio spalanca i suoi battenti in modo che tutti possano ammirare il capolavoro, cominciano i guai.
E’ una storia affascinante e intricata quanto un giallo, con tanto di processo e condanna.
Il Tribunale dell’Inquisizione stava con gli occhi aperti, acutamente consapevole del valore divulgativo che avevano, specie nei confronti della massa degli analfabeti, le rappresentazioni iconografiche dei misteri della Fede: un valore paragonabile a quello dei mass media del giorno d'oggi.
Era cioè necessario che tali rappresentazioni fossero rigorose e seguissero le indicazioni iconografiche date dal Concilio di Trento (1545/1563), che metteva anche in guardia contro le pitture sconvenienti ai luoghi sacri.  
Va bene che nel dipinto di Veronese non c'erano nudi come nel Giudizio Universale di Michelangelo, ma il nostro aveva usato colori e pennelli con una disinvoltura che non piacque assolutamente. 
Paolo finisce perciò sotto processo, i cui atti ci sono pervenuti per intero.

PAOLO VERONESE - CONVITO A CASA DI LEVI  - 1571 
VENEZIA, GALLERIE DELL'ACCADEMIA
Gli si chiede perché nella cena del Giovedì Santo avesse introdotto un cane, un nano buffone con un pappagallo in mano, un servitore che perde sangue dal naso, alcuni alabardieri tedeschi e altre figure profane che così tanto facevano discutere la città, peraltro per nulla bigotta, anzi.
Paolo si difende, ma poi capisce di trovarsi su di un terreno pericoloso e fa una precipitosa marcia indietro.
"Signore Illustrissimo, non ho considerato tante cose, non immaginando di commettere un'irregolarità, tanto più che quelle figure buffonesche sono collocate fuori del luogo dov'è Nostro signore".
Paolo viene comunque condannato a correggere il quadro entro tre mesi e a sue spese.
Sostituire quindi lanzichenecchi e buffoni con Maddalene penitenti o apostoli adoranti?
Neanche per sogno.
Il nostro se la cava con un escamotage: cambia il titolo al dipinto, facendolo diventare un Convito a casa di Levi, a proposito del quale il Vangelo dice che "molti pubblicani e peccatori erano a tavola insieme a Gesù e agli apostoli".
La storia non finisce, anzi forse è solo all'inizio, e come in un romanzo giallo arriva puntualmente il colpo di scena.
Il quadro mente, così come gli atti processuali confermano che Veronese mentì davanti al Tribunale.
Perché?
PAOLO VERONESE - ULTIMA CENA - 1585 - MILANO, PINACOTECA DI BRERA
 

Nell'Ultima cena, e questo è noto a tutti e non solo agli scaramantici, a tavola erano seduti in tredici e non in quindici come li dipinse il buon Paolo.
Inoltre Gesù veniva sempre raffigurato con i suoi apostoli - e le indicazioni del sui particolari iconografici erano ben più che intransigenti e feroci - in ambienti raccolti e da soli e non con una quarantina di personaggi intorno, di cui alcuni davvero stravaganti.
Recenti studi hanno invece dato un'altra versione della storia, ritrovando un'iconografia legata a un passo del Vangelo di Luca (11, 37/54) che racconta della Cena a casa del Fariseo, perfetto per dipingere sotto mentite spoglie i “cattivi prelati”, ossia coloro che sia da Roma sia da Venezia avevano intimato ai dotti ma assai liberi frati domenicani di seguire la regola rigidamente.
Piuttosto che passare da conventuali ad osservanti, ci faremo luterani” sembra avessero detto i frati di San Giovanni e Paolo.
PAOLO VERONESE - CONVITO A CASA DI LEVI -
PARTICOLARE CON IL NANO E L'IMMONDO
E i “cattivi prelati”, secondo questi studi, vengono ritratti come il nano deforme con il  pappagallo e l’immondo con il fazzoletto bagnato di sangue sulla scala di sinistra.
Un’immagine politica quindi, dal significato criptico, da far ritenere che il processo a lui intentato per eresia fosse in realtà una copertura per insabbiare il dibattito aspro e velenoso tra i frati veneziani e l’autorità ecclesiastica.
E non poche voci invocano la riapertura di un processo che, a distanza di quasi cinque secoli,  potrebbe riservare ancora molte sorprese.        

venerdì 5 dicembre 2014

Raffaello e il suo unico grande amore

JEAN-AUGUSTE DOMINIQUE INGRES
RAFFAELLO E LA FORNARINA - 1813
Raffaello quando si innamorò era al culmine della sua fama, aveva il gusto del lusso e della raffinatezza e vestiva abiti splendidi di sete e velluti che mettevano in risalto la sua bellezza un po’ languida.
E Michelangelo, uomo serio, tormentato e tutto d’un pezzo, lo guardava con aperta avversione…
Il  giovane pittore di Urbino, dove nacque nel 1483, aveva ormai imparato ogni segreto della pittura, sapeva maneggiare pennelli e colori con una tecnica fantastica, sì che riusciva a rendere il bello in ogni cosa che dipingeva.
RAFFAELLO SANZIO - LA VELATA - 1516
FIRENZE, PALAZZO PITTI
La bellezza fu una condizione necessaria per l’arte di Raffaello, perché egli desiderò di evadere dai mali del tempo” scriveva lo storico Lionello Venturi nel 1947.
Raffaello cercò la bellezza anche nella sua vita privata, che poi, inevitabilmente, si fuse con quella artistica.
Aveva una modella, una popolana, Margherita Luti, figlia di un fornaio di Trastevere, detta perciò la Fornarina.
Margherita era una ragazza bruna, affascinante, dal temperamento vivace, dalle forme opulente, con un viso perfetto illuminato da due occhi immensi.
Si incontrarono per caso, mentre lei si bagnava i piedi nel Tevere, e fu subito amore.
RAFFAELLO SANZIO 
 MADONNA DELLA SEGGIOLA
1514 - FIRENZE, PALAZZO PITTI
Lui viveva totalmente soggiogato da lei, non si stancava di ritrarla ed era così voglioso delle sue carezze che a volte, mentre lavorava era capace di abbandonare tutto per correre a trovarla.
Una passione violenta, fino alla nevrosi.
Tanto che, racconta il Vasari, nel 1514 pretende che gliela portino nella villa di Agostino Chigi alla Lungara dove sta dipingendo, altrimenti butterà all’aria tavolozza e pennelli, lasciando a metà l’affresco della Galatea, per il quale il banchiere senese gli ha imposto come modella la cortigiana Imperia.
E i matrimoni “bene” che i parenti e i suoi protettori gli sottoponevano, venivano regolarmente declinati con una scusa, perché, diceva lui, “doveva innanzitutto dedicarsi all’arte”.
Aveva anche una pseudo fidanzata, certa Maria, nipote del cardinal Bernardo Dovizi, brava figliola, con dote proporzionata alla fama di lui, ma il giovanotto rimandava indefinitamente le nozze a causa del suo amore struggente e tempestoso con la figlia del fornaio.
La fanciulla era davvero bellissima, lo si vede dai ritratti che il suo amante pittore le fece.
Quello più famoso è a Roma, nella Galleria di Palazzo Barberini
Lo realizzò intorno al 1518/1519 e alla sua morte era ancora lì, nel suo studio.
RAFFAELLO SANZIO
LA FORNARINA - 1518/1519
ROMA, GALLERIA DI PALAZZO BARBERINI
Lo dipinse di getto, senza disegno preparatorio.
Lei, sullo sfondo di un cespuglio di mirto, la pianta dedicata a Venere, è misteriosa e incantevole, dalla bellezza idealizzata e sublimata, assoluta ed enigmatica, con lo sguardo penetrante, perfetta, discreta quasi, ma che sa farsi puro erotismo nella sua discinta seminudità.
La sua pelle è chiara, quasi lattea, che vien voglia di accarezzare da quanto appare morbida, le sue mani sono appoggiate al seno e al ventre in una posa più che simbolica, il turbante di seta a righe verdi e dorate le copre in parte i capelli, il bracciale sul braccio con la firma di Raffaello, immersa in una luce che la fa schizzare fuori dallo sfondo scuro.
E’ ancora e sempre lei nella Velata di Palazzo Pitti a Firenze, con la sua grazia quasi sdegnosa declinata nei toni del bianco, del bruno e dell'oro, nella Madonna della Seggiola, nella Madonna di Foligno e della Santa Cecilia della Pinacoteca di Bologna.
E’ il 6 aprile del1520.

ROMA, PANTHEON
TOMBA DI RAFFAELLO
 
A 37 anni - alla stessa età di Parmigianino, Van Gogh e Toulouse-Lautrec - Raffaello muore, non perché sfinito dalle prodezze amatorie come vuole la leggenda, ma di pleurite.
Riesce a fare testamento: lasciò alla sua bella una somma tale da farla vivere decorosamente.
La poverina fu allontanata da casa durante l’agonia di lui, ma al momento del funerale, riapparve tra la folla e si gettò disperata e piangente sulla bara.
E per il dolore si ritirò a vita nel convento delle suore di santa Apollonia.
Ma è ancora lei e sempre lei nella Madonna del Sasso del Lorenzetto, voluta dallo stesso Raffaello a vegliare sulla sua tomba al Pantheon.
E il loro amore continua, speriamo, in eterno.